Missioni Consolata - Agosto-Settembre 2022

Poste Italiane S.p.A. - Spediz. in abb. postale "Regime R.O.C." - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1, NO/TORINO

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AI LETTORI Ai lettori MC R di Gigi Anataloni, direttore MC EDI ORIALE MC di Gigi Anataloni, direttore MC «P» come missione A fine giugno a Roma, c’è stata la seconda conferenza nazionale sulla cooperazione italiana (vedi pagina 71) che ha articolato i suoi temi attorno a cinque «P»: persone, pace, prosperità, pianeta e partnership. Mi sono domandato quante e quali sono le «P» di cui si occupa la missione. Sempre a giugno, la settimana prima, per quattro giorni la famiglia della Consolata (consacrate, consacrati e laici) si è radunata online in un convegno con oltre 600 partecipanti da 33 nazioni diverse, in sei lingue e quasi quaranta gruppi di lavoro. Lo scopo era quello di fare memoria e attualizzare la cosiddetta «conferenza di Murang’a», tenuta in Kenya nel 1904 dai primi dieci Missionari della Consolata presenti in quel paese, per pregare e riflettere insieme sul senso e il metodo della loro azione missionaria in quel contesto. Da quell’incontro di quasi 120 anni fa era emerso, tra le altre cose, che al centro della missione c’era la persona. Ecco la prima «P» della nostra missione. La persona di Cristo che si fa Parola per comunicarsi e che è la ragione stessa della missione, e la persona dell’«uomo» incontrato nella sua concreta unicità, nella sua diversità di età, sesso, cultura, tradizione religiosa, stato sociale. Con una preferenza: la persona più piccola e più povera, quella che conta meno, che sta ai margini, che è trafficata, sfruttata, aggredita, ignorata, invisibile. Chi non può accedere alla scuola, non gode dei servizi sanitari, fa fatica a mangiare un pasto al giorno, non ha diritto di voto, non ha un riparo sicuro, e per questi motivi è visto come pericolo, nemico, minaccia. Se la persona sta al cuore della missione, ne consegue che deve essere la missione ad andare alle persone, non viceversa. Come ha fatto Gesù che è venuto e continua a venire incontro all’umanità, e come hanno fatto i nostri primi confratelli (e facciamo oggi) che hanno dato uno stile itinerante all'annuncio: non le persone chiamate a raggiungere i missionari, ma i missionari che raggiungono le persone. Da questo principio discendono poi tante altre «P»: pace, perseveranza, pazienza, perdono, partecipazione, piccolezza, povertà. Parole che si coniugano bene con altre più moderne come pianeta, partenariato, prosperità, ma ne escludono altre come potere, plagio, privilegi, paletti. E scopri che la missione ha bisogno anche dei piedi. Piedi che indossano sandali: segno di un andare libero, per scelta e senza costrizioni, senza sandali di scorta, per condividere la precarietà, la provvisorietà e la povertà di chi si incontra. Due altre «P» hanno un legame profondo con la «missione»: preghiera e pane. La preghiera è il suo motore. Con la preghiera rimani legato al Mandante, lo ascolti, ti verifichi, ti lasci trasformare, ti ricarichi quando sei in crisi. Con il pane nutri e sei nutrito, fai stare bene gli altri e te stesso. Lo spezzi e scopri che ce n’è in abbondanza per tutti. Se poi tieni sempre presente che il vero Pane è Lui, Gesù, che si spezza e ci invita a spezzarlo ogni giorno per vivere nell’oggi la sua passione, morte e resurrezione, allora davvero rimani ancorato al senso della missione. Ce ne sarebbero molte altre di «P» che si sposano con la «missione». Ma per me centrale rimane la «P» di «persona», che non è mai una categoria o un gruppo anonimo, un numero o un’etichetta, ma un volto, un nome, una storia, un incontro, un bisogno, una lacrima o un sorriso. È un paio di occhi che ti penetra nel cuore. È Anthony, ad esempio, un bambino vissuto solo due ore per un difetto cardiaco. È Sharon, rapita dall’Aids a sette anni. Per noi Missionari e Missionarie della Consolata, persona è ciascuna di quelle innumerevoli incontrate, spesso con nomi per noi impronunciabili, nelle foreste dell’Amazzonia, nelle baraccopoli delle grandi città (anche europee), nelle immense steppe dell’Asia, nei villaggi abbarbicati sui monti della Cordigliera andina, nei campi profughi a confini dell’Ucraina o in quelli del Marocco, nelle riserve indiane degli Stati Uniti. Mettere la persona al centro è una scelta di coraggio. Coraggio che richiede cuore e fantasia per non restare imprigionati nelle pastoie della nostra onnipresente burocrazia e del vizio, ormai consacrato, di regolamentare tutto, fino all’ultima virgola, seppellendo le persone sotto montagne di carte. 3 agosto-settembre 2022 MC

* * * * * 08 CHIESA NEL MONDO a cura di Sergio Frassetto 29 E LA CHIAMANO ECONOMIA Chi paga la guerra del grano di Francesco Gesualdi 32 CAMMINO DI LIBERTÀ 17. Le spalle di Dio (Es 33) di Angelo Fracchia 71 COOPERANDO Conferenza cooperazione: non c’è pace senza sviluppo di Chiara Giovetti 81 LIBRARSI Di Guatemala, Roma e Senegal di Sante Altizio In copertina: Grande Hotel di Beira in Mozambico (foto: Paolo Ghisu). https://www.rivistamissioniconsolata.it Gli articoli pubblicati sono responsabilità degli autori e non riflettono necessariamente l’opinione dell’editore. - I dati personali forniti dagli abbonati sono usati solo per le finalità della rivista. Il responsabile del loro trattamento è l’amministratore, cui gli interessati possono rivolgersi per richiederne la verifica o la cancellazione (D. LGS. 196/2003). 8-9 | Agosto-Settembre 2022 | anno 124 Il numero è stato chiuso in redazione l’8 luglio 2022 e consegnato alle poste di Torino prima del 31 luglio 2022. 03 AI LETTORI «P» come missione di Gigi Anataloni 05 NOI E VOI Lettori e Missionari in dialogo LA BEATITUDINE DI ESSERE SECONDO GIACOMO CAMISASSA 100 di Giuseppe Ronco e Gigi Anataloni MC A ossier 4 agosto-settembre 2022 MC MC R 10 IRAQ I costi della «ricchezza» di Angelo Calianno 17 BOSNIA-ERZEGOVINA La porta è chiusa di Roberto Calza 24 CENTRAFRICA Religioni contro la guerra di Marco Bello 51 USA-MESSICO Un sogno che unisce o divide di Simona Carnino 56 MOZAMBICO La baraccopoli nel Grande Hotel di Paolo Ghisu 61 FILIPPINE Il ritorno di Marcos di Lorenzo Lamperti 65 MESSICO Costruendo autonomia di Daniela Del Bene 75 ALLAMANO Orsola e Marianna inserto a cura di S. Frassetto MC I SOMMARIO 35 * 51 * * * * 10

