Missioni Consolata - Luglio 2022

Poste Italiane S.p.A. - Spediz. in abb. postale "Regime R.O.C." - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1, NO/TORINO

IL NUOVO LIBRO DI VANDANA SHIVA Vandana Shiva Dall’avidità alla cura La rivoluzione necessaria per un’economia sostenibile Una fondamentale riflessione dell’attivista indiana sulla pandemia e la crisi ecologica e sociale nell’ottica della Laudato si’ Dall’avidità alla cura. La rivoluzione necessaria per un’economia sostenibile Emi, 226 pagine, € 16 In libreria o sul nostro sito: www.emi.it «Solo scegliendo la via della cura consegneremo alle nuove generazioni un mondo migliore» vandana shiva

AI LETTORI Ai lettori MC R di Gigi Anataloni, direttore MC EDI ORIALE MC di Gigi Anataloni, direttore MC Sussurrare Il 10 luglio la piccola Chiesa cattolica in Mongolia compirà trent’anni. È la data in cui è «rinata» in quel paese dove pure il cristianesimo era arrivato oltre un millennio fa. È una Chiesa piccola, quella mongola, neanche 1.500 cattolici e due preti nativi, ma è giovane e bella e piena di speranza e vitalità. In più, proprio in questi giorni, ha ricevuto un dono inaspettato: il suo vescovo, monsignor Giorgio Marengo, missionario della Consolata, compare nella lista di coloro che verranno nominati cardinali nel prossimo Concistoro del 27 agosto. Sarà il più giovane. Quella mongola è una Chiesa di periferia che «sussurra il Vangelo al cuore dell’Asia», come scriveva padre Giorgio nel giugno 2018 su MC. «La missione sta nel mettere in comunicazione il “cuore” con il Vangelo e nell’innescare quel delicato processo di dialogo e crescita nel quale nessuno dei due interlocutori rimane indifferente all’altro. Ecco perché vorrei parlare della missione come di un “sussurrare il Vangelo al cuore dell’Asia”, prendendo in prestito l’espressione usata al sinodo per l’Asia del 1999 da Thomas Menamparampil, arcivescovo emerito di Guwahati (India): perché ritengo che per parlare del mistero di quest’incontro, sia più efficace un’espressione evocativa, un’immagine, piuttosto che una teoria o un “paradigma” missionario». E continuava: «Il verbo “sussurrare” allude a una relazione. Nel nostro caso, una relazione con Dio ricevuta come dono e coltivata come scelta d’intimità, preghiera, dialogo vitale. Noi missionari siamo chiamati a sussurrare al cuore di Dio e a lasciare che Colui che ci manda a essere sue epifanie presso i popoli asiatici sussurri al nostro cuore. Siamo chiamati a metterci in relazione con le persone alle quali siamo inviati, alla vicinanza, all’immersione nel loro mondo. Due persone si sussurrano a vicenda qualcosa solo quando sono in confidenza. Non si sussurra all’orecchio del primo che capita. E quello che si comunica nel sussurro è qualcosa di profondo, di vitale, che esige un certo pudore, un’aura di mistero, oltre che di rispetto». S ussurrare non è una strategia, né una tattica, ma un modo di essere e di relazionarsi con gli altri. Richiede confidenza, rispetto, familiarità, fiducia. È vicinanza e intimità. Per questo, forse, può diventare un verbo di grande rilevanza oggi, quando invece i mesaggi, se messaggi sono, vengono urlati, imposti, lanciati come bombe. Più «urlati» sono, più like ricevono, più visualizzazioni contano, più «veri» appaiono per chi li riceve. Senza lasciare spazio per la riflessione, l’approfondimento e il confronto. Sussurrare diventa anche una sfida per quei politici che lanciano slogan per dire tutto e il contrario di tutto con l’occhio agli indici di ascolto e ai consensi elettorali. È una provocazione per i grandi della terra che pensano di comunicare con quindici metri di tavolo tra loro o di conquistare il mondo a suon di cannonate. Papa Francesco, quando parla di una «Chiesa in uscita», dimostra di avere a cuore la sfida del «sussurrare il Vangelo». Non più una chiesa di potere, ma una «famiglia». Una vera «parrocchia» (che etimologicamente vuol dire «vicinato»), cioè comunità di vicini, i quali si parlano, si ascoltano, si incontrano, hanno cura gli uni degli altri e dell’ambiente. Persone che reagiscono al terribile anonimato della nostra società che mette gli uni contro gli altri nello stesso palazzo, che isola le famiglie, che proibisce ai bambini di giocare nel cortile - se mai c’è - e costringe a far festa con amici e famigliari nei ristoranti o nei centri commerciali, perchè l’appartamento è troppo piccolo per accogliere tutti e, soprattutto, si rischia di disturbare. Una società che non permette più nemmeno di piangere i propri cari nell’intimo della casa, e incoraggia invece ad affidarsi alle efficentissime (e falsamente personalizzate) «case del commiato» che offrono, tutto incluso, anche il servizio religioso. La logica del sussurro contesta il rumore, l’esibizione, la pubblicità, la fretta. Ama il silenzio, l’incontro personale. Il sussurro non usa la forza, non fa tappare le orecchie, ma apre il cuore. È vicinanza e rispetto. Non giudica. Sussurrare è come il vento tra le foglie. È esserci senza imporsi, senza mettersi al centro, rispettando i tempi dell’altro, senza pressioni e ricatti. Il sussurro è il modo con cui Dio ci parla, con una Parola che va al cuore. «Sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me» (Ap 3,20)». 3 luglio 2022 MC

* * * * * 08 CHIESA NEL MONDO a cura di Sergio Frassetto 23 E LA CHIAMANO ECONOMIA Criptovalute, il denaro invisibile di Francesco Gesualdi 32 CAMMINO DI LIBERTÀ 16. Un Dio amuleto (Es 32) di Angelo Fracchia 63 I VIAGGI DI DAN Camerun. La speranza è nella scuola di Dan Romeo 67 COOPERANDO Più cuore e più spazio di Chiara Giovetti 81 LIBRARSI Fratelli di guerra di Sante Altizio In copertina: un canale nelle paludi irachene della Mesopotamia, alimentate dall’Eufrate (foto di Angelo Calianno) https://www.rivistamissioniconsolata.it Gli articoli pubblicati sono responsabilità degli autori e non riflettono necessariamente l’opinione dell’editore. - I dati personali forniti dagli abbonati sono usati solo per le finalità della rivista. Il responsabile del loro trattamento è l’amministratore, cui gli interessati possono rivolgersi per richiederne la verifica o la cancellazione (D. LGS. 196/2003). 7 | Luglio 2022 | anno 124 Il numero è stato chiuso in redazione il 13 giugno 2022 e consegnato alle poste di Torino prima del 30 giugno 2022. 03 AI LETTORI Sussurrare di Gigi Anataloni 05 NOI E VOI Lettori e Missionari in dialogo ANCORA POCHI SORRISI PER I KHMER CAMBOGIA di Piergiorgio Pescali a cura di Paolo Moiola MC A ossier 4 luglio 2022 MC MC R 10 IRAQ Una fuga che non si arresta di Angelo Calianno 17 MESSICO Per un volto, un nome, una storia di Stefania Garini 26 ITALIA Obiezione coscienza. Tu non uccidere di Marco Labbate 51 TAIWAN Vento europeo sullo stretto di Lorenzo Lamperti 57 TANZANIA Tutte le sfide della presidente di Marco Bello 71 AMICO Il Padre mio è differente inserto a cura di Luca Lorusso MC I SOMMARIO 35 * 10 * 17

