Poste Italiane S.p.A. - Spediz. in abb. postale "Regime R.O.C." - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1, NO/TORINO
Disponibile in libreria o su www.emi.it pp. 128 / € 13 $IJ TJ PQQPOF BMMB QBDF F BM EJBMPHP «Un'inchiesta importante che svela la strumentale evocazione del sacro e della spiritualità piegata a scopi politici per alimentare guerre e conflitti» Gad Lerner
AI LETTORI Ai lettori MC R di Gigi Anataloni, direttore MC EDI ORIALE MC di Gigi Anataloni, direttore MC Ascoltare con il cuore nell’orecchio A fine mese, il giorno dell’Ascensione, si celebrerà la 56ª Giornata mondiale delle comunicazioni sociali. Il tema, «Ascoltare con l’orecchio del cuore», può stupire: abituati a una comunicazione incalzante, infatti, rischiamo di scordare che l’ascolto è preliminare al comunicare. Tanto più oggi, quando i canali della comunicazione si moltiplicano creando una cacofonia che disorienta. La tentazione, da parte dell’utente, è quella di tapparsi le orecchie, o di lasciare filtrare frammenti disparati e senza logica, oppure di sintonizzarsi su un solo canale, una sola voce, escludendo tutti gli altri. Succede anche nel campo più specifico dell’informazione: stampa, radio, Tv, siti web e social, fino a ieri erano dominati dal Covid-19, da fine febbraio, invece, dalla tragedia dell’Ucraina. Un tale diluvio di notizie ha una conseguenza: l’assuefazione al peggio e il disinteresse verso altri drammi, altrettanto e, a volte, più gravi. Ecco allora perché è importante - come scrive papa Francesco nel suo messaggio per la giornata - porre l’attenzione sul verbo «“ascoltare”, decisivo nella grammatica della comunicazione e condizione di un autentico dialogo. In effetti, stiamo perdendo la capacità di ascoltare chi abbiamo di fronte, sia nella trama normale dei rapporti quotidiani, sia nei dibattiti sui più importanti argomenti del vivere civile». Senza un vero ascolto rischiamo di perdere la visione globale e di concentrarci solo su quanto ci tocca «hic et nunc», qui e ora, facendo diventare quel problema l’unico e il più importante. Senza un vero ascolto, sentiamo solo quello che ci tocca da vicino, disinteressandoci del resto del mondo, come se non fosse il «nostro mondo». Questo «disinteresse» si può quantificare. Ricordo un esecizio semplice di quando feci la scuola di giornalismo: cronometrare per una settimane il tempo dato alle singole notizie nei telegiornali. Lo facessi oggi, a parte l’Ucraina, raccontata con un pathos che tende a spingere l’opinione pubblica a non vedere alternative al riarmo, e qualche necessaria coda sul Covid-19, probabilmente non registrerei quasi niente riguardo alla Siria, con i suoi milioni di profughi (resi quasi invisibili), le drammatiche distruzioni di città e gli eccidi. Pochi minuti andrebbero al Libano, e niente allo Yemen di cui parlano solo i ripetuti appelli di Amnesty international, Amref o Medici senza frontiere. È sparito anche l’Afghanistan che pure l’estate scorsa per qualche settimana è stato al centro di tutti i notiziari. Poi, chi parla di Somalia, Mozambico, Sudan, Etiopia, Centrafrica, Congo Rd, Nigeria, Burkina Faso, Niger? Mai sentito parlare di ciò che succede in Venezuela, Colombia, Messico, Nicaragua? Quanti secondi sono stati dati al terremoto di Haiti dello scorso agosto? Qualcuno dedica tempo alla siccità che attanaglia molti paesi del Sud del mondo e alla fame che ne consegue? E questi sono solo alcuni degli esempi possibili. Il recente viaggio di papa Francesco a Malta, ha messo in rilievo un’altra difficoltà di ascolto del nostro mondo, e non solo quello dei media: quella verso i migranti che attraversano il Mare nostrum, affogati, respinti o mal accolti. Di fronte a tutto questo, ecco l’importanza di un ascolto vero. Un ascolto che non sia un semplice origliare, che sia antidoto al parlarsi addosso, che non si preoccupi degli «indici di ascolto», che non cerchi conferma di quanto già si sa, ma impari a discernere la verità, sia rispettoso della persona, favorisca l’incontro e la comprensione reciproca, diventi vero dialogo, trovi l’intuizione di strade diverse da proporre. «L’ascoltare è dunque il primo indispensabile ingrediente del dialogo e della buona comunicazione. Non si comunica se non si è prima ascoltato e non si fa buon giornalismo senza la capacità di ascoltare. Per offrire un’informazione solida, equilibrata e completa è necessario aver ascoltato a lungo. Per raccontare un evento o descrivere una realtà in un reportage è essenziale aver saputo ascoltare, disposti anche a cambiare idea, a modificare le proprie ipotesi di partenza». E non solo per il buon giornalismo, ma per la vita di tutti i giorni. 3 maggio 2022 MC
* * * * * 08 CHIESA NEL MONDO a cura di Sergio Frassetto 32 CAMMINO DI LIBERTÀ 14. Un luogo dove vivere (Es 23,20-24,18) di Angelo Fracchia 58 E LA CHIAMANO ECONOMIA Mondo, la fabbrica di disuguaglianze di Francesco Gesualdi 67 COOPERANDO Salute mentale, servono dati e risorse di Chiara Giovetti 81 LIBRARSI Lo scisma e l’amore di Sante Altizio In copertina: giocatrice delle Queens durante una partita a Torino (foto: Davide Casali). https://www.rivistamissioniconsolata.it Gli articoli pubblicati sono responsabilità degli autori e non riflettono necessariamente l’opinione dell’editore. - I dati personali forniti dagli abbonati sono usati solo per le finalità della rivista. Il responsabile del loro trattamento è l’amministratore, cui gli interessati possono rivolgersi per richiederne la verifica o la cancellazione (D. LGS. 196/2003). 5 | Maggio 2022 | anno 124 Il numero è stato chiuso in redazione il 11 aprile 2022 e consegnato alle poste di Torino prima del 30 aprile 2022. 03 AI LETTORI Ascoltare con il cuore nell’orecchio di Gigi Anataloni 05 NOI E VOI Lettori e Missionari in dialogo AFGHANISTAN I «NUOVI» TALEBANI di Angelo Calianno a cura di Paolo Moiola MC A ossier 4 maggio 2022 MC MC R 10 UCRAINA Aggressione e resilienza di Claudia Bettiol 16 ITALIA La Queens, regine del campo di Bianca Orazi e Sara Lopresti 22 ITALIA Una foto per cambiare il mondo di Valentina Tamborra 27 PORTOGALLO MISSIONE REU /04 Rifugiati come famiglia di Ermanno Savarino 51 AFRICA OCCIDENTALE Salvatori della patria? di Marco Bello 61 FRANCIA - ALGERIA I PERDENTI special Charles de Foucauld, fratello universale di Giuseppe Ronco 71 AMICO Basta versare sangue inserto a cura di Luca Lorusso MC I SOMMARIO 35 * 22 * 10 *