A cura del Direttore MC R Noi e voi LETTORI E MISSIONARI IN DIALOGO I I I I I I spressione nel mondo quotidiano, nella percezione che due persone si trovino insieme contemporaneamente e fisicamente. Perché, alla fine, in questo mondo noi tutti abbiamo bisogno di tangibilità. Galileo, che era un fervente cristiano, affermava che: «È intenzione dello Spirito Santo d’insegnarci come si vada in cielo e non come vada il cielo». Allo stesso modo nel libro non ho affrontato l’amore divino, perché, come si deduce anche dal titolo, ho voluto coniugare un sentimento astratto e insondabile della natura umana, con la scienza. Non tutti abbiamo il dono della fede e sull’eterna lotta tra Bene e Male si sono spese milioni di parole, sia di autori atei, che agnostici o religiosi. E penso convenga con me che è obiettivamente difficile per noi umani consolarci di una perdita fisica, sentimentale ed emotiva, rifugiandoci o sperando in qualcosa di astratto come il Bene. Ho usato il termine “astratto” non in senso dispregiativo, ma perché è da millenni che si proclamano buone intenzioni raggruppate nella parola Bene, ma è da altrettanti millenni che nessuna società ha mai portato il Bene a sconfiggere definitivamente il Male. E se è vero che ricevere e fare del bene ci fa stare meglio, è altrettanto vero che il bene non potrà mai colmare l’assenza fisica. Piergiorgio Pescali 31/05/2022 A-T SALÙT, GABIÀN! Ieri, 6 giugno, ci ha lasciato Ermes Rinaldi, da quasi sessant’anni gestore, con la moglie Bruna, dell’omonima trattoria di via Ganaceto a Modena. Su quel locale si è scritto tanto, come anche di Ermes, della Bruna, e delle tante specialità della loro cucina, rigorosamente modenese, dispensate ai clienti amici, che ogni VERSI DI AMORE E DI SCIENZA Mi è capitato di rileggere un articolo su un vecchio numero di Missioni Consolata di aprile 2021. L’articolo riguardava un libro di poesie «Versi di amore e scienza». Interessante per alcuni aspetti però nell’articolo, a mio modesto parere, si confonde l’amore umano con l’amore divino. Si sostiene che l’amore non lascia scampo alla sua perdita con prima o poi la morte della persona amata. Perdita che l’autore ha direttamente sperimentato. [l’amore] divino è il Bene e non possiamo mai perderlo perché è dentro di noi. Un pezzetto di Bene c’è in ognuno, in qualche angolo del cuore anche solo in un ricordo materno. Il Bene c’è sempre in noi anche quando non lo pensiamo. Lo possiamo far rinascere quando compiamo azioni di bene. Ogni giorno dobbiamo scegliere tra fare bene o male. Se scegliamo il Bene, questo lo rendiamo presente in noi e in chi ci circonda. Il Bene non muore mai. Il Bene è verità, giustizia sociale, fratellanza, comprensione, laboriosità, sobrietà, sincerità, buona volontà, fare pace. Se ci fosse più giustizia più sincerità, ci sarebbe più pace in famiglia, sul lavoro, nella società ecc. Tante volte è difficile capire ciò che è veramente bene per noi ed anche per gli altri. Solo la preghiera, l’Eucarestia e l’insegnamento del Vangelo ci aiutano a capire ciò che è veramente Bene. Ci illuminano il cammino, se lo vogliamo, se li seguiamo sinceramente e con costanza. Gesù è il vero Bene, le sue parole, il suo insegnamento. In una parabola molto bella Gesù dice: «Io sono la luce del mondo». Nelle omelie durante la messa si parla tanto di amore, quasi in modo inflazionato mentre si parla poco del Bene. L’amore evangelico è il Bene. Il Bene è più forte del male e più bello del male. Ricevere e fare del bene ci fa star meglio. Cordiali saluti Enrica B. 24/05/2022 Buongiorno Enrica e grazie per la sua lettera che esprime una profonda fede. Il libro di poesie «Versi di amore e scienza» cerca di esprimere il vuoto e il dolore lasciato dalla perdita di una persona che si è stimata e amata e che, per la natura umana, non può essere colmato neppure con la consapevolezza (o speranza) di un ricongiungimento futuro. È l’amore umano, come giustamente osserva lei, che fisicamente trova e5 agosto-settembre 2022 MC © Gigi Anataloni. Meru 2009, con Romolo Levoni e Ermes Rinaldi

Noi e Voi lui ha mantenuto la tradizione. Questo lo raccontò in Kenya, durante un viaggio fatto con Romolo Levoni (vedi MC 1-2/2017, p. 5) e altri amici per portare un po’ d’aiuto, di solidarietà e di amicizia ai Missionari della Consolata di Torino, che da oltre un secolo si occupano delle tante povertà di quel paese. D’altra parte, due personalità come Ermes e Romolo erano destinate a incontrarsi e collaborare. Siamo stati con loro in «giro» per il Kenya nel 2009 e nel 2011, e posso assicurarvi che ognuno era un vulcano d’idee e d’iniziative. Ricordo solamente le migliaia di pezzi di gnocco, fritti e venduti da Ermes e dai suoi amici, in piazza della Pomposa, il cui ricavato era interamente versato all’associazione G.R.G. (Gruppo Resurrection Garden), fondata da Romolo Levoni nel 1991 col compianto padre Ottavio Santoro per portare aiuto ai bambini del Kenya. Penso di avere scattato decine di fotografie di Ermes attorniato da bambini, che per lui era inconcepibile, soffrissero ancora la fame, la miseria, la mancanza di medicine e di scuolain questo mondo così progredito. Come aveva sofferto lui quando era bambino. Insomma, un omone col cuore d’oro, innamorato della sua Bruna. Così lo ricordo e lo saluto, con quel nome «Gabiàn» che affibbiava a tutti quelli che frequentavano il suo locale. Ma, attenzione, se gabiàn nel gergo modenese indica una persona scimunita, sciocca, per lui era esattamente il contrario: Gabìan erano i suoi migliori amici, quelli a cui più teneva. E allora caro Ermes, ti saluto, «a-t salùt, Gabiàn». Marco Ghibellini, a nome del Grg, Modena, 18/06/2022 6 agosto-settembre 2022 MC giorno provavano a entrare. Sì, perché il posto era piccolissimo, ed Ermes chiudeva il sabato sera e la domenica. Tante volte invitò a pranzo me e mia moglie Marisa (naturalmente chiarì subito che avremmo poi pagato…). Però, noi lavoravamo fino alle 14.30, compreso il sabato, e lui non accettava prenotazioni, men che meno telefoniche. E allora gli dicevo: Ermes, può mai essere che per venire a magiare da te dobbiamo prendere un giorno di ferie? E allora ci spiegò il perché di quello strano orario: quando negli anni ‘50 iniziò a lavorare come garzone, la trattoria che poi diventò sua, era frequentata esclusivamente da operai e da povera gente, che di sera, e di domenica, mangiavano a casa. E © Marco Ghibellini / Ermes davanti alla sua trattoria a Modena; nell’asilo di St. Mary’s a Maralal (Kenya) e con il gruppo Grg all’arrivo alla missione di Rumuruti durante il viaggio del 2009.