A cura del Direttore MC R Noi e voi LETTORI E MISSIONARI IN DIALOGO I I I I I I Caro signor Andrea, rispondo a nome della redazione che lei interpella. Comincio sottolieando che l’articolo in questione è breve di sua natura e quindi non ha né la pretesa né lo spazio fisico per poter approfondire ogni aspetto della complicatissima situazione dell’Ucraina e neppure offrire un’analisi storica completa (fatta poi in MC 05/2022). Per questo, ad esempio, il prestito del Fmi è stato solo accennato in collegamento con l’accordo Ue del 2013, senza entrare in tutti i dettagli. Poi vorrei far notare come non ci sia da parte nostra l’intenzione di demonizzare la Russia in quanto tale. Di fatto il testo condanna gli atteggiamenti di prepotenza da qualsiasi parte provengano e propone il superamento della logica dei blocchi, in modo da spezzare la spirale dell’inimicizia che porta inevitabilmente alla guerra. Da ultimo l’articolo reclama la pace per porre fine alle sofferenze di chi sta morendo sotto le bombe. L’autore del testo, il nostro Francesco Gesualdi, se è partigiano, lo è dalla parte della pace, «che si prepara con la pace» non con il «para bellum». Questa rivista, anche ospitando con libertà opinioni diverse, non intende essere spazio di scontro, ma luogo di incontro per persone che sono capaci di «piangere» (cfr. Mt 5,4) con l’umanità che soffre, sia essa nell’Ucraina devastata dalla violenza che nelle famiglie di tanti giovani russi, specialmente provenienti dalle zone più povere e remote del paese, sacrificati al moloch della guerra. Vuole essere spazio per persone che, convinte che la guerra non costruisce la pace, diventano ogni giorno costruttori di pace, attenti alle persone concrete, a ogni persona, senza applicare etichette, senza dividere il mondo in buoni e cattivi, ispirati dall’esempio del buon samaritano (cfr. Lc 10,30-37). UCRAINA Gentile redazione, riguardo all’articolo a pag. 64 del numero di aprile 2022 vorrei sì ringraziare per aver affrontato l’argomento (non mi stupisce in realtà), ma anche far notare che l’argomentazione portata per spiegare il tentativo d’avvicinamento dell’Ucraina alla Ue sia in realtà tendenzioso. Capisco la ristrettezza degli spazi e non si può raccontare tutto in tre pagine, ma se non si dice che ai tempi del rifiuto di Janukovyc di sottoscrivere l’accordo di scambio in realtà si trattò di una scelta tra due proposte, una della Ue e Fmi (è fondamentale dirlo per capire correttamente) e l’altra della Russia, che poi lei dice non aver sborsato neanche un rublo per l’Ucraina. La scelta per la proposta russa fu spiegata dal governo ed era proprio dovuta alle richieste del Fmi... Mi stupirebbe se lei non sapesse di cosa si tratta. La proposta russa, la cui economia non è così potente come quella occidentale, puntava su un accordo con condizioni di favore. La Russia sapeva benissimo come era la situazione ucraina e non stupisce che il Fmi poi si lamentò dell’utilizzo dei fondi e credo anche che li sospese. Nell’articolo, oltre a dare per scontato il solito noiosissimo pregiudizio che la Russia sia sempre brutta e cattiva e dalla parte del torto, e che la Eu sia sempre e solo buona e il faro di ogni paese, sembra insinuare una sorta di disonestà congenita nella Russia. Sarebbe auspicabile che nei prossimi articoli non si facesse come si fa su tutti i giornali e cioè, dicendo che c’è un aggressore e un aggredito (certo, se si guarda solo il 24 febbraio è cosi) si stabilisce a priori chi è il buono e chi è il cattivo, e ciò diventa un alibi per non analizzare tutte le vere cause di questo bruttissimo conflitto. La Russia e la Gb-Usa (via Nato, perché la Eu purtroppo non conta nulla, soprattutto con una Von der Layen completamente supina al volere Usa), si contendono l’Ucraina da un bel po’, e se Putin ora non vuole più sentire ragioni e si siederà al tavolo di un negoziato solo quando lo riterrà conveniente, dall’altro lato abbiamo gli Usa con la Gb che vogliono solo prolungare più che si può questo conflitto. Degli interessi degli ucraini, quelli sfollati per intenderci, non interessa a nessuno, anzi forse un po’ più interessa alla Russia, non certamente agli Usa-Gb. Cordiali saluti Andrea Sari 17/05/2022 5 luglio 2022 MC © AfMC / Luca Bovio

Noi e Voi GRAZIE, ANNALISA VANDELLI Cara Annalisa, io ti conosco solo un po’ per aver letto, tempo addietro, quanto hai scritto su padre Giuseppe Richetti (1933-1993), tuo zio e missionario della Consolata in Kenya. Ora sei venuta alla ribalta con «Acqua in Bocca», un volume poderoso su fratel Peppino Argese (1932-2018), il missionario della Consolata che raccoglieva «le lacrime della foresta» del Nyambene (Meru, Kenya) e le incanalava in uno stupefacente acquedotto, portatore di vita per una marea di gente assetata. Annalisa, hai composto un’opera con un protagonista «silenzioso», coadiuvato da altri personaggi di notevole spessore umano. L’ultimo è padre Daniele Giolitti, laureatosi in ingegneria al Politecnico di Torino proprio con una tesi sull’acquedotto del «silenzioso». Tuttavia, protagonista «ultimissima» sei tu, Annalisa, con la tua penna faconda. A me «Acqua in Bocca» affascina perché è «un balcone spalancato sul mondo». Da tale balcone, puoi scorgere pure l’assassinio di Robert Kennedy, fratello del presidente statunitense John (anche lui ucciso), come anche il martirio della volontaria missionaria Annalena Tonelli (Somalia) e quello di padre Giuseppe Bertaina (Kenya). Inoltre, deplori la guerra americana in Vietnam. Non manca papa Francesco tra i profughi a Lampedusa. E moltissimo altro. Per esempio, Regina, la domestica di fratel Peppino. Un giorno la donna apre la porta a tre individui che esigono dal «silenzioso» (prossimo alla morte) privilegi danarosi nella gestione dell’acquedotto nella foresta. Gli si sono presentati con il dono di alcune uova marce. Regina li caccia furiosa. Che regina... quella Regina! Il «silenzioso» le sussurra: «Grazie, Regina. Però non avventarti contro le tenebre. Pensa piuttosto a tenere accesa la tua lampada». «Acqua in Bocca» non è un racconto né una biografia. È una corale o un poema, un poema impregnato dalla sacralità della foresta del Nyambene. Il «silenzioso» vi «si inginocchia, perché lì c’è Dio. Questa è la sua chiesa». Ha concesso a fratel Peppino Argese di entrare, di ascoltare la sua parola appesa ai rami. Cara Annalisa, ti ho scritto queste righe per dirti semplicemente: grazie. padre Francesco Bernardi, missionario della Consolata in Tanzania, 26/05/2022 Padre Francesco ricorda anche Regina, che ha servito fratel Mukiri con tanta dedizione. Regina ora è insieme lui nelle splendide foreste del Paradiso dove il Signore l’ha chiamata il 12 maggio 2022, dopo una breve e improvvisa malattia. Aveva cinquant’anni. Ricordo che il «poderoso» libro «Acqua in bocca, storia di fratel Peppino Argese, il silenzioso che raccoglieva le lacrime della foresta» (368 pagine di cui 48 fotografiche) è disponibile su richiesta anche all’indirizzo della rivista con contributo minimo di 15€. 6 luglio 2022 MC UN CAMMINO DI LIBERTÀ Egr. Signori, leggo con interesse e soddisfazione, anche se non sempre concordo o capisco, la rubrica «Un cammino di libertà» e chiedo a tal proposito se l’insieme delle puntate verrà raccolto in un unico documento leggibile nel futuro in Internet. Grazie per la risposta e buon cammino. Saverio Compostella 17/05/2022 Caro signor Saverio, sarà nostra cura raccogliere tutti i capitoli dedicati al cammino di libertà del popolo d’Israele e nostro. L’abbiamo già fatto con altri testi apparsi sulla nostra rivista, facilmente scaricabili dal nostro sito. Nel caso, se ce ne fosse richiesta, potremmo anche fare delle stampe cartacee delle stesse raccolte (costi da studiare) per chi preferisce leggere ancora su un buon vecchio libro. © AfMC /Gigi Anataloni | Regina con i figli e fratel Argese, nel 2012.