A cura del Direttore MC R Noi e voi LETTORI E MISSIONARI IN DIALOGO I I I I I I senza il suo aiuto non credo che la vecchia palla su cui viviamo sia in grado di reggere a lungo una popolazione che si triplica ogni 70 anni. Io ho avuto la possibilità di girarla tutta (e a forza di prendere sole mi son preso anche un tumore, ma tanto ho superato benissimo gli 80) e vi assicuro che è bellissima e che ha una popolazione meravigliosa che però si fa governare da troppi cialtroni e non pochi veri assassini. Claudio Bellavita 24/03/2022 Grazie per le considerazioni e per l’amore alla nostra Terra. La questione della popolazione è ovviamente molto complessa e controversa. Di sicuro la soluzione non sta né nella pandemia né nella guerra, ma probabilmente neanche nelle «scelte di morte» che avvengono di fatto nel nostro mondo (figlio unico, aborto, messa in crisi della famiglia, esaltazione del gender, ecc.). Di fatto, e l’Italia ne è capofila, stiamo assistendo a un declino demografico preoccupante, come se non credessimo nel futuro. Invece la crisi che stiamo vivendo richiede un serio ripensamento degli stili di vita, dei consumi, dell’uso delle risorse del nostro pianeta e delle relazioni tra i popoli. TRA GUERRIGLIA E SOGNI DI PACE Carissimi amici, riesco finalmente a raccontarvi un pezzo di vita della mia parrocchia in questi mesi del nuovo anno. Dopo la paura iniziale per il Covid19, in questo ultimo periodo, qui a Solano la vita è ritornata quasi alla normalità. In Colombia la distribuzione dei vaccini è iniziata dalle zone periferiche e ai confini con altri paesi come Perù ed Ecuador; quindi, possiamo dire che siamo stati privilegiati essendo stati tra i primi a essere vaccinati. DOV’ÈDIOQUANDO GLI UOMINI SONO IN GUERRA? La guerra è quanto di più tragico, disumano e folle possa accadere nel mondo. Lo possiamo constatare in questi giorni in cui l’Ucraina è oggetto di occupazione e bombardamenti con innumerevoli morti tra i civili, fughe all’estero, ecc. Viene spontaneo chiedersi dove sia e che cosa faccia Dio di fronte alle ingiustizie e alle violenze a danno degli innocenti. Gli autori dell’Antico Testamento, per trascrivere l’esperienza del popolo d’Israele, hanno fatto ricorso al lessico e ai modelli culturali dell’ambiente mediorientale, compreso il fenomeno umano e storico della guerra; si trovano di frequente quindi episodi di eccidi, stermini e vendette senza limiti. Nella ricerca del volto di Dio è presente anche il titolo «Signore degli eserciti» (Is 10,24) e tra tutte le forme di conflitto vi è la «guerra santa» (Gl 4,9); si fa breccia, in ogni caso, la convinzione che Dio non corrisponda ai criteri elaborati dall’uomo, come avviene, ad esempio, nel libro di Giobbe, in cui si mette in dubbio l’idea che l’insuccesso sia dovuto all’abbandono divino, e nella letteratura profetica in cui si elabora l’idea che la giustizia di Dio non sia quella dei canoni umani. Il Nuovo Testamento rivela infatti un volto di Dio del tutto inatteso e, soprattutto, annuncia che Gesù, il Figlio, non rispondendo con la violenza alle accuse rivoltegli e accettando la morte, ha vinto definitivamente il male, in particolare il peccato. Dio non è all’origine del male e ha a cuore la vita (Gn 9,16), dinanzi alle gravissime derive causate dalle possibilità dell’uomo conseguenti alla sua libertà, interviene con l’incarnazione, la vita, la morte e resurrezione del Figlio Gesù, e propone un ideale (Mt 5,44), l’amore verso il nemico, che tanti martiri e santi hanno testimoniato nel corso dei secoli, non sminuendo in ogni caso il valore della lotta per la giustizia. Dio, che è vivo, sicuramente agisce con il suo Spirito ma in modo imperscrutabile; non interviene in modo magico e sostiene l’uomo che potenzia le sue «armi» quali l’impegno quotidiano nel superare i piccoli contrasti inevitabili, la pratica costante di azioni diplomatiche e politiche volte a mediare, la preghiera perseverante ed insistente. Dio soffre atrocemente per le vite interrotte con la violenza, i danni arrecati all’ambiente naturale e alle opere costruite dall’uomo, per l’uso delle armi sempre più sofisticate e l’incapacità di trovare intese durature, necessarie in quanto gli equilibri geopolitici non sono mai definitivamente risolti, è presente laddove si soffre, e «agisce» attraverso tutte le iniziative che l’uomo assume per porre rimedio ai conflitti, costruendo degli accordi, e attraverso coloro che, nella fede e nella grazia sacramentale, sono uniti intimamente a Cristo (Mc 11,24) nell’implorare la pace. Milva Capoia 14/03/2022 TROPPA POPOLAZIONE? In questi giorni sembra che sulla Terra abbiamo superato gli otto miliardi di abitanti. Eravamo 2.480 milioni a fine 1950, quindi in 71 anni siamo più che triplicati. È vero che in questi 71 anni non ci sono state guerre mondiali e neanche epidemie generalizzate: ma di una pandemia ci stiamo occupando adesso e sembra che Putin abbia voglia di trascinarci in una guerra mondiale per difendere il suo posto di padrone della Russia e magari diventarlo di tutto il mondo. In ogni modo, anche 5 maggio 2022 MC
Noi e Voi giustizia. Hanno preso seriamente il loro impegno di padrini e sono una chiara testimonianza di fede per la gente del paese. Per questo li ringrazio. Mi presentano i genitori. La mamma già la conoscevo perché l’avevo aiutata economicamente comprando direttamente da lei alcuni dei suoi prodotti. Vive separata dal marito, e fa parte della «Iglesia evangelica pentecostal». Il papà, Pedro, desidera la messa cantata per il funerale dei figli. Celebriamo il funerale in un ambiente militarizzato, con molta paura e tristezza. Durante l’omelia denuncio gli autori di questo assassinio, dicendo che non esiste nessun motivo per togliere la vita a qualsiasi persona: Dio dona la vita, non la toglie. Invito gli assassini a pentirsi del loro gesto e a non continuare con queste stragi che stanno colpendo molto duramente il nostro territorio, soprattutto contro i giovani. Le tre salme sono caricate su tre mezzi e portate al cimitero in processione. Accompagno il corteo con la recita del rosario, benedico la tomba e durante la sepoltura alcuni giovani mettono musica colombiana, il «Vallenato», che esprime la disperazione che stanno vivendo. Nel pomeriggio viene il papà dei tre giovani. È un antioqueño che ha lasciato