Le nostre email: redazione@rivistamissioniconsolata.it / mcredazioneweb@gmail.com R R MC 7 agosto-settembre 2022 MC © Eleonora Arlati | La santa messa a Riva di Vallarsa l’8/05/2022 in memoria di padre (abba) Paolo Angheben, missionario in Etiopia e, per un periodo, anche alla Certosa di Pesio. ABBA PAOLO CON NOI Otto maggio 2021. Quanto lontano era da noi abba (padre) Paolo Angheben, missionario della Consolata in Etiopia, quando la sua vita terrena nulla poté contro la malattia, mentre quanto vicino a noi oggi, riuniti nella celebrazione ad un anno dalla sua morte, l’abbiamo sentito; presenza viva, non solamente spirituale all’aprirsi delle testimonianze, spontanea linfa che sorreggeva una narrazione di vita dedicata agli altri, alle sue missioni, all’Africa. La santa messa domenicale, nel giorno della ricorrenza del patrono di Riva di Vallarsa (Trento), è stata il contenitore nonché il motore per quanti hanno dovuto attendere un anno per esternare la personale vicinanza alla persona che tutto aveva dedicato agli altri: più di 40 anni in Etiopia, costruttore ispirato, consigliere sagace, supporto spirituale e materiale, trascinatore di uomini e donne, profondo conoscitore del mondo africano, in particolare di quello giovanile. Un po’ alla volta questi aspetti, che uscivano dalle interviste che venivano riprodotte, costruivano e materializzavano la sua figura, animavano la voce che entrava nei cuori dei presenti, che ne veniva assimilata, cullata dalle musiche africane del coro Sacra Famiglia, per l’occasione intervenuto in forze. Ognuno dei presenti aveva mantenuto un rapporto personale con lui: fosse un gesto, una parola, una discussione, un segreto, una confessione, un religioso ma anche laico confronto; un rapporto mai sopito, mai dimenticato, ma accantonato, nell’intesa, anche certezza, di poterne intraprendere la naturale prosecuzione al momento del suo ritorno in Italia. Padre Daniele Giolitti, confratello di abba Paolo e concelebrante quel giorno, nel parlare di lui ha mosso i ricordi e le testimonianze che, scritte da più mani, hanno reso palesi le sue opere, la sua umanità e la vicinanza assoluta alle parole del Vangelo, primaria fonte di ispirazione delle Lectio Divinae da lui curate. Le testimonianze rimbalzavano nel cuore dei presenti, colmavano quella sorta di vuoto fra noi e lui; parole che hanno quasi evocato la sua ieratica figura e che, impersonate in più voci, hanno trasmesso all’assemblea la serenità e umana accettazione della sua dipartita, nel rimpianto però di non averlo potuto salutare, di non averne assimilata tutta la sua carica spirituale, di non aver compreso a fondo quanto la sua presenza fisica ci mantenesse sulla retta via. Lo stralcio di testimonianza che segue, esprime quanto abba Paolo avesse toccato il cuore di chi ricorreva a lui per una parola, un consiglio, un parere disinteressato. Un po’ quello che è stato per noi. «Quando padre Paolo è partito per l’Etiopia, nel 2001, ho pianto tanto. Non mi davo pace. Ho cercato, senza trovarlo, un sostituto. Dopo la sua morte ho di nuovo pianto tanto, ma senza la disperazione del primo distacco. Penso che abbia compiuto la sua missione. Penso che abbia dato tutto ciò che poteva dare, fino alla fine. Ringrazio per averlo conosciuto e frequentato». Ciao abba Paolo. Lucio Angheben e gli altri fratelli di padre Paolo

lano, dove convergono le frontiere di tre nazioni sorelle: Colombia, Perù e Brasile. I pastori hanno constatato che le coltivazioni illecite di questo territorio attraggono gruppi armati illegali, che contribuiscono al clima di insicurezza e alla mancanza di protezione degli abitanti. Per questo hanno rivolto un appello al governo perché, da una parte, siano fermate «le morti violente, le sparizioni, le minacce e gli sfollamenti che colpiscono principalmente le comunità indigene, contadine e afro-discendenti», e, dall’altra, «siano convocate tutte le forze e organizzazioni attive nel territorio al fine di esplorare soluzioni a breve, medio e lungo termine». (Fides) NIGER PICCOLA CHIESA Dosso è una piccola missione che sorge nel deserto in mezzo al popolo djerma-songhay. Qui, dove il caldo brucia la pelle e la monotonia del deserto distorce l’orizzonte, è giunto in visita un gruppo di seminaristi, provenienti da tutto il Niger. «Provengono - dice padre Rafael Casamayor - da origini molto diverse. Alcuni sono figli di emigrati, dal Togo o dal Benin, altri provengono da famiglie musulmane che hanno scoperto la via di Gesù attraverso i compagni del quartiere. Tutti da famiglie molto umili che hanno accolto e sostenuto la loro vocazione. Con la loro testimonianza semplice e fraterna hanno portato allegria nella nostra possono capire se ci sono situazioni di difficoltà e se possiamo fare qualcosa per prenderci cura anche dei genitori». Ma l’obiettivo ultimo della scuola è quello di garantire l’iscrizione dei bambini all’anagrafe per avere i documenti e questo significa avere accesso alle cure sanitarie e all’istruzione. (Asia News) COLOMBIA UNA CHIESA CHE AVANZA «Camminare insieme ci ha permesso di ascoltare con pazienza e sincerità le comunità e le loro istituzioni. È stato uno spazio sicuro in cui, come pastori, abbiamo accolto le grida e incoraggiato nella speranza; abbiamo celebrato la fede con tutti loro, valorizzando la forza degli elementi simbolici di queste culture ancestrali; abbiamo conosciuto e riconosciuto il volto di una Chiesa che avanza in Amazzonia superando paure e timori, degna dell’ora che le è dato di vivere». In queste parole viene sintetizzata la visita che, nel segno della sinodalità e della vicinanza a questi popoli, il direttivo della Conferenza episcopale della Colombia, guidato dal presidente, monsignor Luis José Rueda Aparicio, arcivescovo di Bogotá, ha compiuto dal 9 all’11 giugno nei territori del vicariato apostolico di Puerto Leguízamo-SoMYANMAR ALVEARE D’ORO «Alveare d’oro» è un asilo nido, realizzato dall’organizzazione New humanity international, per i bambini di 4 anni che provengono dalla discarica di Insein, ai margini di Yangon, la vecchia capitale del paese. L’idea di una scuola per bambini in età prescolare è nata dall’incontro di padre José Magro, missionario brasiliano, con la comunità locale. «La gente qui vive alla giornata: vicino alla discarica c’è un grande mercato dove si vende quello che viene raccolto nella discarica, ma senza certezze riguardo al domani. Un giorno guadagnano qualcosa, il giorno dopo non si sa». Nella discarica di Insein vivono circa 350 famiglie, perlopiù trasferitesi qui dopo l’uragano Nargis del 2008 in cui persero la vita oltre 138mila persone. Le chiacchierate al mercato di p. José si sono trasformate in inviti a casa: davanti a un tè o a una ciotola di riso è nata l’idea di una scuola per i più piccoli, che passerebbero la maggior parte della giornata da soli nella discarica mentre i genitori lavorano. All’inizio le famiglie di Insein erano diffidenti, «ma piano piano si stanno aprendo e così le maestre a cura di Sergio Frassetto MC R la chiesa nel mondo Yangon (Myanmar): padre José Magro con i bambini della discarica di Insein. * Murang’a (Kenya): i missionari della Consolata che tra l’1 e il 3 marzo 1904 si sono riuniti a Murang’a dove hanno tracciato le linee orientative comuni per la loro metodologia missionaria. * 8 agosto-settembre 2022 MC