Le nostre email: redazione@rivistamissioniconsolata.it / mcredazioneweb@gmail.com R R MC 7 luglio 2022 MC MONSIGNORGIORGIOMARENGOCARDINALE «Il Papa ha annunciato la creazione dei nuovi porporati: tra di essi tre capi di dicastero della Curia. Sedici gli elettori, cinque ultraottantenni. Cinque italiani, tra cui il vescovo di Como Cantoni, l’emerito di Cagliari Miglio e il professor Ghirlanda. Il più giovane con i suoi 48 anni è Marengo, prefetto apostolico di Ulan Bator, capitale della Mongolia». (Vatican News 28/05/2022) Missionari carissimi, il Signore continua a benedire il nostro Istituto con il suo immenso amore. Oggi il papa Francesco ha nominato il nostro caro monsignor Giorgio Marengo cardinale. È il primo cardinale dell’Istituto, è un dono di Dio e un riconoscimento per il nostro Istituto, è un dono del nostro amato Fondatore il beato Giuseppe Allamano. Mi trovo a Boa Vista, precisamente all’aeroporto pronto per partire per San Paolo: ho letto la notizia nel mio cellulare che è stato riempito di messaggi e di auguri. Che bello sentire e vedere tanta vicinanza e affetto, tanta gente che ama la Consolata nei suoi figli e figlie. Grazie a Dio non passano solo le notizie brutte di guerre e ingiustizie, ma vengono anche comunicate le notizie belle, buone e vere, quelle che riscaldano il cuore e fanno del bene. La notizia della nomina di Giorgio è una buona notizia che fa bene a tutti: alla chiesa, al mondo, all’Istituto, all’Asia e a tutti noi. La nomina di Giorgio è per noi tutti un messaggio e un invito all’impegno, alla generosità, alla disponibilità alla volontà di Dio nella nostra vita. È conferma che la missione non ci appartiene ma è opera di Dio e che noi siamo semplici strumenti nelle sue mani. Che questa notizia, che questo nuovo servizio di Giorgio alla Chiesa sia per noi tutti benedizione, consolazione e ringraziamento. La Consolata benedica e accompagni Giorgio, sostenga e doni salute a sua madre e a sua sorella, doni a tutti noi più gioia nel servizio, più generosità nella missione e più speranza per il futuro. Al caro Giorgio, nuovo cardinale, a tutti voi, coraggio e avanti in Domino! padre Stefano Camerlengo Boa Vista, 28/05/2022 Chi è il nuovo cardinale Monsignor Giorgio Marengo è nato il 7 giugno 1974 a Cuneo. Dal 1993 al 1995 ha studiato filosofia presso la Facoltà teologica dell’Italia Settentrionale e dal 1995 al 1998 teologia nella Pontificia Università Gregoriana (Roma). Dal 2000 al 2006 ha compiuto ulteriori studi presso la Pontificia Università Urbaniana, conseguendo la licenza e il dottorato in Missionologia. Ha emesso la professione perpetua il 24 giugno 2000 come membro dell’Istituto Missioni Consolata ed è stato ordinato sacerdote il 26 maggio 2001. Dopo l’ordinazione sacerdotale è stato scelto come membro del primo gruppo di due missionari e due missionarie della Consolata destinati alla Mongolia. Ricevuto il mandato missionario nel santuario della Consolata il 19 maggio 2002, i quattro sono finalmente partiti il 20 luglio 2003 per la nuova missione nella capitale mongola. Nel 2007 hanno aperto Arvaiheer dedicata a Maria Madre della Misericordia, di cui padre Giorgio è stato parroco fino alla nomina a vescovo. Nel 2016 è nata la «Regione Asia» dell’Imc (Mongolia, Corea del Sud e Taiwan), di cui è diventato consigliere e responsabile per la sua nazione. Il 2 aprile 2020 il Santo Padre Francesco lo ha nominato Prefetto apostolico di Ulaanbaatar (Mongolia), con carattere vescovile assegnandogli la sede titolare di Castra Severiana. È stato consacrato dal cardinal Luis Antonio Tagle l’8 agosto 2020 in quello stesso santuario della Consolata in Torino dove aveva ricevuto il suo mandato missionario. © AfMC | Monsignor Giorgio Marengo il giorno della consacrazione. © AfMC / Gianantonio Sozzi | a Roma il 26/05/2022 con monaci buddhisti e i suoi due unici sacerdoti mongoli.