la sua terra 36 anni fa in cerca di fortuna. È stato nel Caguán, a Remolino, dove ha conosciuto il padre Giacinto Franzoi, e ora si trova nel Yurilla, dove è proprietario di un piccolo negozio di alimentari e vende benzina. I figli vivevano in un villaggio più all’interno, nella foresta. Quando gli hanno comunicato della loro morte, superando il dolore con molta forza, ha coordinato tutto per portarli a Solano. Ha chiesto appoggio alle forze dell’ordine che gli hanno dato protezione e gli hanno consigliato di non ritornare da dove era venuto perché è a rischio la sua vita. Gli chiedo: «Perché li hanno uccisi?», e lui ripete all’infinito: «Erano bravi ragazzi, non hanno fatto del male a nessuno. Io non posso lavorare perché sono anziano. Spesso andavo da loro e si chiacchierava e rideva, o loro venivano da me. Abbiamo passato momenti molto belli di amicizia, di fraternità e di gioia grande. Non mi spiego il perché». Prosegue: «Sono stato interrogato dall’esercito per più di due ore, e ho ripetuto che non abbiamo mai collaborato con nessun gruppo. Ho detto che quando venivano i guerriglieri mi chiedevano di trasportarli con la canoa. Non potevo dire di no e così davo loro le chiavi e la benzina. Mai ho guidato io l’imbarcazione. Loro andavano e me la riportavano. Chiedevano cibo e compravano la benzina, mai a loro abbiamo creato problemi. Ho anche dato all’esercito le coordinate dove poterli trovare, anche se i militari sono qui da più di un anno e non fanno assolutamente nulla, stanno a guardare. Padre, ho anche denunciato che l’anno scorso, quando è stato ucciso un dissidente della Farc, vi è stata una grande mobilitazione militare con barche ed elicotteri fino ad arrivare nel mio villaggio. Erano presenti circa 80 uomini del gruppo Sinaloa, ma l’esercito ha sparato verso le canoe dove c’erano i contadini, non a quelle dei guerriglieri. Sono arrivato alla conclusione che vi è una alleanza tra l’esercito e i Sinaloa, e che forse questo gruppo è stato creato dallo stesso esercito con ex combat6 maggio 2022 MC La situazione sociopolitica in Colombia è sempre più complicata nonostante l’accordo di pace avvenuto nel novembre 2016 tra il governo del presidente Santos e la Farc (guerriglia). Molti hanno lasciato le armi e, attraverso i programmi integrativi dello stato, si sono inseriti nella vita civile, ma molti altri hanno deciso di continuare la lotta armata ed è sorta la disidencia (dissidenza), mentre altri, dopo essersi consegnati, delusi per il mancato compimento delle promesse statali, sono ritornati alle armi. Il 28 gennaio e 8 febbraio ho accompagnato tre giovani di Solano al seminario diocesano per un discernimento vocazionale: uno a San Vicente del Caguán, altri due a Florencia, il capoluogo della regione. Appena arrivato in canonica al mio rientro da Florencia, ricevo una chiamata: «Padre è tutto pronto». Mi reco al «Club Juvenil», punto d’incontro per le varie attività dei giovani costruito da padre Giuseppe Svanera, senza sapere perché richiedono la mia presenza. Entro e trovo davanti a me tre bare con i corpi di tre giovani fratelli che sono stati assassinati. Viviamo in un territorio dove per sopravvivere si coltiva la pianta di coca da cui poi viene estratta la pasta basica per produrre la cocaina e, quindi, la violenza è fortissima. Le bare. ancora aperte, sono poste sopra tavole di legno sostenute da casse vuote di birra. Attorno si brucia caffè per cercare di coprire l’intenso odore dovuto alla decomposizione dei corpi. Un giovane che è stato testimone dell’eccidio racconta la brutalità che i tre fratelli hanno subito: legati e uccisi con vari colpi alla testa e al torace da un gruppo di trafficanti di droga che si fa chiamare Sinaloa. Tutto risale al 5 febbraio. I primi a parlare con me sono i padrini di battesimo di due dei giovani assassinati: sono molto addolorati e mi dicono che il papà sta sbrigando le pratiche con la
Le nostre email: redazione@rivistamissioniconsolata.it / mcredazioneweb@gmail.com R R MC Nella sua omelia, il cardinale, riferendosi al testo biblico del «Buon Pastore», ha ricordato ai vescovi eletti che sono «scelti, preferiti e sostenuti dal Signore» e che «il Signore li ha chiamati per nome perché sono di Dio» e li ha esortati a essere dei buoni pastori sull’esempio di Gesù. Domenica 13 marzo 2022, monsignor Lisandro ha celebrato la sua prima messa come vescovo ausiliare nella parrocchia di San Joaquín e Santa Ana di Carapita, nell’area pastorale che è stato incaricato di accompagnare nella periferia della città. Ha presentato il Vangelo come suo programma pastorale e ha sottolineato che sul suo emblema episcopale c’è la Bibbia aperta su cui sono incise A e Ω con il motto «Perché in Lui abbia vita». Ha espresso la volontà di dare il meglio di sé al servizio del popolo di Dio affidato alle sue cure. adattato da «Vida nuestra», aprile 2022 Riportiamo in breve questa notizia, riservandoci di pubblicare quanto prima un’informazione più completa sull’avvenimento e sulla situazione pastorale di Caracas. territorio amazzonico minacciato dalla violenza e dalla distruzione per interessi di potere e di soldi. Grazie per la vostra vicinanza, sempre vi ricordo nell’Eucaristia che sta al centro della mia giornata e della mia vita. Il beato Giuseppe Allamano (oggi è la sua festa) e la nostra madre Consolata siano di appoggio nel nostro cammino missionario per le strade del mondo. Padre Angelo Casadei da Solano, Colombia, 16/02/2022 NUOVO AUSILIARE A CARACAS È con gioia, e ringraziando Dio e la Vergine, che i Missionari della Consolata (Imc) in generale, e quelli del Venezuela in particolare, hanno ricevuto, il 23 dicembre 2021, la bella notizia della nomina di padre Rivas Durán Lisandro Alirio, fino ad allora rettore del Pontificio collegio missionario internazionale «San Paolo apostolo» di Roma, come vescovo ausiliare di Caracas. L’ordinazione episcopale di mons. Lisandro e mons. Carlos Márquez è stata conferita dal cardinal Baltazar Porras, amministratore apostolico dell’arcidiocesi di Caracas, nella chiesa di san Giovanni Bosco nella capitale, con la partecipazione di molti vescovi del Venezuela, più alcuni vescovi di Rito greco e due vescovi Imc dalla Colombia. 