comunità». Dopo la visita alla missione, alla sera c’è stata una veglia di preghiera con i giovani della comunità di Dosso durante la quale questi seminaristi hanno raccontato la loro vocazione suscitando interesse e prospettive di nuovi orizzonti nella loro vita. E dopo la preghiera sono iniziati i balli al ritmo di tamburi e maracas, come il modo più spontaneo e gioioso di lodare e ringraziare Dio. Il Niger è un paese musulmano in gran parte desertico, e la Chiesa rappresenta appena l’1% della popolazione, una comunità piccola ma vivace nonostante le difficoltà, «e questi giovani lo rappresentano benissimo». (Fides) FRANCIA BEATA PAULINE JARICOT I I 23 maggio scorso, a Lione, il cardinale Luis Antonio Tagle, prefetto della Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli, ha presieduto la cerimonia di beatificazione di Pauline Jaricot, fondatrice della Opera della propagazione della fede e apripista di quelle che sarebbero state le Pontificie opere missionarie, nonché del Rosario vivente. In concomitanza con la beatificazione si è svolta l’Assemblea generale delle Pontificie opere missionarie (Pom) che ha coinvolto oltre cento direttori nazionali delle stesse provenienti dai cinque continenti. Nel comunicato finale le Pom esprimono il proposito di «tornare alle radici per costruire il futuro; abbeverarsi alle fonti, che sono la storia e l’esperienza di vita della beata Pauline Jaricot, per rigenerarsi, rinnovando la propria coscienza di essere battezzati e inviati, veri “discepoli missionari” di Cristo». (Fides) AFRICA BIODIVERSITÀ II Simposio delle Conferenze episcopali di Africa e Madagascar (Secam), nel corso di un evento svoltosi a Nairobi, in Kenya, in concomitanza con le sessioni preparatorie del summit delle Nazioni Unite sulla biodiversità (Cop15), previsto in Cina entro la fine dell’anno, ha reso nota una dichiarazione in cui si esortano i governi a intraprendere azioni urgenti ed ambiziose per proteggere le diverse forme di vita. Nel documento la Chiesa africana invita soprattutto i governi del Nord del mondo a essere trasparenti, a dar conto del loro operato e a tener fede agli impegni finanziari che sono stati presi per arrestare la perdita di biodiversità e promuoverne il recupero. E, a proposito della biomassa del bacino del fiume Congo, la seconda foresta tropicale più grande del mondo, i vescovi segnalano il disboscamento illegale e abusivo e l’accaparramento delle terre legato all’agricoltura industriale, che mettono a rischio la sopravvivenza delle popolazioni indigene e delle specie in via di estinzione. Il Secam sottolinea inoltre come l’emergenza climatica e la crisi della biodiversità siano strettamente legate e spiega che il motivo è la distruzione della biomassa, che provoca la perdita di una risorsa chiave per assorbire il diossido di carbonio nell’atmosfera, cosa che aiuta a mitigare il riscaldamento globale. Allo stesso modo, si sottolinea che il problema ecologico è inseparabile dal suo aspetto sociale perché gli abusi contro la biodiversità colpiscono comunità vulnerabili, che da secoli si prendono cura di questi ecosistemi, e generano anche diversi conflitti sociali. (Vatican News) R MC * * Murang’a 2: il futuro della missione Dal 13 al 16 giugno scorsi si è svolto online il convegno Murang’a 2 organizzato dalle direzioni generali dei Missionari e delle Missionarie della Consolata allo scopo di fare memoria delle conferenze celebrate a Murang’a nel 1904 dai primi missionari giunti in Kenya due anni prima. Un evento in cui si stabilì un metodo missionario che comprendeva catechesi, formazione di catechisti, educazione, salute e visite ai villaggi, tutto per «trasformare l’ambiente», e che si è dimostrato valido fino ad oggi. Il convegno Murang’a 2 ha contato 651 partecipanti, missionari, missionarie e laici, 38 gruppi di lavoro e 6 lingue da 33 paesi, ed è stato un’occasione straordinaria di riflessione e condivisione sul carisma e sulla consolazione nella Bibbia, per guardare insieme al futuro della missione. Un evento sinodale di ascolto reciproco e della realtà, nella memoria dei tanti doni ricevuti, che potrà rilanciare l’entusiasmo e la passione per la missione ad gentes. Sono quattro le parole chiave che hanno accompagnato il convegno: comunione, perché la missione oggi più che mai è frutto di un «noi» piuttosto che di un «io»; carisma, una realtà viva con la sua storia e anche con l’inedito che, affidato a noi, è da costruire e da alimentare; missione, per chiederci che cosa suggerisce lo Spirito e per continuare a scegliere, con coraggio, un servizio ai non cristiani ovunque essi si trovino; sogno, per «non lasciarci rubare il sogno di una missione vera, di una sequela di Gesù che implichi il dono totale di sé» (papa Francesco). Nelle sue conclusioni, il convegno, ispirandosi a «Murang’a 1», ha riaffermato che il metodo missionario della Consolata si caratterizza per vicinanza, incontro, dialogo e accompagnamento. «Siamo eredi di un passato, responsabili di un presente, costruttori di un futuro pur con le nostre limitazioni e povertà. Solidali coi nostri popoli e tra noi, dobbiamo cercare di seguire il passo del Signore nel nostro oggi, qui e ora». Imc 9 agosto-settembre 2022 MC