gio di pace e armonia, nella diversità etnica e religiosa della nazione, impegnandosi a partecipare alla sua costruzione «per stabilire il regno di Dio sulla terra», vivendo da «cittadini responsabili, promotori e protagonisti di un cambiamento», a partire dal diritto fondamentale di professare la fede, restando uniti, nel promuovere, giustizia e pace e difendere i valori cristiani. (Fides) BRASILE VOTO PER L’AMAZZONIA La Rete ecclesiale panamazzonica (Repam), organismo collegato alla Conferenza episcopale del Brasile (Cnbb), giovedì 5 maggio, ha lanciato la campagna «EuVotoPelaAmazonia» (Io voto per l’Amazzonia), che ha l’obiettivo di aiutare i cristiani e la società in generale a riflettere sull’importanza di eleggere politici e governi impegnati nell’ecologia integrale, nell’agro ecologia, nella giustizia socio ambientale, nel benessere e nei diritti dei popoli e dei loro territori. La campagna, che si svolge da maggio a settembre 2022, in vista delle elezioni presidenziali e parlamentari di ottobre, sviluppa varie azioni di sensibilizzazione, come forum sull’Amazzonia e sulle elezioni, riflessioni, video, materiali per i social network e uno schema di celebrazione per le comunità. Negli ultimi anni, fa presente la Repam, «il bioma amazzonico è stato violentemente sfruttato con incendi, deforestazione, invasione delle terre indigene e l’avanzata dell’agro business e dell’estrazione mineraria nei territori protetti». (Fides) bambini o alla vita delle famiglie dei catechisti. Lo spirito e il carisma delle Pom si possono sintetizzare nella frase del beato Paolo Manna, fondatore della pontificia Unione missionaria: «Tutta la Chiesa per tutto il mondo». (Fides) INDIA LA MISSIONE DEI GIOVANI All’inizio di maggio la Commissione nazionale per i giovani della Conferenza episcopale dell’India (Ccbi) ha organizzato la 4ª Conferenza nazionale della gioventù presso il Centro pastorale di Nadiad, in Gujarat, stato dell’India occidentale. Vi hanno partecipato 437 delegati provenienti da tutto il paese per condividere le loro storie di fede e le esperienze di vita, confrontandosi sul tema: «I giovani per una Chiesa sinodale». La Conferenza nazionale della gioventù è un momento importante per il mondo giovanile nella Chiesa indiana: vi si discutono molti temi ogni anno e si prendono decisioni per aiutare i leader e tutti coloro che sono impegnati nella pastorale giovanile, a guidare i giovani nel portare il Vangelo nella società. Durante il convegno sono stati organizzati workshop su vari temi riguardanti la vita dei giovani e la loro missione nella Chiesa. A conclusione del convegno, i giovani hanno voluto lanciare un messagVATICANO LE POM PER IL MONDO Il 3 maggio 2022, si sono celebrati due importanti anniversari: il bicentenario della nascita dell’Opera della Propagazione della Fede, fondata dalla beata Pauline Jaricot (1799-1862), e il centenario dell’elevazione a «Pontificie», da parte di papa Pio XI, delle tre Opere missionarie: l’Opera della Propagazione della fede, l’Opera della Santa infanzia, e l’Opera di San Pietro apostolo per la formazione del clero indigeno nei territori di missione. Queste ricorrenze sono avvenute nel contesto della beatificazione di Pauline Jaricot, celebrata a Lione il 22 maggio scorso. Lei stessa diceva che l’albero delle Pontificie opere missionarie avrebbe portato molti frutti, affermazione rivelatasi profetica dato che, 200 anni dopo, le Pom sono diffuse in 120 paesi. Queste oggi gestiscono e distribuiscono il Fondo universale di solidarietà che - alimentato dalle offerte della Giornata missionaria mondiale - beneficia ogni anno migliaia di piccole diocesi nelle nazioni più povere, sovvenendo alle loro necessità pastorali e alla loro precipua missione evangelizzatrice, come, ad esempio, costruire una cappella, sostenere un convento di suore di clausura, dare vita a una radio, contribuire all’istruzione di a cura di Sergio Frassetto MC R la chiesa nel mondo Vaticano: poster celebrativo dei fondatori delle Pom: Pauline Marie Jaricot (Opera della Propagazione della fede); Charles Auguste Marie de Forbin-Janson (Santa infanzia); Jeanne Bigard (Opera di San Pietro apostolo); Paolo Manna (Pontificia unione missionaria). * 8 luglio 2022 MC

INDONESIA DIASPORA CATTOLICA «L’Indonesia sta fornendo al mondo più persone consacrate di qualunque altro paese e questo è magnifico». Sono le parole pronunciate il 7 maggio dall’arcivescovo di Giakarta, il cardinale Suharyo Hardjoatmodjo, in occasione del primo incontro online della diaspora cattolica indonesiana. «Vedere che sempre più congregazioni religiose sono guidate dai nostri connazionali è motivo di grande orgoglio», ha aggiunto il porporato. L’evento, a cui hanno partecipato online e in presenza oltre duemila persone, è stato organizzato dall’Associazione dei giornalisti cattolici indonesiani in collaborazione con diverse entità, tra cui l’Ambasciata indonesiana presso la Santa Sede. I missionari indonesiani si trovano in oltre 70 paesi del mondo. La prima evangelizzazione dell’Indonesia è avvenuta con l’arrivo nel paese di san Francesco Saverio nel XVI secolo, anche se la prima presenza cristiana risale al 1318, quando a Giava era approdato il frate francescano Odorico Pordenone. Al giorno d’oggi, a seguito del calo delle vocazioni in Europa, sono soprattutto i missionari indonesiani a partire per il resto del mondo. (AsiaNews) ASIA CONFERENZA EPISCOPALE Dal 26 al 30 aprile scorso si è riunita a Nur Sultan, in Kazakistan, la neonata Conferenza episcopale, stabilita con un decreto della Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli. Inteso come un organismo che includesse i vescovi di Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan, Turkmenistan e Uzbekistan, è stato allargato fino a includere Mongolia e Afghanistan, con l’idea, in futuro, di coinvolgere anche l’Azerbaigian. La prima riunione è stata programmatica: elezione del presidente, discussione sull’organizzazione caritativa dei vescovi. Si tratta, ha detto José Luis Mumbiela Sierra, vescovo della Santissima Trinità in Almaty e presidente della Conferenza episcopale del Kazakistan, «del primo passo di un percorso di unità e fratellanza. Nutriamo molta speranza sul cammino che stiamo per intraprendere con vescovi e amministratori apostolici di tutti questi paesi. Il Signore ci chiede di ampliare i legami di fratellanza, di essere più chiesa con i paesi vicini, di dare una testimonianza. Credo che l’aspetto più bello di questo nuovo percorso sia quello di poter essere uniti anche se viviamo in paesi diversi, con differenti governi e culture. E ciò è possibile perché abbiamo la stessa fede, apparteniamo alla stessa chiesa: d’altra parte, il cattolicesimo si distingue proprio per la sua universalità. Penso che sia una testimonianza molto bella». Questa neonata Conferenza episcopale avrà presto anche il suo cardinale nella persona di monsignor Giorgio Marengo, prefetto apostolico della Mongolia. (Aci stampa) R MC * * Polonia: profughi Padre Luca Bovio, missionario della Consolata, ci aggiorna sull’opera in favore dei profughi dell’Ucraina. «A Lomianki come nel resto della Polonia siamo passati a una seconda fase dall’inizio del conflitto. Dopo l’ondata di arrivi, improvvisa e gigantesca, che ha invaso ovunque il paese, ora siamo passati a una gestione delle migliaia di persone giunte qui. Qualcuno (pochi) è rientrato nel paese ricongiungendosi alla famiglia in Ucraina, ma la maggior parte delle donne e dei bambini sono ancora qui. Non si notano più folle di persone in arrivo, tuttavia nei centri di assistenza le code giornaliere sono sempre ben visibili, come capita nella parrocchia di Lomianki dove, grazie ai vostri aiuti, ogni giorno continuiamo con i volontari a distribuire generi di prima necessità. Se la situazione in Polonia si può definire in questo momento di gestione, non si può dire lo stesso della vicina Ucraina, dove continua il conflitto. Le notizie riportate dai media e ancor più le storie dei testimoni che incontriamo sono molto tristi. Per questo motivo non ci limitiamo ad assistere le persone giunte fra noi, ma inviamo aiuti di vario genere anche in Ucraina soprattutto nelle zone occupate. A tutt’oggi sono quattro i trasporti partiti, (e per grazia arrivati!) a Charkow, nell’Est del paese dove proseguono i combattimenti. In quei luoghi ogni genere di aiuto è visto come una manna dal cielo, perché il prolungarsi del conflitto ha ridotto ogni scorta nei magazzini. In questi giorni stiamo organizzando altre spedizioni nella regione di Zaporoze esattamente nella città occupata di Energodar. Quest’estate, se le condizioni lo permetteranno, prevedo di recarmi io stesso in Ucraina. In questo momento è difficile fare delle previsioni, ma una delle poche cose di cui siamo sicuri è che la guerra continuerà a lungo e il rischio è che, una volta terminata, questa continui nei cuori di molte persone che hanno subito violenza e soprusi». (Imc) Ucraina: marito e moglie di Charkow che hanno ricevuto aiuti dalla Polonia. * 9 luglio 2022 MC Indonesia: partecipanti all’incontro online della diaspora cattolica indonesiana. *