7 maggio 2022 MC tenti della Farc per combattere la dissidenza». Qualche giorno dopo il signor Pedro viene a chiedermi il certificato di sepoltura dei suoi tre figli perché vuole denunciare lo stato. È intenzionato ad andare a Bogotá per parlare con i mezzi di comunicazione a livello nazionale e internazionale. È arrabbiato e triste. Mi dice: «Non voglio che muoiano altri giovani, molti ne sono stati già uccisi. Dobbiamo fermare questa strage. Oggi la barca di linea portava più di cento persone che scappavano dal territorio dopo aver visto trucidare i miei tre figli senza alcun motivo». Lo avviso che oggi passerà a Solano la Croce rossa internazionale e che sarebbe importante mettersi in contatto con loro perché appoggiano questi casi di violazione dei diritti umani. Vedo che si fa sempre più urgente un lavoro con gli adolescenti e i giovani. Già in parrocchia lo stiamo attuando, non solo con attività religiose di catechismo e con gruppi giovanili, ma con una presenza a tappeto nelle varie scuole e collegi del territorio dove operiamo, attraverso un accompagnamento di formazione sul progetto di vita e sui valori in cui credere per costruire il proprio futuro. Approfitto per ringraziare le varie associazioni e persone che hanno collaborato in questi anni nell’appoggio economico delle varie attività realizzate nella parrocchia e a livello del Vicariato apostolico di Puerto LeguizamoSolano (come il progetto di Amico, luglio 2019). Qualche frutto lo abbiamo visto in giovani che si sono inseriti nella società come lideres. A livello ecclesiastico abbiamo quattro giovani nel seminario. Da quando sono arrivato il 3 dicembre del 2017 abbiamo diviso questo immenso territorio in tre parrocchie e come zona ci troviamo una volta al mese qui nella parrocchia madre. Siamo un bel gruppo: tre sacerdoti, sette suore, due seminaristi e una laica Missionaria della Consolata. Un gruppo di missionari/e molto giovani che, guidati dalla forza dello Spirito del Signore, vogliamo accompagnare i vari popoli che vivono in questo In alto a sinistra: Padre Angelo Casadei a Solano. Qui sotto: il neo vescovo (col pastorale) insieme al superiore generale padre Stefano Camerlengo (primo a sinistra) e altri vescovi, tra cui i nostri due della Colombia. *
e l’esercito regolare sostenuto dalla Russia, almeno così si dice. Le materie prime fanno gola a molti. E sono zone poverissime. Nella cittadina di Bocaranga non siamo riusciti a trovare nemmeno il pane, l’acqua con difficoltà, e abbiamo cenato solo grazie alla buona volontà di una signora. L’ospedale, un centinaio di posti letto con quasi mille parti all’anno, garantisce diagnosi e cura grazie alla ventennale presenza di un infermiere specializzato che spazia dal cesareo alle amputazioni. Niente laboratorio, pochissimi farmaci, nessun medico. L’accoglienza da parte delle autorità sanitarie dell’ospedale è stata emozionante e fraterna». (Fides) ARGENTINA PIRONIO VENERABILE Il 18 febbraio scorso papa Francesco ha riconosciuto le virtù eroiche del cardinale Eduardo Pironio, dichiarandolo venerabile. «È una gioia profonda che una figura così importante nella vita della Chiesa, che ha fatto parte di questo episcopato, sia proposto oggi come esempio di vita cristiana e sacerdotale, e fonte di ispirazione per la nostra carità pastorale di vescovi e sacerdoti», hanno dichiarato i vescovi argentini. Nato a Nueve de Julio (Argentina) nel 1920 e morto in Vaticano nel 1998, Pironio ha ricoperto, tra gli altri, gli incarichi di vescovo di Mar del Plata, segretario generale e presidente del Consiglio episcopale latinoamericano ricordano che «per qualsiasi iniziativa, è necessario un dibattito ampio e senza esclusioni con l’intera società brasiliana, in particolare con le popolazioni indigene, che devono decidere sugli usi del territorio, rispettando i loro diritti già sanciti dalla Costituzione e dagli accordi e convenzioni internazionali di cui il Brasile è firmatario». (Fides) REP. CENTRAFRICANA L’ULTIMO MIGLIO I Medici con l’Africa Cuamm sono presenti da quattro anni a Bangui, nella capitale della Repubblica Centrafricana, dove si trova l’unico ospedale pediatrico del paese. Qui, con un lavoro duro e complesso, hanno ottenuto risultati importanti: sono quasi 20mila i bambini ricoverati in un anno e 70mila quelli che hanno ricevuto cure ambulatoriali. Ora hanno deciso di portare il loro lavoro fuori, nelle aree rurali più abbandonate e difficili del paese, dove nessuno vuole andare. «Il nostro ultimo miglio», dice don Dante Carraro, direttore di Medici con l’Africa Cuamm. Si tratta dei due distretti di Bocaranga e Ngaundaye dove vivono oltre 200mila persone. «Sono zone insicure», spiega il direttore del Cuamm. «Dal 2013 sono iniziati scontri fra i ribelli antigovernativi appoggiati dalla Francia BRASILE TERRE INDIGENE La Conferenza nazionale dei vescovi del Brasile (Cnbb) e in particolare la Commissione episcopale speciale per l’ecologia integrale e l’estrazione mineraria, la Rete ecclesiale panamazzonica Repam-Brasile e il Consiglio indigenista missionario (Cimi) hanno diffuso un messaggio in cui esprimono la loro contrarietà a due progetti di legge dannosi per i popoli indigeni del paese. Il primo incentiva l’estrazione mineraria, il turismo, l’agribusiness nelle terre indigene. Il secondo propone, invece, di consentire la ricerca e lo sfruttamento delle risorse minerarie e di idrocarburi, nonché l’uso delle risorse idriche per produrre elettricità nelle terre indigene e istituisce una compensazione per la restrizione dell’usufrutto delle terre indigene. I vescovi evidenziano che il parlamento ha deciso di esaminare queste misure senza discussione con la società brasiliana nel suo complesso nascondendo il vero disastro sociale, ambientale e lavorativo ricorrente nelle aziende di estrazione mineraria, aggravando i conflitti con le popolazioni indigene. Nella conclusione del messaggio, i vescovi a cura di Sergio Frassetto MC R la chiesa nel mondo Brasilia: indigeni dell’Amazzonia manifestano davanti al parlamento in difesa delle proprie terre (foto di repertorio). * 8 maggio 2022 MC