IRAQ MC A Petrolio e inquinamento I COSTI DELLA «RICCHEZZA» e dei corsi d’acqua straripano di immondizia, non essendoci un sistema funzionante di raccolta dei rifiuti o di riciclo. Bassora vanta anche un tristissimo primato per il suo inquinamento: ogni mese le analisi sulla qualità dell’aria di questa città, la annoverano tra le più irrespirabili di tutto il Medio Oriente e ad altissimo rischio per la salute. PETROLIO E RAFFINERIE Guidando attorno a Bassora ci vuole poco per capire il perché. Ovunque sono visibili gli impianti di estrazione del petrolio e le raffinerie, quasi tutte a ridosso dei villaggi. Mi fermo davanti a una di queste enormi strutture nella periferia della città: il complesso di Nahr Bin Omar. Mentre mi appresto a scattare delle foto arrivano dei poliziotti. Cominciano a urlare testo e foto di ANGELO CALIANNO 10 agosto-settembre 2022 MC A Bassora, seconda città dell’Iraq, il petrolio non ha portato benessere, ma disastri ambientali, inquinamento emalattie. Abbiamo incontrato chi paga le conseguenze di questa «ricchezza». che non è possibile far fotografie minacciando di portarmi in centrale e di sequestrarmi la macchina fotografica. Dopo qualche attimo di tensione, sono costretto a cancellare le poche foto fatte e vado via. Continuando a guidare, noto che un uomo mi segue in auto e, appena fuori dalla zona sorvegliata, comincia a segnalarmi la sua presenza con i fari lampeggianti. Fermata l’auto, si accosta a me: «Ho visto quello che ti hanno detto. Non è giusto che tu non possa documentare. Quello che accade va raccontato. Seguimi, ti mostro qualcosa». Dopo qualche sentiero impervio e aver attraversato baraccopoli di lamiera, arriviamo alle spalle della raffineria. L’enorme centrale, praticamente attaccata a uno dei villaggi dei sobborghi, Bassora. Questa antichissima città si trova nel Sud dell’Iraq. Fu abitata dai Sumeri e dai Persiani. In seguito, nel settimo secolo dopo Cristo, divenne una delle più grandi metropoli del giovane Islam. Qui, in un corso d’acqua chiamato Shatt al Arab, confluiscono anche il Tigri e l’Eufrate. Oggi però Bassora è più conosciuta per la quantità delle risorse presenti nel suo sottosuolo. Qui, infatti, si estrae il 70% del petrolio greggio dell’intera nazione. Bassora è il secondo esportatore di tutto il Medio Oriente dopo l’Arabia Saudita. Stando a queste percentuali, la città e la sua provincia dovrebbero essere ricchissime. Invece, la disoccupazione raggiunge il 25% e quella giovanile il 30%. Molte delle sue strade principali

«gas flaring»: bruciano all’aria aperta i gas derivati dall’estrazione del petrolio immettendoli quindi nell’atmosfera. Solo nel 2019, si è stimato che più di centomila persone siano state ricoverate per avvelenamento delle acque potabili, la maggior parte di loro erano bambini. IL BASRA CHILDREN HOSPITAL Per trattare tumori e leucemie in età infantile, come punto di riferimento, c’è il solo Basra children hospital, che ha 125 posti letto, sempre occupati. Centinaia sono poi le famiglie che arrivano qui quotidianamente per i trattamenti di chemio e radio terapia. Al Basra children hospital mi accoglie il direttore, Osama Abdullah: «Lavoro qui da 12 anni. La situazione è complicata perché molte famiglie, soprattutto quelle che vivono nelle zone rurali e più lontane, arrivano in ospedale in uno stadio delle malattie molto avanzato e, spesso, non c’è molto che possiamo fare». Chiedo: «Dottore, quali sono le cause principali di questi tumori in età infantile? E quanto c’entra l’inquinamento?». «È difficile fare una stima, anzi direi impossibile per getta fiamme e fumo nero nel cielo, scaricando anche diversi liquami nel corso d’acqua sottostante. «Vedi? Lì viviamo noi, proprio sotto le ciminiere. Le nostre case sono sempre piene di polvere e tutti abbiamo dei problemi respiratori o tumori, soprattutto i bambini. A nessuno importa, il ministero del petrolio ci fa arrivare dei soldi, ci garantisce l’assunzione per dei lavori nelle loro industrie, ma siamo tutti malati». Gli impianti petroliferi qui usano ancora il sistema, obsoleto e pericolosissimo per l’ambiente, del agosto-settembre 2022 MC 11 Qui: veduta dell’impianto petrolifero di Nahr Bin Omar, alle porte di Bassora. | Sotto: una mandria di bufali nelle acque delle paludi della Mesopotamia, biotopo protetto dall’Unesco in gravissimo pericolo a causa del cambio climatico e dell’inquinamento. * A MC Petrolio e gas | Bassora | Mesopotamia | Inquinamento " A Bassora, i livelli dell’inquinamento sono tra i più alti del Medio Oriente.

la mancanza di dati. Alcuni sono fattori genetici, altri sociali, come i rapporti tra consanguinei. Sicuramente l’inquinamento ha degli effetti, ma in Iraq non c’è nessun istituto di ricerca che raccoglie i dati e li collega direttamente al numero di tumori e leucemie». Il nostro interlocutore continua: «Noi cerchiamo di curare i pazienti, ma purtroppo non abbiamo anche le risorse per indagare sulle cause. Ci manca inoltre il personale: medici, tecnici, infermieri. Dall’Iraq ancora molta gente scappa via, qui abbiamo molti dottori giovanissimi sia residenti che tirocinanti, ma ce ne vorrebbero almeno altri 5-6 per ogni reparto». Camminando per le corsie, incontro, oltre ai giovani dottori, tanti pazienti con le loro famiglie. Molti vengono da cittadine lontane e devono affrontare enormi sforzi economici per raggiungere questo ospedale, l’unico in tutto il Sud dell’Iraq. Bambini come Hussein, quattro anni di cui tre passati in chemioterapia, o Karaar, ragazzo di 15 anni affetto da una grave forma di leucemia. Sua madre mi rac- * IRAQ conta: «Ho cinque figli che ho dovuto lasciare per venire qui. Prima di poter arrivare abbiamo fatto anche molti test privati che non era possibile fare in ospedale. Ogni test costa 100 dollari, alcuni 200. Rimanere qui è gratuito ma non sempre si può. 12 agosto-settembre 2022 MC

effetti dell’inquinamento: sono le marshes, le paludi della Mesopotamia, uno degli esempi più importanti di biodiversità di tutto l’Iraq. Le marshes sono la più grande area umida di tutto il Medio Oriente, oltre diecimila chilometri quadrati di paludi che svolgono un importantissimo compito di «filtraggio» dell’inquinamento del Tigri e dell’Eufrate, preservando così la costa del golfo dalla degradazione. Oggi questa vastissima area è a rischio di scomparsa a causa del riscaldamento globale, della contaminazione delle acque e delle opere ingegneristiche degli stati confinanti. Le marshes hanno una storia molto travagliata. Questi canali erano già navigati dai Sumeri e, stando agli scritti antichi, qui veniva collocato il giardino dell’Eden. Nel 1991, durante il regime di Saddam Hussein, a Bassora ci fu una rivolta da parte degli sciiti, repressa dal dittatore nel sangue e nella violenza. I sopravvissuti a quella strage si rifugiarono qui. Le milizie sciite anti Saddam usarono questi canali e isole per nascondersi e colpire nuovamente il regime con diversi attentati. Il rais Saddam ordinò allora una massiccia opera ingegneristica per prosciugare gran parte delle paludi. In pochi mesi le marshes vennero ridotte del 90% e la sua popolazione scese da 400mila a 40mila. Un disastro ambienQuindi dobbiamo andare e venire per le cure giornaliere. Non so ancora per quanto potremmo permettercelo». La madre di Karaar è solo un esempio delle decine di persone che, parlando con me, alla fine mi hanno chiesto un aiuto economico per questa gravissima situazione. LA MESOPOTAMIA E LE PALUDI IN PERICOLO La piaga dell’inquinamento non reca danno soltanto a ridosso delle raffinerie. Esiste un luogo in Iraq, dal 2016 anche patrimonio mondiale dell’Unesco, in cui è possibile misurare sia statisticamente che materialmente gli tale senza precedenti. Saddam, in seguito, usò le terre ormai in secca, per piazzare rampe missilistiche e bombardare l’Iran. DISASTRO AMBIENTALE NELLE «MARSHES» Qual è la condizione delle marshes oggi? E quella degli abitanti che ci vivono? A Chabaish, lo chiedo a Jassim Al-Asad, direttore del «Nature of Iraq», organizzazione che si occupa del monitoraggio, sensibilizzazione e protezione dell’ambiente in Iraq. «Sono nato nelle marshes. Ho visto questo luogo cambiare giorno per giorno. Ho vissuto il periodo di Saddam, quando le acque erano talmente basse da poter camminare sul fondo dei canali. I problemi che minacciano ancora queste zone oggi sono molti e vanno affrontati uno alla volta. Il primo è sicuramente il riscaldamento globale, qui più evidente che in altre zone del mondo, per l’immissione dei gas delle raffinerie nell’atmosfera. Le temperature, in particolare A sinistra: interno ed esterno delle abitazioni flottanti sulle acque delle marshes. | Qui: immagini del «Basra Children Hospital»: in alto, il direttore Osama Abdullah; sopra, Karaar, uno dei giovani pazienti; a lato, un corridoio dell’ospedale, tra donne velate e pareti rallegrate a beneficio dei piccoli ospiti. * A MC 13 agosto-settembre 2022 MC