IRAQ MC A La situazione dei cristiani UNA FUGA CHE NON SI ARRESTA lica di Sayidat al-Nejat (Nostra Signora della Salvezza), una delle più grandi di Baghdad, si sta celebrando la messa. Cinque uomini appaiono ai cancelli, indossano uniformi da guardia di sicurezza privata. Un’auto bomba deflagra in strada, uno dei cinque si fa esplodere all’ingresso della chiesa. Gli altri quattro entrano sparando sulla folla e prendono in ostaggio 120 fedeli. Molti si nascondono sotto le panche, altri si mettono in ginocchio. I terroristi urlano di fare sitesto e foto di ANGELO CALIANNO 10 MC Dopo gli attentati degli estremisti islamici e una discriminazionemai veramente scomparsa, anche in Iraq la presenza dei cristiani è in costante diminuzione. Come ci hanno confermato sacerdoti e fedeli incontrati in alcune chiese di Baghdad. lenzio, uno di loro telefona al canale televisivo di Al-Baghdadiya. Dichiarano di essere una cellula affiliata ad Al Qaeda e pretendono la liberazione di alcuni compagni rinchiusi nelle carceri irachene e libanesi. Nel frattempo, le forze di sicurezza circondano l’edificio, l’elicottero sulla scena dell’attentato alla borsa valori si è spostato sulla zona del nuovo attacco. Nella chiesa ci sono due giovani sacerdoti che stavano celebrando la messa. Provano a far ragionare i terroristi e tenere Baghdad. È la mattina del 31 ottobre 2010 quando, nel centro della città, si sente una forte esplosione. Un’autobomba salta in aria vicino alla sede della borsa valori, nel cuore della capitale. Due uomini di guardia rimangono gravemente feriti. Le forze di sicurezza si mobilitano, circondano l’area dell’attacco, un elicottero sorvola la scena. Il vero obiettivo però è un altro, questo primo attentato forse serve solo da diversivo. Ore dopo, nella chiesa siro catto-

sono di poliziotti e terroristi. Settanta sono i feriti gravi, 26 dei quali, grazie all’intervento della Chiesa, vengono trasferiti a Roma per essere curati. Quattro anni dopo, quella cellula terroristica affiliata ad Al Qaeda, verrà conosciuta dal mondo come «Isis». PER I CRISTIANI LA FUGA CONTINUA Oggi la chiesa di Nostra Signora della Salvezza è stata totalmente ricostruita. Le mura che circondano l’edificio sono dipinte con le immagini di papa Francesco, venuto qui in visita a marzo del 2021 per onorare e ricordare le vittime dell’attentato. Per i 46 fedeli e i 2 sacerdoti, il 31 ottobre 2019 si è chiusa la fase diocesana della causa di beatificazione. Attorno ai muri, tra scritte e pensieri di pace con le immagini del pontefice, ci sono anche reti metalliche, filo spinato, telecamere di sicurezza e sbarre di metallo. Natiq Anwar è il sagrestano della chiesa, uno dei sopravvissuti all’attacco del 2010 e tra quelli curati a Roma. Mentre mi guida all’interno della chiesa e nella cripta racconta: «È accaduto tutto molto velocemente. Io sono stato ferito da una delle esplosioni, ricordo l’arrivo di questi uomini in divisa, il boato, le urla che provenivano dalla chiesa e tanto sangue ovunque. Sono invalido da allora, ho subito diverse operazioni a reni e fegato e ho gravi problemi di vista». «Dopo quello che hai vissuto e data l’instabilità della sicurezza nel paese, hai paura che ci possano essere altri attacchi?», gli chiedo. «Sì, io ho sempre paura che possa riaccadere, ogni volta che entro qui e che guardo verso i cancelli, mi immagino che improvvisamente possano ricomparire degli uomini e che tutto si ripeta. Ma sono un servo calmi i fedeli. Padre Saad Abdal Tha’ir e padre Waseem Tabeeh vengono messi in ginocchio e freddati sull’altare. Le forze di sicurezza irachene decidono di non negoziare. Irrompono nell’edificio. Si sente un’altra esplosione e un lungo scontro a fuoco. Quando la chiesa viene liberata e messa in sicurezza, i morti sono 58: due sacerdoti, 46 fedeli, inclusi due bambini e una donna incinta di tre mesi. Un terzo sacerdote presente alla messa, padre Raphael Qatin, morirà in ospedale in seguito alle ferite riportate. Il resto dei corpi luglio 2022 MC 11 Qui a sinistra: il sagrestano Natiq Anwar, sopravvissuto all’attentato del 2010. | Sotto a sinistra: murale raffigurante papa Francesco, chiesa di Sayidat al-Nejat (Nostra Signora della Salvezza), a Baghdad. | In alto: una strada di Baghdad con, in lontananza, la chiesa armena ortodossa di Meskenta. * A MC Medio Oriente | Baghdad | Cristiani | Libertà religiosa | Papa Francesco " Il massacro del 31 ottobre 2010 ha lasciato una ferita indelebile.