(Celam), prefetto della Congregazione per gli Istituti religiosi e gli Istituti secolari, presidente del Pontificio consiglio per i laici. Anche i vescovi latinoamericani riuniti nel Celam hanno espresso in una nota la loro gioia sottolineando che: «Il suo contributo alla pratica pastorale e al magistero della Chiesa latinoamericana e caraibica è stato evidente nelle Conferenze generali dell’episcopato latinoamericano a Medellín (1968), Puebla (1979) e Santo Domingo (1992). La sua guida e la sua partecipazione attiva a Medellín hanno contribuito a forgiare le strade dell’opzione preferenziale per i poveri» e della peculiare ricezione del Concilio in America Latina. (Sir) SUDAFRICA PREMIO NIWANO Padre Michael Lapsley, leader religioso e attivista sociale, è il vincitore del 39º Premio Niwano per la Pace. Padre Michael Lapsley è nato il 2 giugno 1949 in Nuova Zelanda. Ordinato prete anglicano nel 1973, ha iniziato la sua missione in Sudafrica negli anni più duri dell’apartheid. Da subito è diventato una delle voci più forti in difesa degli studenti neri sudafricani. Nel 1990, è stato vittima di un attentato dinamitardo: ha subito gravi ferite, tra cui la perdita di entrambe le mani, della vista dell’occhio destro e ustioni estese. Nonostante questa terribile vicenda, padre Michael ha continuato a impegnarsi, con mezzi non violenti, per la libertà del popolo sudafricano. Anche dopo la fine dell’apartheid, ha continuato la sua lotta a livello internazionale organizzando forum per combattere la xenofobia, la violenza contro i rifugiati e promuovendo iniziative per la pace e la difesa dei diritti umani. Il Premio Niwano è intitolato al fondatore e primo presidente dell’organizzazione laica buddista Rissho Kosei-kai, Nikkyo Niwano che era particolarmente impegnato sul tema della pace tra le persone e le nazioni. (Vatican News) PERÙ AGUCHITA Suor María Agustina de Jesús Rivas López, conosciuta da tutti come «Aguchita», la religiosa peruviana assassinata il 27 settembre 1990 dal gruppo terroristico Sendero Luminoso e il cui martirio in odium fidei è stato riconosciuto da papa Francesco il 22 maggio 2021, sarà beatificata il 7 maggio. Aguchita ha trascorso gran parte della sua vita nella foresta centrale del Perù dedicandosi all’assistenza sanitaria e all’educazione principalmente delle donne, che ha promosso attraverso progetti di formazione, organizzando gruppi giovanili e catechesi familiare nelle comunità rurali della città di Valle del Yurinaqui, nel dipartimento di Junín. (Fides) R MC * * Polonia: la guerra a pochi passi Lo scoppio della guerra in Ucraina, ha portato l’attenzione e la preoccupazione del mondo intero a pochi passi dalle nostre comunità presenti in Polonia. I rifugiati, che in grande numero entrano in Polonia, trovano una organizzata accoglienza. Le frontiere infatti sono aperte e il passaggio è facilitato. Il numero di profughi è molto alto: alcune stime dall’inizio del conflitto fino a marzo parlano di oltre 2 milioni di persone. Si tratta per lo più di donne e bambini. Gli uomini infatti rimangono a combattere. Notevole è lo sforzo di accoglienza che si è attivato. Il nostro aiuto, come missionari della Consolata presenti in Polonia (siamo qui da anni, attualmente con sei confratelli provenienti da cinque paesi diversi, da tre continenti), si sviluppa in tre direzioni: accoglienza dei rifugiati, raccolta di beni e offerte. Anche nel nostro Comune, Łomianki, vicino a Varsavia, in collaborazione con la parrocchia e la Caritas, ci stiamo adoperando. Arrivano pullman di mamme e bambini. Il nostro compito è cercare famiglie che li ospitino. Nella nostra casa a Kiełpin abbiamo ospitato Pietro e la figlia Anastasia che poi sono volati presso parenti in America. Anche una mamma, Anastasia, con i due figli, Ivan e Yeva sono stati ospiti a casa nostra. Siamo riusciti a far avere loro il visto dell’ambasciata italiana e poi hanno preso il volo per Milano. Successivamente abbiamo accolto una giovanissima coppia di studenti nigeriani che scappava da Kiev con il loro neonato di quattro mesi. A Białystok, una città confinante con la Bielorussia, stiamo collaborando con la Caritas locale grazie gli aiuti arrivati dall’Italia a favore dei profughi. Accanto alla nostra comunità a Konotop, da cinque anni, c’è una fondazione di volontariato giovanile missionario dal nome «Opera per la missione». Prima che iniziasse la guerra stava predisponendo un campo di lavoro per l’estate, ora si è messa al servizio di questa emergenza. (Imc) Per aggiornamenti regolari su questa realtà vedi il nostro sito. Kielpin (Polonia): da sinistra, padre Luca Bovio, il diacono Patryk Okwaro e padre Juan Carlos Carmona collaborano con la Caritas nell’accoglienza e assistenza dei profughi ucraini. * 9 maggio 2022 MC
UCRAINA MC A La guerra di Putin AGGRESSIONE E RESILIENZA non si fa un passo indietro, analizzando il legame morboso che lega la Russia all’Ucraina e a come è nato il conflitto nel Donbass, dimenticato ma in atto da otto anni. UN PAESE GIOVANE CON UNA STORIA SECOLARE La dissoluzione dell’Unione Sovietica, sancita ufficialmente nel dicembre del 1991, è stata sorprendentemente pacifica in Ucraina, che ha festeggiato il trentennale della propria indipendenza lo scorso 24 agosto. Da mesi, la domanda che in tanti si ponevano era: ci sarà una guerra contro l’Ucraina o il presidente russo Vladimir Putin sta solo bluffando? La risposta è arrivata la notte del 24 febbraio, quando i convogli corazzati russi hanno attraversato il confine ucraino e i missili hanno iniziato a colpire prima obiettivi militari e poi civili. Mentre la guerra imperversava sempre più cruenta, tutti hanno cominciato a discutere sul perché. Speculazioni e mezze verità che non hanno senso se di CLAUDIA BETTIOL* 10 MC Per il presidente russo, l’Ucraina «non esiste» come stato autonomo. Un’affermazione smentita dall’incredibile resistenza degli ucraini all’invasione di Mosca. Una guerra - «operazione militare speciale», secondo i russi - che, dal 24 febbraio, ha cambiato il mondo. © Fadel Senna - AFP Festeggiamenti ormai dimenticati a causa dello scoppio di una nuova guerra, che sta lacerando questo paese giovane, ma dalla storia secolare e che, da Est a Ovest, si è ritrovato a lottare per rimanere unito sotto un’unica bandiera. L’Ucraina, infatti, non è nata ieri. Possiede da secoli un’identità propria, un sentito movimento nazionale e una profonda storia d’indipendenza che risale a ben prima dell’arrivo di Pietro il Grande. Un’identità che, spesso e volentieri, è stata vittima di deformazioni storiche: nonostante, infatti, ucraini e russi (insieme ai bielorussi) vengano da alcuni considerati fratelli inseparabili («un unico popolo», come ha sottolineato lo stesso Putin in un lungo scritto del 12 luglio scorso titolato «Sull’unità storica dei russi e degli ucraini»), i primi hanno una loro storia secolare e