MC negli ultimi quattro anni, si sono alzate moltissimo tanto che l’acqua d’estate evapora in quantità enormi. Di conseguenza, quella rimanente è salatissima e questa è una delle cause principali della morte dei bufali, animali che sono la principale fonte di sostentamento per la gente del posto. Quello che si coltiva serve per alimentare loro. I bufali vengono allevati per la carne, ma forniscono anche il latte e il burro. Ogni estate, però, ne muoiono a centinaia». «Un altro gravissimo problema è quello della mancata affluenza dei fiumi. Le nazioni confinanti, come l’Iran, hanno costruito dighe che bloccano alcuni dei corsi principali, questa è una delle cause del prosciugamento. C’è stata anche una conferenza molto importante mediata dalle Nazioni Unite, ci siamo seduti al tavolo con i ministri iraniani. Loro ci hanno promesso che avrebbero aperto alcune dighe facendo affluire più acqua ma, come immagini, non è mai successo». «Un terzo fattore di degrado è l’inquinamento che tu stesso hai avuto modo di notare: le fogne delle città scaricano direttamente nelle paludi. Una volta questi canali si navigavano con canoe mosse da lunghi remi, oggi, con l’introduzione delle barche a motore, non solo c’è più inquinamento ma il rombo delle imbarcazioni spaventa tante specie di uccelli migratori, altra componente fondamentale per la biodiversità di questi luoghi. Esistono molti piani ingegneristici in atto per migliorare questa situazione anche se, pur- * IRAQ A sinistra: Abu Haider, proprietario di una piccola mandria di bufali allevata tra le acque delle paludi. | Qui: alcune abitazioni sugli isolotti delle marshes. | In alto: bambine di Bassora si recano a scuola passando accanto agli inquinatissimi canali della città irachena. | A destra: gas bruciato fuoriesce dai camini della raffineria petrolifera. * La devastazione ambientale sta uccidendo l’allevamento dei bufali. " 14

agosto-settembre 2022 MC A MC 15 troppo, non ci sono ancora i fondi necessari. Abbiamo molta speranza che qualcosa possa cambiare ora che le marshes sono anche patrimonio dell’Unesco». Solcando i canali si scorgono paesaggi unici, mandrie di bufali che camminano nell’acqua, pescatori e tanti bambini sugli isolotti che salutano sorridenti. È facile capire perché la gente è così affezionata a questi luoghi e perché così tanto, anticamente, è stato scritto al loro riguardo. L’UNESCO NON BASTA In una delle isole incontro Abu Haider. Vive qui con la sua famiglia ed è proprietario di una piccola mandria di bufali. Scendendo dalla canoa vengo accolto dai suoi figli e nipoti. L’isolotto è una piccola fattoria con oche e galline, oltre ai bufali. Entro in una grande capanna che funge da sala da pranzo di giorno e camera da letto di notte, tranne che per Abu Haider. Il capofamiglia, infatti, dorme in una capanna a parte. Mi racconta: «Prima di Saddam lavoravamo anche molto con la pesca, oggi però c’è pochissimo pesce e l’unico nostro sostentamento deriva dall’allevamento dei bufali. Negli ultimi anni, però, d’estate fa così caldo che siamo costretti a spostarci verso i vilRisorse fossili e politica La trappola del gas Soltanto con la guerra di Putin (e di Medveded, Lavrov e Kirill) la maggior parte degli europei si è resa conto di quanto sia destabilizzante, per un paese importatore, la dipendenza energetica dai combustibili fossili. L’Italia è tra i paesi a più alta dipendenza dall’estero: il 77% del proprio fabbisogno. Il primo paese fornitore di petrolio all’Italia è l’Iraq che precede di poco l’Azerbaigian, seguito a sua volta da Russia, Libia, Arabia Saudita, Kazakistan, Nigeria e, con quote piccole (circa il 2%), da Angola, Stati Uniti ed Egitto. Tuttavia, è il gas che copre la maggior parte (41,8%) del fabbisogno italiano. Stando ai rapporti dell’Eni, di gran lunga il primo importatore italiano, il principale fornitore di gas dell’Italia è la Russia (51%), seguito a distanza da Libia (13%), Algeria (13%), Azerbaigian (10%), Paesi Bassi (8%) e Norvegia (5%). Dall’aggressione di Mosca all’Ucraina (24 febbraio) la situazione è precipitata in una spirale paradossale: paghiamo sempre più caro il gas comprato dal dittatore russo, il quale, in ogni momento e senza preavviso, può tagliare le sue forniture (per ricatto e per far aumentare il prezzo dello stesso e l’inflazione nei paesi importatori). Il governo Draghi sta cercando di ridurre la dipendenza dalla Russia, incrementando le forniture da paesi alternativi (Algeria, Libia e, per il gas liquefatto, Qatar, Congo, Angola e Mozambico). Tuttavia, la soluzione non è - scrive Lega Ambiente (maggio 2022) - «liberare l’Italia dalla dipendenza del gas russo per renderla dipendente da quello di altri paesi, molti dei quali con grandi problemi interni tra dittature e autocrazie». «Accelerare la crescita delle fonti rinnovabili - si legge sul sito di Italy for climate - permetterebbe all’Italia non solo di centrare gli obiettivi climatici, ma anche di ridurre la sua altissima dipendenza energetica dall’estero». Non migliore è la politica dell’Unione europea. A febbraio, la Commissione ha incluso il gas (e il nucleare) nella «tassonomia verde» (la classificazione delle attività ecosostenibili), attirando dure critiche. Secondo le associazioni ambientaliste, se la decisione sarà confermata (lo scorso 6 luglio il Parlamento di Strasburgo non si è opposto), la tassonomia Ue bloccherà la transizione energetica e, inoltre, porterà miliardi extra nelle casse del Cremlino. Già ora Mosca riceve un miliardo di euro al giorno dai paesi europei, con Germania e Italia in testa. Oggi la Russia - ecco il paradosso e la trappola - esporta meno gas (petrolio e carbone), ma guadagna di più, attutendo perciò l’impatto delle sanzioni e finanziando la sua guerra in Ucraina. Il processo di decarbonizzazione è sicuramente difficile, lungo e costoso, ma urgente e indispensabile. È questo il momento storico per attuare quella «rivoluzione energetica» di cui tutti i governi si riempiono la bocca. Paolo Moiola