Qui a fianco, in senso orario: il parlamentare cristiano Burnahnuddin Assaq Ibrahim; padre Dominque Francis, sacerdote di San Giuseppe e Teresa; padre Peter, sacerdote di Sayidat al-Nejat. | Sotto: la chiesa di Nostra Signora del Rosario, a Baghdad. | A destra: croce con le foto dei 48 «martiri» uccisi nell’attentato islamista del 2010 nella chiesa di Sayidat alNejat. * di Dio, non rinuncio a lavorare qui, questo è il mio posto». In uno dei cortili della chiesa incontro Burnahnuddin Assaq Ibrahim, uno dei cinque rappresentanti cristiani del parlamento iracheno, una piccola minoranza dei 329 membri. «Ognuno di noi è responsabile di una provincia. Devo essere sincero però, negli ultimi anni soprattutto, ci sentiamo rispettati. Quando parliamo, i nostri colleghi ci ascoltano e cercano di venire incontro alle nostre richieste. Il vero problema è che i cristiani scappano da questo paese. La paura degli attacchi e l’instabilità causano la fuga. Nel 2003 eravamo quasi un milione e mezzo, oggi siamo circa 300mila. Però noi cristiani, anche se di diverse confessioni, siamo uniti tra noi». Sono giorni particolari in Iraq, è l’anniversario della morte dell’Imam Musa Al Kadhim, settimo imam e martire sciita seppellito qui a Baghdad. Per tre giorni, pellegrini sciiti da tutto il mondo arabo e dall’Asia centrale, vengono qui per pregare davanti al grande santuario. * IRAQ 12 luglio 2022 MC

mente povere», confessa un poliziotto di pattuglia. Straordinarie sono anche le misure di sicurezza. Le chiese e le comunità cristiane non sono i soli bersagli dei terroristi, ma anche, e di recente soprattutto, i santuari e le moschee sciite. Proprio durante i giorni del pellegrinaggio, puntualmente l’Isis minaccia di attaccare la moschea di Al Khadim. Molti, in questi anni, sono stati gli attentati sventati, ma anche quelli arrivati a segno, come l’autobomba del 2014 che uccise 21 persone, o le granate che, nel marzo 2021, uccisero dieci uomini tra i pellegrini in visita al santuario. Per strada ci sono tende e migliaia di banchetti allestiti con cibo gratuito. I pellegrini arrivano a piedi, a volte camminando scalzi, non solo dalle province irachene ma anche da Iran, Libano, Pakistan, Uzbekistan. «Ogni anno, solo per organizzare le baracche con il cibo gratuito per i pellegrini, i leader politici di fede sciita spendono migliaia e migliaia di dollari. Tutto questo è una manovra politica per ottenere voti e consensi, molte di queste persone mangiano carne forse una volta l’anno, non hanno mai visto così tanto cibo tutto insieme nella loro vita e arrivano da zone veraIDENTITÀ: MUSULMANO O NON MUSULMANO In questo contesto, con l’attenzione dei media e delle forze di sicurezza concentrata sulle strade del pellegrinaggio, con il traffico, le cucine a cielo aperto, è molto complicato scorgere e raggiungere le chiese cristiane di Baghdad. Spesso sono situate in quartieri periferici e molti degli edifici religiosi non si differenziano dalle case attorno. Per intravedere una croce, quasi mai visibile da lontano, occorre arrivare molto vicino all’entrata. Raggiungo la cattedrale latina di San Giuseppe, fondata nel 1632, A MC 13 luglio 2022 MC In Iraq, il grande esodo della comunità cristiana non si è mai fermato. Nel 2003, erano un milione e 300mila. Oggi, stando alle ultime statistiche, sarebbero soltanto 300mila i cristiani rimasti in questa nazione. Negli ultimi quindici anni, in tutto il paese, sono state più di sessanta le chiese danneggiate o distrutte da attentati terroristici e conflitti. Centomila cristiani, provenienti dalla Piana di Ninive a Mosul, occupata dall’Isis fino al 2017, sono stati costretti ad abbandonare le proprie case distrutte dalla guerra e oggi vivono in Kurdistan. Un grande sforzo economico, da parte della comunità cattolica internazionale, è stato fatto per ricostruire case e luoghi di culto a Mosul, con la speranza del ritorno dei fedeli. La visita di papa Francesco (*), nel marzo dello scorso anno, ha acceso una flebile speranza che le cose possano migliorare. Questa comunità, che per secoli si è sentita abbandonata, con la visita del pontefice per la prima volta si è sentita riconsiderata. Già Carol Wojtyla aveva programmato un viaggio qui nel 1999. Il progetto poi venne ostacolato dagli Stati Uniti e da Bill Clinton. Questi temeva che la presenza del papa avrebbe rafforzato Saddam Hussein. Oggi il paese si dibatte tra gli attentati dell’Isis e le milizie filoiraniane tornate molto attive soprattutto dopo la morte del generale Qasem Soleimani, ucciso proprio a Baghdad. Durante la sua visita in Iraq, papa Francesco ha detto: «Il terrorismo quando ha invaso questo caro paese, ha barbaramente distrutto parte del suo meraviglioso patrimonio religioso, tra cui chiese, monasteri e luoghi di culto di varie comunità. Ma anche in quel momento buio sono brillate delle stelle. Penso ai giovani volontari musulmani di Mosul che hanno aiutato a risistemare chiese e monasteri, costruendo amicizie fraterne sulle macerie dell’odio, e a cristiani e musulmani che oggi restaurano insieme moschee e chiese». Oggi i cristiani in Iraq si dividono tra caldei, siriaci, armeni, latini, melchiti, ortodossi e protestanti. A.Cal. (*) Su quella visita: Luca Lorusso, MC, aprile 2021. Cristiani in Iraq, qualche numero Resistono in trecentomila

volo, una sala lettura, dei cortili dove i pochi giovani cristiani possono incontrarsi e socializzare. Uno di questi ragazzi è Raed. «Non è facile essere cristiani qui. Non dico che viviamo degli episodi di razzismo direttamente, elevata a sede di arcidiocesi il 19 settembre 1848, dove mi accoglie padre Francis Domenique. La chiesa si affaccia su una strada anonima in un quartiere residenziale, all’interno delle mura però si apre un altro mondo: un campetto da palla- * IRAQ 14 luglio 2022 MC A parità di requisiti, tra un musulmano e un cristiano si sceglie il primo. "

luglio 2022 MC A MC 15 A sinistra, in alto: la chiesa armena ortodossa di Meskenta, nella capitale irachena; il frate domenicano Zayed. | A sinistra, in basso: il mausoleo di Al-Abbas ibn Ali, a Karbala. | Sopra: soldato di guardia all’esterno del mausoleo di Al-Abbas ibn Ali, a Karbala; donna velata nei pressi delle mura della cittadella di Al-Kifl, non lontana da Babylon. | Qui: interno di una moschea ad Al-Kifl. * ma, ad esempio, se faccio domanda per un lavoro e c’è un candidato musulmano con la mia stessa preparazione, in questo caso sicuramente si preferirà lui. Oltre a questo, i ragazzi sono davvero pochi, moltissimi vanno via: in Kurdistan o magari in Europa. Ho tanti amici che sono via e mi raccontano come va lì. Non è che hanno una vita semplice, certo, le difficoltà si trovano in tutto il mondo, però sono liberi di professare la propria religione senza imbarazzo o discriminazione. I miei amici all’estero non sono giudicati per la propria religione, questa è una grande libertà che qui non è affatto scontata». «E tu, se potessi, o magari ci stai pensando, andresti via?». Sorride: «Sì, penso che potrei andare via se mi si presentasse un’occasione». All’interno del cortile, impegnato a giocare a pallavolo con i ragazzi, incontro anche Zayed, frate domenicano. «Padre Zayed, com’è la vita dei cristiani oggi in Iraq? Alcune persone, tra le autorità che ho intervistato, mi hanno detto che le varie correnti cristiane sono unite tra di loro. Secondo lei, è davvero così?». «No - risponde -, non penso che i cristiani in Iraq siano uniti e credo che questa disunione sia una delle cause dei nostri problemi. La discriminazione è reale, come il grande esodo dei cristiani che preferiscono andare via. La verità è che all’estero, anche se in un paese straniero, è comunque più facile che qui. La discriminazione può manifestarsi in diverse maniere, sia diretta che indiretta. Ti faccio un esem-