" sere e diventare. Inoltre, la mancata esperienza diretta di sistemi democratici ha minato la corretta applicazione dei principi di base (come la giustizia o la lotta alla corruzione e al clientelismo) soprattutto nei primi anni Novanta. Alcuni pensavano che il paese dovesse integrarsi ulteriormente all’Europa, altri che dovesse rimanere strettamente legata alla Russia. Una questione che ha portato prima alla «Rivoluzione della dignità» (nota anche come «Euromaidan», Europiazza) e, successivamente, a un conflitto ibrido nei territori orientali del paese, oggi trasformatosi in un bagno di sangue su scala nazionale. LA QUESTIONE DONBASS L’Ucraina è in guerra dal 2014, ovvero dall’anno dell’annessione da parte della Russia della penisola di Crimea (avvenuta il 18 marzo dopo un referendum giudicato illegale a livello internazionale) e dello scoppio del conflitto nella regione più orientale del Donbass. Per otto anni, il paese è stato diviso da una linea del fronte lunga circa 400 km che separava, fino allo scorso febbraio, una parte dei territori del Donbass dalle autoproclamate repubbliche popolari di Donetsk (Doneckaja narodnaja respublikae, Dnr, nella traslitterazione dal russo) e Luhansk (Luganskaja narodnaja respublika, Lnr), occupate dai separatisti armati e finanziati dal Cremlino. Si è sempre trattato, nei suoi otto anni, di un conflitto ibrido limitato a questi territori e poco noto internazionalmente, tanto che spesso veniva (erroneamente) considerato una guerra civile o addirittura una guerra tra clan mafiosi, data la grande presenza locale di potenti oligarchi. Un conflitto definito «a bassa intensità» che, però, ha provocato migliaia di vittime e sfollati interni: dall’aprile 2014 e fino allo scorso dicembre, circa 13.300 morti (3.375 civili, 4.150 soldati ucraini e 5.700 separatisti). Vani sono stati i tentativi per trovare una soluzione diplomatica attraverso dei negoziati. Questi hanno visto protagonisti prima esclusivamente le due parti in causa - Russia e Ucraina (Accordi di Minsk del 2014) - e poi anche Francia e Germania («Quartetto Normandia»), in qualità di mediatori, nei cosiddetti Accordi di Minsk II del 2015 . L’intento dei negoziati, svoltisi nella capitale bielorussa, era quello di concordare un cessate il fuoco bilaterale, effettuare scambi di prigionieri, fornire aiuti umanitari, demilitarizzare la zona multiculturale, una loro lingua ufficiale e delle tradizioni culturali diverse da quelle dei secondi. TRA «RUSSKIJ MIR» E DEMOCRAZIA Durante i primi 20 anni dalla dissoluzione dell’Urss, la Russia ha tenuto d’occhio gli sviluppi in Ucraina e ha interferito in vari modi nella politica interna del paese. Ma la presenza di una nutrita popolazione ucraina di lingua russa garantiva - o sembrava garantire - che il paese non si sarebbe mai allontanato troppo dalla sfera d’influenza russa, dal cosiddetto russkij mir («mondo russo»). Tuttavia, il concetto di democrazia era già ben radicato nella mentalità e nella cultura politica del popolo ucraino, erede storico di quel particolare sistema statale dell’«etmanato cosacco» del XVII secolo (abolito da Caterina II di Russia nel 1764). Non sorprende, quindi, sapere che, al contrario della Russia, in Ucraina è sempre esistita un’opposizione. Senza equivoci, la politica ucraina era (e lo è tuttora) piena di conflitti interni: i cambi di potere e i rimpasti di governo sono stati tumultuosi in quanto riflettevano genuine differenze di opinione nella popolazione su ciò che l’Ucraina sarebbe dovuta esmaggio 2022 MC 11 Qui: la resilienza di un uomo che ripara la finestra della propria casa colpita dall’artiglieria dell’invasore russo, a Boyarka (26 marzo). | A sinistra: due donne ucraine di Trostianets passano davanti a un carro armato russo fuori uso e alle macerie di edifici distrutti dall’aggressore (29 marzo 2022). * A MC Diversamente dalla Russia, il concetto di democrazia è già ben radicato in Ucraina. Guerra | Profughi | Armi | Accoglienza e solidarietà © Celestino Arce - NurPhoto - AFP
In alto: profughi ucraini accolti in un rifugio temporaneo organizzato in un ex edificio storico della stazione ferroviaria di Cracovia, in Polonia (28 marzo 2022). | Qui sopra: stemma del «battaglione Azov», formazione ucraina neonazista. | A destra: mappa dell’Ucraina con le regioni contese in evidenza; l’arcangelo Michele domina su piazza (maidan) dell’indipendenza, cuore della capitale Kyiv. * e, soprattutto, decentralizzare il potere fornendo una maggiore autonomia alle regioni del Donbass e indicendo anche nuove elezioni sotto il monitoraggio dell’Osce. L’intesa, tuttavia, è fallita più volte a causa di ripetute violazioni del cessate il fuoco da entrambe le parti. Uno dei maggiori ostacoli nell’adempimento dei negoziati è stata la mancata ammissione da parte della Russia di essere soggetto integrante del conflitto stesso: Kyiv ha sempre sostenuto che, nel Donbass, le forze armate separatiste provenissero anche da Mosca, ma la Russia ha sempre negato. Questa era la situazione fino allo scorso 22 febbraio, quando Vladimir Putin ha annunciato il riconoscimento ufficiale dell’indipendenza di Dnr e Lnr e ha cambiato le carte in tavola sulla scacchiera geopolitica internazionale. Oggi, in seguito all’escalation e all’invasione russa, le parti sono tornate a fronteggiarsi apertamente, non solo violando il cessate il fuoco nei territori occupati e vicini alla linea di contatto, ma scatenando una guerra su larga scala e una crisi umanitaria di enormi proporzioni per l’Ucraina e per tutta l’Europa. IL CASUS BELLI DI PUTIN Nel lungo discorso per giustificare il riconoscimento delle repubbliche secessioniste ucraine del Donbass, il presidente russo ha chiaramente detto che l’obiettivo principale del suo intervento militare in Ucraina è quello di «denazificare» il paese. Per Putin, infatti, l’Ucraina sarebbe governata da un esecutivo di «drogati» e «neonazisti». Inoltre, ha sostenuto che, in Ucraina, sia in corso un vero e proprio «genocidio» nei confronti della popolazione russa e russofona, vittima dei nazisti al governo. Una descrizione della realtàinfondata e assurda. Basta guardare ai numeri effettivi della presenza dell’estrema destra ucraina, alla popolazione che attualmente sta combattendo per la propria libertà, nonché al fatto che molti dei politici ucraini (come lo stesso presidente Zelenskyj) sono di madrelingua russa. Come succede per ogni guerra, anche il conflitto in Ucraina ha dato origine a una sconcertante diffusione di verità parziali e a un controllo pedissequo della narrazione, soprattutto da parte dei media russi. L’affermazione di Putin, secondo cui la «Rivoluzione della dignità» del 2014 fu un «colpo di stato fascista» e l’Ucraina è uno stato nazista, è stata usata per anni come giustificazione per l’annessione della Crimea e il sostegno ai separatisti russofoni nell’Est del paese, guadagnando molto consenso * UCRAINA 12 maggio 2022 MC "Otto anni di guerra nel Donbass hanno fatto migliaia di vittime. © Beata Zawrzel - Anadolu Agency - AFP