* IRAQ agosto-settembre 2022 MC Qui: Jassim Al-Asad, direttore di «Nature of Iraq». | In basso: Abu Haider e alcuni giovani membri della sua famiglia seduti all’esterno delle loro abitazioni situate sulle isolette delle paludi. * Il governo si concentra solo sull’estrazione del petrolio. " vive tuttora in uno stato di continua insicurezza. Sono ancora molti i villaggi, soprattutto nelle zone di confine, presi d’assalto dagli uomini del Daesh, oggi soprattutto per racimolare denaro e viveri. Nel frattempo, il governo di Baghdad continua a concentrare molti dei suoi sforzi economici sull’estrazione del petrolio, lasciando così indietro i progetti di sviluppo e piani per la tutela dell’ambiente. La guerra in Ucraina ha aumentato la richiesta di combustibili fossili in questa zona, allontanando così un futuro migliore per molti iracheni che, per la propria salute e sicurezza, continuano a fuggire. Angelo Calianno* (*) Dello stesso autore, sul sito di MC, si possono trovare tre altri reportage dall’Iraq usciti ad aprile e maggio 2019 e a luglio 2022. laggi sulla terra ferma, perché le paludi stanno diventando invivibili, senza acqua e con temperature altissime. Quando andiamo via dobbiamo lasciare qui i bufali e, al nostro ritorno, ce ne sono sempre meno: ogni anno ne muoiono tantissimi». Continuando a navigare, si notano anche molte capanne ormai abbandonate. La popolazione delle paludi continua a diminuire. Molti giovani preferiscono tentare la fortuna nelle città più grandi o addirittura in Iran e Turchia, piuttosto che continuare ad abitare questi luoghi sempre più difficili. Pur essendo l’Iraq un paese che ha fatto molti passi avanti dopo la caduta dell’Isis nel 2017, qui si 16

17 agosto-settembre 2022 MC LA PORTA È CHIUSA BOSNIA-ERZEGOVINA MC A Una Sana, una terra ricca di fiumi e di boschi, con paesini caratterizzati da piccoli minareti. In questi luoghi, che trent’anni fa videro il conflitto dell’ex Jugoslavia, negli ultimi due anni si è creata un’emergenza straordinaria. La cittadina di Bihać, che conta circa 30mila abitanti, ha visto arrivare seimila profughi, in maggioranza provenienti dal Medio Oriente e diretti in Europa. Persone che, nonostante il diritto di chiedere asilo, vengono bloccate proprio sul confine tra Bosnia e Croazia, dove si fa di tutto per non farle proseguire. LA STRATEGIA DI FRONTEX È la «fortezza» Europa che non li vuole e che, come spesso accade, li ferma per interposta persona. In questo caso, è la Croazia - paese dell’Unione europea - che respinge i profughi, mentre la Bosnia prende il posto della Turchia o della Libia nel trattenerli. L’agenzia europea Frontex trova conveniente utilizzare la vicinanza geografica dei Balcani e la collaborazione di diversi governi desiderosi di entrare nella Ue (come la Bosnia Erzegovina), per rendere il contenimento dei migranti più semplice e, soprattutto, meno costoso. Rispetto a quella del Mediterraneo, la rotta dei Balcani è meno nota ma sempre più frequentata. Qualunque sia la strada seguita, la questione delle migrazioni verso l’Europa rimane irrisolta. Reportage dai campi profughi della vicina Bosnia. di ROBERTO CALZA* l migranti «parcheggiati» a Lipa e Bihać Qui: una veduta del nuovo campo profughi di Lipa, in Bosnia, aperto il 19 novembre 2021; posto a 20 chilometri da Bihać, può ospitare fino a 1.500 persone. * © Geoffrey Brossard - Nangka Press - Hans Lucas - AFP Silvia Maraone è la responsabile del progetto di Ipsia (Istituto pace sviluppo innovazione, la Ong delle Acli) a Bihać e a Lipa, in Bosnia. Schietta e cordiale, Silvia si muove con autorevolezza e determinazione con istituzioni locali, poliziotti, cittadini, volontari, operatori di varie organizzazioni e con i profughi. Ci accompagna all’interno del campo di Lipa, raccontando come funzionano le cose, come sta evolvendo la situazione, quanto siano preziosi gli aiuti che arrivano dall’Italia. Siamo nel distretto bosniaco di

18 agosto-settembre 2022 MC Nel 2021, con un aumento del 125% di passaggi irregolari su questa rotta rispetto all’anno precedente, Frontex ha perseguito una logica securitaria fatta di fili spinati, campi di confinamento e militarizzazione dell’area. Ciliegina sulla torta, l’uso di moderne tecnologie, dai droni allo studio di sistemi di sorveglianza e controlli di tipo biometrico, come le impronte digitali, il riconoscimento facciale, ecc. (vedi Luca Rondi su Altreconomia n. 245). Pratiche che già molte organizzazioni contestano, considerandole illegali e pericolosissime dal punto di vista dei diritti umani e della privacy in campo digitale (lo si fa con i migranti, ma anche con i cittadini di molti paesi). IL «NON LUOGO» DI LIPA Così la zona è divenuta una sorta di collo di bottiglia, e la radura di Lipa, a 20 chilometri da Bihać e da qualsiasi altro centro abitato, si è trasformata inizialmente in una tendopoli di quasi duemila profughi, mentre altri venivano ospitati in città, in due campi provvisori. Dopo l’incendio di un anno e mezzo fa, le or- * BOSNIA-ERZEGOVINA ganizzazioni internazionali e la municipalità di Bihać hanno deciso di attrezzare l’area, che ora si presenta più funzionale e dove in maggio è stata inaugurata una nuova zona per le attività dedicate ai bambini (grazie ai fondi inviati direttamente da papa Francesco). Ma non cambia il fatto che questo campo tra i boschi della Bosnia resti un «non luogo» in mezzo al nulla, con millecinquecento posti - fino a giugno, occupati da circa 400 ospiti - con ben poche possibilità di interazione con il territorio. Oltre alla distanza fisica, infatti, esiste anche una differenza culturale importante: la maggioranza di queste persone provengono da Afghanistan e Pakistan, ma ci sono anche siriani, iraniani e diversi africani. Oltre a un centinaio di cubani, la cui storia è davvero originale, nella sua drammaticità. Andare negli Usa può costare troppo, e allora si ripiega sull’Europa, e la Russia - non distante dal sogno europeo - è uno dei pochi paesi in cui un cubano può sbarcare senza visto (ma dove non può restare né chiedere asilo). Di respingimento in respingimento, anche i cubani sono finiti a Lipa, luogo nel quale tutti (maschi e femmine, famiglie, giovani e meno giovani, di qualsiasi provenienza) hanno un unico scopo: varcare il confine. LA STRUTTURA Lipa è la tappa principale per chi prova e riprova «the game», il cammino verso l’Europa, ed è disposto a tutto per realizzare il proprio progetto migratorio. Un percorso sempre più ostacolato - anche con metodi brutali - dalle autorità croate che hanno persino «rasato» una striscia di bosco a ridosso del confine per individuare meglio con i droni coloro che provano ad emigrare - come cantava Ivano Fossati - «da una terra che ci odia ad un’altra che non ci vuole». Ipsia è un’organizzazione particolarmente attiva a Bihać e nel campo, dove ha promosso al- Qui: una fila di migranti in attesa di ricevere cibo davanti alle tende del vecchio campo di Lipa, il 20 gennaio 2021. | In alto a destra: migranti giocano a calcetto in una struttura del campo. | Sotto: la mappa mostra i tragitti dei migranti per raggiungere la Bosnia; il logo di Frontex. * © Samir Jordamovic - Anadolu Agency - AFP