* IRAQ 16 luglio 2022 MC A sinistra: Raed, giovane cristiano a San Giuseppe e Teresa, a Baghahd (si noti la maglietta con un evidente simbolo cristiano). | In basso: donne velate camminano in pellegrinaggio verso la moschea di Al-Khadim, alla periferia di Baghdad. * I cristiani rimangono il bersaglio preferito degli estremisti. " pio pratico: sui nostri documenti deve esserci scritta la religione, ma si può solo scrivere musulmano o non musulmano. Potrà sembrare cosa da poco, ma è così che poi funziona anche il resto. Le altre religioni non sono contemplate, o sei musulmano oppure no». LA DIFFICILE QUOTIDIANITÀ DEI CONVERTITI In un altro quartiere periferico, fuori dalla chiesa della Madonna del Rosario, incontro Joseph (nome di fantasia), che mi chiede di mantenere segreta la sua identità. Joseph è di origine musulmana, ma si è convertito al cristianesimo. Racconta: «In Iraq, la vita più difficile ce l’abbiamo noi che ci siamo convertiti. Io ho sempre voluto essere cristiano, da quando ero bambino e giocavo a calcio con gli altri ragazzini nel cortile di una chiesa qui vicino. Prima di convertirmi dovevo andare in chiesa di nascosto, una volta presa la decisione, la mia famiglia non mi ha più rivolto la parola. Da quel momento sono cominciati tutti i miei guai, lavoravo in un ufficio che aveva relazioni con l’estero e mi è stata fatta molta pressione per andare via. Trovare e mantenere un lavoro è la cosa più difficile per i cristiani in Iraq, per chi come me, poi, si è convertito, è anche peggio». «Hai mai vissuto episodi di violenza?». «Personalmente, violenza fisica no. Sono stato insultato molte volte, anche dalla mia famiglia. Purtroppo, i miei genitori, fratelli e sorelle, sono stati vittime di vessazioni a causa della mia conversione. Le violenze peggiori si perpetrano contro le donne, soprattutto quelle di origine musulmana che decidono di sposare un altro convertito. La moglie di un mio amico in una zona a Sud del paese, poco tempo fa, è stata vittima di un lancio di pietre perché non portava il velo. Baghdad è più libera da questo punto di vista, ma la discriminazione è dietro l’angolo. Non dimenticarti poi, che in caso di attacco da parte degli estremisti, noi siamo sempre il loro bersaglio preferito». «L’Isis continua a operare?», chiedo. «Certamente, soprattutto nei villaggi sulle zone di confine. Hanno bisogno di cibo e denaro per finanziarsi. E le comunità cristiane sono viste come una nuova risorsa per ottenere riscatti». Angelo Calianno* (*) Dello stesso autore, sul sito MC, si possono trovare due altri reportage dall’Iraq (aprile e maggio 2019).

17 luglio 2022 MC PER UN NOME, UN VOLTO, UNA STORIA MESSICO MC A Miguel Agustín Pro Juárez A.C, fondato dai gesuiti), il Messico sta per raggiungere le 100mila persone scomparse, con oltre 50mila corpi e resti non identificati negli obitori. «Ma i dati ufficiosi parlano addirittura di 200mila desaparecidos, tra messicani e migranti stranieri», dice Ugo Zamburru, psichiatra torinese che ha preso parte alla prima Brigada internacional de búsqueda, svoltasi dal 16 febbraio al 4 marzo negli stati settentrionali di Sonora e Baja California. «La novità di questa búsqueda (ricerca) è che hanno partecipato familiari e volontari provenienti da tutto il Centroamerica, dal Canada, e il sottoscritto in rappresentanza di una cordata europea - Carovane migranti, Abriendo fronteras, LasciateCIEntrare e la basca Ongi Etorri - continua Zamburru -. Ma soprattutto è stata la prima volta che, oltre alla búsqueda en campo, cioè la ricerca collettiva dei cadaveri gettati nelle fosse comuni, si è realizzata una búsqueda en vida, per ritrovare alcune delle persone scomparse ancora vive». «Tremi lo stato, il cielo, le strade/ Tremino i giudici e la magistratura/ A noi donne oggi tolgono la calma/ Hanno seminato paura, ci sono cresciute ali». Cantano con dolcezza e determinazione, mentre si preparano per la giornata di ricerca. Sono madri, sorelle, padri che non si rassegnano e da anni attraversano il Messico in cerca dei familiari desaparecidos. Secondo il Prodh (Centro de derechos humanos Da anni i buscadores attraversano il Messico in cerca di figli e familiari desaparecidos andando a scavare nelle fosse comuni in cui sono stati gettati da narcos, poliziotti corrotti o semplici delinquenti. Quest’anno la búsqueda (ricerca) ha avuto una dimensione internazionale. Vi ha partecipato anche Ugo Zamburru, psichiatra torinese. di STEFANIA GARINI «Desaparecidos» e «buscadores» Sopra: membri della carovana delle madri e dei padri centroamericani e messicani manifestano a Città del Messico nel giorno della festa della mamma (10 maggio 2022). * © Gerardo Vieyra - NurPhoto / AFP