anche sui social. Ma l’Ucraina è un autentico stato liberal-democratico, anche se imperfetto, con libere elezioni che producono significativi spostamenti di potere, compresa l’elezione nel 2019 del riformatore liberal-populista Volodymyr Zelenskyj. Inoltre, il partito che rappresenta i cosiddetti neonazisti non ha attualmente nemmeno un seggio in parlamento. L’Ucraina, quindi, non è assolutamente uno stato nazista, e il casus belli russo è l’ennesima bugia del Cremlino. LE MILIZIE UCRAINE DI ESTREMA DESTRA Stabilito questo, è vero che tra le milizie volontarie ucraine che partecipano a questa guerra ci sono anche quelle neonaziste. Tra queste, la più nota è il «battaglione Azov», un’organizzazione di estrema destra fondata da Andriy Biletskiy. Nato come gruppo paramilitare, nel 2014 il battaglione è stato inquadrato nella «Guardia nazionale ucraina», componente di riserva dell’esercito. Lo scopo principale di Azov era quello di contrastare le crescenti attività di guerriglia dei separatisti filorussi del Donbass. Il battaglione ha come base la città portuale ucraina di Mariupol’ (la più martoriata nel conflitto) ed è legato al progetto politico Nacional’nyj Korpus (Corpo nazionale) che partecipa alle elezioni e ha rapporti internazionali con altri gruppi di estrema destra. Nonostante tra il presidente Volodymyr Zelenskyj A MC 13 maggio 2022 MC ● SUPERFICIE: 603.600 Km2 (due volte l’Italia); ● POPOLAZIONE: 41,5 milioni (dato controverso); ● CAPITALE: Kyiv (traslitterato dall’ucraino), Kiev (traslitterato dal russo), con circa tre milioni di abitanti; ● SISTEMA POLITICO: repubblica democratica semipresidenziale; ● PRESIDENTE: Volodymyr Zelenskyj, in carica dal 20 maggio 2019; ● DATE ESSENZIALI: indipendenza, 25 dicembre 1991; invasione russa, 24 febbraio 2022; scoperta una strage di civili a Bucha, 3 aprile; papa Francesco parla di «impotenza dell’Onu» (6 aprile); ● PRINCIPALI GRUPPI DEMOGRAFICI: ucraini 78%, russi 17%; ● RELIGIONI PRINCIPALI: ortodossi 78% (divisi in due Chiese, una legata a Mosca e una autocefala), cattolici 11% (Chiesa greco cattolica); ● ECONOMIA: produzione agricola (grano, semi di girasole, zucchero, carne, prodotti caseari); industria siderurgica (acciaio e ghisa); ● GAS: attraversa l’Ucraina il gasdotto Yamal, dal quale passa circa il 10% delle forniture totali di gas proveniente dalla Russia; ● REGIONI CONTESE: Donbass, regione mineraria (carbone in primis, ma anche ferro, uranio, titanio, manganese, mercurio e gas) di circa 32mila Km2, quattro milioni di abitanti (dato controverso), Donesk e Luhansk come capoluoghi; Crimea, penisola sul Mar Nero di 26.200 Km2 (poco più della Lombardia), due milioni di abitanti e Sebastopoli come capoluogo; ● MIGRANTI (ANTE GUERRA): circa sei milioni di cittadini (World Migration Report, 2022), la maggior parte in Russia e Polonia; ottavo paese al mondo per fenomeno migratorio; ● UCRAINI IN ITALIA (ANTE GUERRA): 236mila pari al 4,6% degli stranieri ufficiali (dati Istat, 1° gennaio 2021); dei residenti ucraini in Italia 177mila sono donne, in larga parte occupate nei servizi alla persona (colf e badanti; dati Fondazione Leone Moressa); ● PROFUGHI: 6,5 milioni di profughi interni (International organization for migration, Iom, marzo 2022); 4,5 milioni di profughi scappati dal paese (dati Unhcr al 10 aprile 2022), oltre 87mila arrivati in Italia (secondo le cifre del Viminale al 10 aprile). (a cura di Paolo Moiola) Ucraina, alcuni dati © Gleb Albovsky - Unspalsh
* UCRAINA 14 maggio 2022 MC Laguerradi Putin e ledivisioni dellaChiesaortodossa Kirill, il patriarcacon l’elmetto Il patriarca di Mosca non ha voluto (o potuto) distinguersi dall’amico Putin. Il suo avvallo alla guerra in Ucraina è una scelta grave e densa di conseguenze. Il presidente Putin e il patriarca ortodosso Kirill formano una coppia di guerra ben assortita: il primo ha il sogno di ricostituire una sorta d’impero zarista, il secondo di difendere l’idea della Santa Russia («Svjataja Rus»). Pubblicamente, entrambi hanno come riferimento l’ideologia del Mondo russo («Russkii mir»). Segretamente, entrambi hanno (o avevano) l’ambizione di ampliare la rispettiva sfera di potere. Sul tema, un nutrito gruppo di teologi ortodossi è intervenuto con una dichiarazione congiunta: «Questo “Mondo russo” - vi si legge - ha un centro politico comune (Mosca), un centro spirituale comune (Kyiv quale “madre di tutte le Rus’”), una lingua comune (il russo), una Chiesa comune (la Chiesa ortodossa russa, il Patriarcato di Mosca), e un patriarca comune (il Patriarca di Mosca) che lavora in “sinfonia” con un presidente/capo nazionale comune (Putin) per governare questo mondo russo, oltre che per sostenere una spiritualità, moralità e cultura comuni, distinte da quelle del mondo non russo». I firmatari concludono: «[Noi] respingiamo l’eresia del “Mondo russo” e le azioni vergognose del governo della Russia [compiute] con la connivenza della Chiesa ortodossa russa» (13 marzo 2022, domenica dell’ortodossia). La conversione religiosa di Putin viene fatta risalire agli anni Novanta. Il suo padre spirituale sarebbe l’ultraconservatore vescovo Tikhon, oggi metropolita di Pskov. Tuttavia, le apparizioni pubbliche dello zar del Cremlino sono state e sono con il patriarca Kirill. Dopo l’invasione dell’Ucraina, i due si sono sostenuti a vicenda con dichiarazioni che, fuori della Russia, sono apparse sconcertanti. Durante il suo comizio allo stadio di Mosca (17 marzo), il presidente ha giustificato l’invasione citando un passo del Vangelo di Giovanni: «Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici». Per parte sua, il patriarca ha superato ogni immaginazione nel suo sermone di domenica 6 marzo. In esso Kirill ha giustificato l’intervento armato russo per proteggere i valori cristiani sulla sessualità e sul matrimonio, minacciati, egli sostiene, dalla cultura occidentale delle «parate gay». Anche nelle ore del massacro di Bucha, il patriarca di Mosca ha parlato in difesa dell’intervento russo (3 aprile). Come il sodale Putin, pure Kirill, a capo della Chiesa ortodossa russa dal 2009, non ha però * tutto sotto controllo. Dopo lo scisma ucraino del 2018 (7mila parrocchie su 19mila sono passate alla neonata Chiesa ortodossa autocefala guidata dal primate Epifanij), oggi Kirill si trova in difficoltà anche con la Chiesa ortodossa ucraina guidata dal primate Onufrij, la quale, pur rimasta legata al patriarcato di Mosca, ha espresso una forte contrarietà alla guerra. I CATTOLICI UCRAINI I cattolici ucraini - stimati attorno all’11 per cento del totale, pari a 6 milioni di persone - sono invece riuniti nella Chiesa greco cattolica, guidata da monsignor Sviatoslav Shevchuk. «Non lasciateci soli nel nostro dolore - ha detto il vescovo (28 marzo) -. Nessuno è preparato alla guerra, tranne i criminali che la pianificano e la mettono in atto. È stato uno choc. Ma era evidente che si trattava di un’invasione ben pianificata». Quella ucraina non è una «guerra di religione», ma è una guerra in cui la religione viene usata come strumento. Come troppo spesso nella storia. Paolo Moiola © Aleksey Nikolskyi - Sputnik - AFP
risolvere la questione ucraina con una guerra lampo, si è trovato a dover riformulare la propria strategia. Se prima il suo obiettivo principale era evitare che l’Ucraina si unisse a Ue e Nato per poterla tenere sotto la propria ala di influenza e, eventualmente, sostituire l’attuale governo, ai suoi occhi troppo filoeuropeo, con un team fidato, ora (mentre andiamo in stampa, a metà aprile, ndr) la sua priorità sembra essere quella di rendere il paese neutrale. Ma cosa significherebbe? Vorrebbe dire smilitarizzare l'Ucraina trasformandola in una nuova Austria o Svezia. Un’operazione che sarebbe, tuttavia, possibile esclusivamente in tempi di pace e in presenza di un cessate il fuoco, fattori assenti in questo momento: bombardamenti e assedi continuano in diverse città (Mariupol’, Sumy, Charkiv, Cherson) oggi completamente distrutte e dove i civili sono vittime di attacchi quotidiani. Nel complesso, gli esperti sembrano essere d’accordo sul fatto che la neutralità è la strada da seguire. «Nel suo mondo ideale, Putin potrebbe aver sognato un’Ucraina unita alla Russia in un’unica forma statale, ma gli eventi delle ultime settimane hanno dimostrato che è un risultato altamente improbabile», ha commentato il prof. Graeme Gill, esperto di politica sovietica e russa, aggiungendo che «mentre c’è ancora un sostanziale sentimento filorusso in alcune parti del paese, l’invasione ha inasprito la visione dei russi da parte di molti ucraini». e il battaglione non scorra buon sangue, Azov combatte oggi in prima linea ed è molto utile al governo di Kyiv in quanto conosce bene il territorio, è ben organizzato e possiede capacità e conoscenze militari effettive. Per ora, l’Ucraina e Zelenskyj hanno, quindi, bisogno delle capacità militari e dello zelo ideologico delle milizie nazionaliste e di estrema destra per combattere e vincere la battaglia per la sopravvivenza nazionale. Ma quando la guerra finirà, Zelenskyj e i suoi sostenitori occidentali dovranno stare attenti a non dare troppo potere a gruppi i cui obiettivi sono in netto contrasto con le norme basilari dei sistemi politici liberal democratici. Armare e finanziare Azov e compagni è una delle scelte difficili imposte dallo status di guerra, ma il loro disarmo dovrebbe essere una priorità a conflitto terminato. CHE SIGNIFICA NEUTRALITÀ? Nessuno si sarebbe mai aspettato né un conflitto di tale portata, né una resistenza così motivata e organizzata da parte del popolo ucraino, caratteristica quest’ultima che ha colto tutti di sorpresa. Come sorprendente è stato il presidente Zelenskyj che, in Occidente e tra il pubblico internazionale, si è guadagnato un’immagine da vero eroe, un capitano che non abbandona la nave nel momento del bisogno ma che, al contrario, lotta con la propria gente. Le truppe russe si sono trovate davanti un nemico «incapace» di arrendersi e di piegarsi all’aggressore. E Putin, che sperava di LA CRISI DEI MIGRANTI Nel giro di un mese e mezzo oltre 4,5 milioni (su 41,5) di ucraini sono fuggiti; la maggior parte (2,6 milioni) ha trovato rifugio temporaneo in Polonia. Anche negli anni precedenti (a partire dal 2014) è stato questo paese ad accogliere oltre un milione di ucraini. Eppure oggi, dopo una iniziale sincera catena di solidarietà che ha accolto i rifugiati a braccia aperte, nei media stanno emergendo domande su come i sistemi di assistenza sociale e sanitaria, già sovraccarichi, potranno reggere. La guerra in Ucraina ha costretto uno stato conservatore per antonomasia come la Polonia ad abbandonare la sua rigida posizione anti rifugiati degli ultimi anni. Oggi il governo polacco ha aperto le frontiere a tutti gli sfollati provenienti dall’Ucraina, rivedendo le sue posizioni: un’accoglienza motivata tanto dalla paura della confinante Russia, quanto dalla compassione. Ma quanto reggerà? Claudia Bettiol* A MC 15 maggio 2022 MC (*) Nata nel 1986, slavista di formazione, dopo un anno di studio in Russia, un Erasmus in Estonia e un volontariato nella città ucraina di Sumy, CLAUDIA BETTIOL si è trasferita a Kyiv dove, fino allo scoppio della guerra, lavorava come traduttrice e insegnante di italiano. Ha scritto per «East Journal» (eastjournal.net). Dal 2019 collabora con «Osservatorio Balcani e Caucaso» (balcanicaucaso.org). Qui: civili in attesa di essere evacuati dalla città di Mariupol’, quasi rasa al suolo dai militari russi e dai separatisti (26 marzo 2022). | A sinistra: Putin e il patriarca Kirill alla cattedrale ortodossa della Resurrezione di Cristo, la cattedrale di riferimento per le forze armate russe, in occasione di una commemorazione, Kubinka (Mosca), 22 giugno 2020. * © Anadolu Agency - AFP " Milioni di profughi ucraini si sono riversati nei paesi europei. L’Europa reggerà?
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