voli esigenze portate dai migranti. Caritas Italiana (con l’appoggio di numerose Caritas diocesane), Caritas Banja Luka, Ipsia, Croce Rossa (sia internazionale che locale), l’agenzia delle Nazioni Unite per le migrazioni (Iom), alcune Ong di Danimarca e Austria e pure l’ambasciata italiana, hanno permesso di gestire la situazione in modo tutto sommato efficace, per quanto sempre emergenziale. «All’inizio dell’emergenza - racconta il responsabile della Caritas di Banja Luka che a Bihać ha aperto un ufficio appositamente per far fronte alla complessa situazione - erano presenti una cune iniziative innovative, sostenute da molti donatori italiani, come il servizio di lavanderia, le cucine collettive, i social cafè. Il primo si era reso necessario per urgenti problemi igienico sanitari, in quanto molti migranti indossavano per giorni gli stessi vestiti senza poterli lavare e cambiare, cosa che aveva provocato diversi casi di scabbia. Le cucine - una decina di grandi bracieri a legna - sono invece una felice intuizione che permette a molti ospiti di sentirsi protagonisti nel cucinare i loro pasti, secondo la loro tradizione e le loro capacità. I social cafè sono infine una modalità per favorire le relazioni all’interno del campo, tramite un tè o un caffè, alcune attività ludico ricreative e culturali, con il supporto di operatori e volontari. «Ora i posti a disposizione sono sufficienti e l’essenziale c’è - ci dice Silvia -, ma per proseguire con le cucine (cibo e legna costano 3/4mila euro al mese) e la lavanderia (altri 5mila) serviranno altri fondi, oppure dovremo ridurre il numero di beneficiari. Inoltre, oggi i profughi in tutta la Bosnia sono meno di duemila, ma se i numeri aumenteranno - come potrebbe accadere - rischieremo nuovamente di trovarci in difficoltà». Oltre a Ipsia, il campo - ma anche la città di Bihać - vede la presenza di una decina di realtà internazionali e locali che hanno costruito efficaci sinergie finalizzate a rispondere alle innumereProfughi | Frontiere | Solidarietà | Europa | Ong A MC 19 agosto-settembre 2022 MC Lo scopo è uno solo: varcare il confine. " © Roberto Calza

20 BOSNIA-ERZEGOVINA * agosto-settembre 2022 MC I boschi della Bosnia non sono la giungla tropicale, ma «jungle camp» è il modo in cui vengono indicati gli accampamenti nei boschi, fuori dai campi profughi autorizzati («squat» invece è il termine usato in area urbana). In mezzo agli alberi o appoggiandosi a qualche rudere nelle campagne piuttosto che a qualche capannone dismesso in una periferia urbana, alcune centinaia di persone stazionano nei pressi del confine, pronte all’ennesimo giro di giostra, per attraversare quella linea che li separa da un’Europa che, in questi anni, è divenuta una sorta di nuovo Eldorado. All’interno delle attività del Jesuit refugee service (Jrs, in Italia rappresentato dal Centro Astalli), che ha un presidio nel campo di Lipa, c’è quella di «outreach», la ricerca di questi campi informali, con conseguenti visite a chi li popola, in particolare nella zona di Bihać e di Velika Kladuša. È un lavoro particolare, fatto di relazioni, di contatti, di condivisione di informazioni con altre organizzazioni e anche di un’attenta lettura del territorio. Se infatti alcuni luoghi sono ormai divenuti punti fermi di transito di molte persone, altre volte è necessario intuire - da un sentiero accennato in un prato, dalla presenza di volti nuovi in città, da qualche rifiuto lasciato nei boschi - dove si formano nuovi insediamenti. Il sostegno che viene fornito da Jrs a chi vive nei jungle camp è principalmente di due livelli: quello materiale, che consiste nel rifornire i profughi di quanto può servire ad affrontare «the game» (es. vestiti e powerbank per i cellulari), e quello sanitario con visite mediche per accertare le condizioni di salute e, in caso di necessità, inviare le persone a professionisti (dentisti, oculisti, medici) convenzionati con l’associazione che paga il conto. Non è concesso consegnare viveri. L’ALTRA FACCIA DELLA ROTTA BALCANICA Chi vive nei jungle camp? Per lo più si tratta di uomini, soprattutto pachistani e afghani, anche se non manca qualche famiglia (nei nostri giri abbiamo incontrato un paio di nuclei nepalesi e una famiglia iraniana) che decide di attendere in ripari di fortuna il momento buono per partire. Sono luoghi che rappresentano l’altra faccia della rotta balcanica, che raccontano vicende che vale la pena far conoscere. Nei pressi di una casa abbandonata alla periferia di Velika Kladuša incontriamo John, giovane camerunense che necessita di cure mediche. Ha infatti un labbro enorme, tumefatto da un pestaggio da parte delle guardie di frontiera, confermato dai segni di uno stivale sulla guancia. Gli operatori di Drc (Danish refugee council), la grande organizzazione danese che - tra i vari interventi - si occupa di fornire cure sul campo, esaminano il volto di John e sostengono che loro possono fare ben poco, meglio sarebbe se fosse sotto controllo medico per qualche giorno, per evitare complicazioni. Gli viene suggerito di farsi portare al campo di Lipa (è possibile chiamare il dipartimento per l’immigrazione bosniaco che fa questo servizio) dove l’assistenza medica è più strutturata e h24. John tentenna, non gli piace troppo dover tornare al campo, ma alla fine accetta, ponendo però una © Stefano Calza Storiedi altri migranti Ancora, ancoraeancora Sopravvivono fuori dai campi ufficiali, ma resistono e non demordono: continueranno a provare il passaggio in Europa. Assistiti dai volontari del Jrs.

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