18 luglio 2022 MC MADRI IN PRIMA LINEA Come in Cile, con l’Associazione delle famiglie dei detenuti scomparsi, e in Argentina, con le madri e le nonne di Plaza de Mayo, le protagoniste delle búsquedas in Messico sono all’80 per cento donne, soprattutto madri in cerca dei figli o delle figlie vittime di sparizioni forzate. La violenza e le desapariciones in Messico si sono intensificate dalla fine degli anni ‘90 quando, in un paese già egemonizzato dai cartelli della droga, si sono inseriti Los Zetas: soldati scelti dell’esercito nazionale addestrati in Usa e Israele che hanno creato un’organizzazione criminale tra le più spietate e ramificate, «specializzata» nel narcotraffico, nei rapimenti a scopo d’estorsione, nella prostituzione (anche minorile) e in altre attività illecite in tutto il Centroamerica. Malgrado i tentativi del governo di reagire (come la «guerra alla droga» avviata nel 2006 da Felipe Calderón), negli ultimi vent’anni si è assistito a un cre- * MESSICO scendo di omicidi, torture e sparizioni. «Molti messicani sono gente onesta, ma c’è una parte significativa di funzionari e poliziotti corrotti, attratti da facili guadagni o spinti dalla paura - spiega Zamburru -. Non di rado delitti e desapariciones sono opera loro». Com’è stato per il figlio di Cecilia Delgado Grijalva, una delle partecipanti alla Brigada internacional: la sera del 2 dicembre 2018, mentre stava chiudendo il suo negozio a Hermosillo, Jesús Ramón Martínez Delgado, allora 34enne, è stato caricato su un furgone bianco della polizia di stato e da allora è svanito nel nulla. «Ho subito fatto denuncia al pubblico ministero, ma per due anni nessuno ha indagato; malgrado la telecamera di sorveglianza e i testimoni, hanno sempre negato l’esistenza della pattuglia 073, responsabile del sequestro (in seguito rintracciata e fotografata da Cecilia stessa, nda)», racconta lei, che da allora ha percorso tutto il Messico in cerca del figlio. «Ho perlustrato ospedali, obitori, prigioni, centri d’accoglienza, ho cercato tra la gente di strada, sotto i ponti e nelle discariche, sono entrata nei rifugi dei drogati, mi sono unita ad altre donne che scavavano in cerca dei cadaveri». E scavando con le sue mani, il 25 novembre 2020, Cecilia ha trovato i resti di Jesús nel quartiere di Altares. «Non ho dovuto aspettare il test del dna, ero certa che si trattasse di lui per l’apparecchio ai denti e perché sul cranio aveva ancora i capelli, i suoi capelli castani con quei ricci che non gli piacevano e che copriva di gel». Jesús Delgado ha lasciato tre figli, la più piccola oggi ha 5 anni. «È lei che soffre di più, piange e mi domanda perché ci ho messo così tanto a ritrovare il suo papà». Come Cecilia, molte altre madri continuano a partecipare alle búsquedas durante tutto l’anno, pur avendo già ritrovato i propri cari o quel che ne resta. «Finché si va in cerca dei familiari, si rie- A destra: una buscadora con la varilla, l’asta a forma di «T» per sondare il terreno. | Qui: i buscadores viaggiano su un bus messo a disposizione dalle autorità locali. | Sotto: mappa con gli stati messicani di Sonora e Baja California, dove è stata la «Brigata internazionale di ricerca». * © Ugo Zamburru «Lo spirito del gruppo permette di condividere dolore, rabbia e impotenza». "

sce a dare un senso alla propria vita perché c’è la speranza di ritrovarli, vivi o morti, pur di non restare nell’incertezza, che è devastante (vedi box). Una volta raggiunto questo obiettivo, allora la missione diventa aiutare le altre donne - spiega Zamburru -. È un meccanismo psicologico di sublimazione per cui si investe in qualcosa di superiore: lo spirito del gruppo, che crea appartenenza, spezza la solitudine e permette di condividere dolore, rabbia e impotenza». RESTI UMANI E DNA «Cantiamo senza paura, chiediamo giustizia/ Gridiamo per ogni scomparsa/ Che risuoni forte: Ci vogliamo vive!». L’inno della cantautrice Vivir Quintana contro i femminicidi echeggia nello scuolabus giallo messo a disposizione dei búscadores dalle autorità di Hermosillo, la capitale di Sonora: uno degli stati con il maggior numero di segnalazioni di scomparsi, oltre 600 l’anno. Inghiottiti dal deserto, 300mila km² (vale a dire quasi quanto l’Italia) dove bastano cinque minuti per perdere l’orientamento, dov’è facile venire aggrediti da criminali o animali pericolosi, oppure morire di sete e stenti mentre si viaggia verso Nord, verso la frontiera con gli Stati Uniti. In questi territori inospitali «le búsquedas - organizzate di concerto dalle associazioni dei familiari e dalle istituzioni pubbliche - si svolgono con la scorta di polizia, esercito, protezione civile, Comisión nacional de búsqueda ecc., per il rischio sempre incombente di venire assaliti dai narcos e da delinquenti comuni», racconta Zamburru. Già molti genitori sono stati uccisi per aver cercato i propri figli, ma «quando ti tolgono un figlio, non hai più paura di niente», dice Cecilia Delgado. «Le nostre armi sono la pala, il piccone e la varilla». Quest’ultima è un’asta di metallo appuntita a forma di «T», che si conficca nel terreno per poi annusarne l’estremità: se emana cattivo odore è un «buon» segno, lì sotto potrebbero trovarsi Persone scomparse | Migranti | Narcos | Corruzione A MC 19 luglio 2022 MC Buone leggi, cattive prassi Negli ultimi anni, le istituzioni pubbliche messicane hanno tentato di reagire alla violenza e alle sparizioni forzate mediante una serie di misure a sostegno delle vittime e dei loro parenti. Lo stato di Baja California ad esempio, secondo le parole del segretario generale di governo Amador Rodríguez Lozano, si è impegnato nello stanziamento di un «Fondo per la riparazione globale dei danni» con un budget di circa 4 milioni di pesos (circa 186mila euro). A livello federale, dal 2013 la Ley general de víctimas garantisce la tutela delle vittime con riferimenti circostanziati al rispetto della loro dignità, alla salvaguardia del benessere fisico e psicologico, alle condizioni di sicurezza, al sostegno economico e occupazionale, ecc., sottolineando il diritto fondamentale a ricevere «assistenza, protezione, attenzione, verità, giustizia, riparazione integrale (individuale, collettiva, materiale, morale e simbolica)». La legge prevede anche un sussidio per i familiari - messicani e stranieri - costretti ad abbandonare casa e lavoro per dedicarsi a tempo pieno alla ricerca dei desaparecidos. «Un’ottima norma, che però rimane spesso lettera morta», spiega Ugo Zamburru del collettivo Carovane migranti. Durante la Brigada internacional de búsqueda, insieme ad Ana Gricelides Enamorado, madre e attivista del Movimiento migrante mesoamericano, ha accompagnato alla procura della repubblica di Città del Messico una donna salvadoregna, Silvia Artiga Castaneda, che anni prima aveva denunciato la scomparsa del figlio. «All’epoca Silvia era convinta di aver fatto tutto il necessario, ma abbiamo scoperto che la procura non aveva neppure aperto il fascicolo d’inchiesta. Ufficialmente quel caso di desaparición non esisteva. Quindi, oltre a non fare nulla per cercare il ragazzo, non le avevano riconosciuto alcun sostegno economico». Attraverso l’intervento di Ana Enamorado e del Movimiento migrante mesoamericano, impegnato nella ricerca dei desaparecidos, nella lotta contro le reti di violenza e le politiche di oppressione dei migranti, e nella capacitación (empowerment) dei familiari, «dopo lunghe trattative e la minaccia di far intervenire un avvocato, si è ottenuto che a Silvia venisse pagato il viaggio e fornito il visto, e si sono attivate le ambasciate di Messico ed El Salvador per occuparsi del caso. Malgrado ciò che le leggi prescrivono, la strada per il rispetto dei diritti resta lunga e difficoltosa». S.Ga. © Ugo Zamburru

RkJQdWJsaXNoZXIy NTc1MjU=