Missioni Consolata - Aprile 2022

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Info e acquisti: ordini@emi.it www.emi.it seguici anche su Disponibili in libreria o su emi.it Spese di spedizione gratuite con almeno 19€ di acquisto SULLA SOGLIA DELLA COSCIENZA LA LIBERTÀ DEL CRISTIANO SECONDO PAOLO PIERRE E MOHAMED ALGERIA, DUE MARTIRI DELL’AMICIZIA COMPRENDERE L’ISLAM O MEGLIO, PERCHÉ NON CI CAPIAMO NIENTE «Un testo che accompagna al cuore del cristianesimo» L’Osservatore romano «Una testimonianza di amicizia, fede, speranza» La Lettura – Corriere della Sera «Spiegazioni limpide in uno stile vivace» Le Figaro I LIBRI DEL DOMENICANO ADRIEN CANDIARD pp. 144 - € 13 pp. 88 - € 9,50 pp. 128 - € 13

AI LETTORI Ai lettori MC R di Gigi Anataloni, direttore MC EDI ORIALE MC di Gigi Anataloni, direttore MC La guerra è una pazzia «Cari fratelli e sorelle, in Ucraina scorrono fiumi di sangue e di lacrime. Non si tratta solo di un’operazione militare, ma di guerra, che semina morte, distruzione e miseria. Le vittime sono sempre più numerose, così come le persone in fuga, specialmente mamme e bambini. In quel paese martoriato cresce drammaticamente di ora in ora la necessità di assistenza umanitaria. Rivolgo il mio accorato appello perché si assicurino davvero i corridoi umanitari, e sia garantito e facilitato l’accesso degli aiuti alle zone assediate, per offrire il vitale soccorso ai nostri fratelli e sorelle oppressi dalle bombe e dalla paura. [...] La Santa Sede è disposta a fare di tutto, a mettersi al servizio per questa pace. [...] La guerra è una pazzia! Fermatevi, per favore! Guardate questa crudeltà!» (papa Francesco, Angelus, 6/3/2022). «La guerra è una pazzia». Non poteva essere più esplicito papa Francesco. Eppure tutto è stato pianificato da tempo con una gelida lucidità: dall’aumento del costo del gas per coprire le spese della guerra alle esercitazioni militari per giustificare il colossale dispiegamento di truppe, dalla campagna di fake news al corteggiamento di nuovi alleati tra politici e imprenditori, dal controllo societario di banche all’acquisizione di grandi fette di società dell’energia. E noi siamo stati a guardare, ignari e increduli, assopiti nel nostro benessere, sicuri che non ci avrebbe toccato e, soprattutto, dimentichi di quello che è davvero la guerra. Quelli vecchi come me, i figli del ‘68, hanno in qualche angolo della memoria le parole dei nonni o dei genitori che invitavano a non sprecare perché «durante la guerra» si grattava anche il fondo della pentola, e «grazie averne». Dalla Seconda guerra mondiale in poi, in Europa abbiamo vissuto l’avventura della pace con un progresso apparentemente inarrestabile, con un benessere, fluttuante sì, ma così diffuso da permetterci di sprecare: cibo, vestiti, energia, ambiente. Sì, ci sono state guerre in questi anni, ma in paesi lontani, a parte quella degli anni ‘90 nell’ex Jugoslavia, alcune totalmente ignorate, altre esorcizzate nelle nostre canzoni. Nel 2003 questa rivista ha pubblicato un memorabile numero speciale, poi diventato un libro Emi, intitolato «La guerra, le guerre». La lista dei paesi in conflitto era impressionante. Quel lungo elenco è ancora tristemente attuale, anzi si è allungato: Yemen, Siria, Libano, Libia, Niger, Mali, Mozambico, Burkina Faso, Haiti, Myanmar solo per citarne alcuni. Nel frattempo, le spese militari sono cresciute in tutto il mondo, anche nei paesi ufficialmente in pace. Il club atomico si è allargato, si sono costruiti missili sempre più sofisticati, potenti e ipersonici, i mercenari sono diventati anche più forti degli eserciti regolari e comodi, perché rispondono al potente di turno piuttosto che a governi e a leggi internazionali. Trentuno anni fa, era il 21 febbraio 1991, 36° giorno dall’inizio della prima guerra del Golfo, monsignor Tonino Bello, allora presidente di Pax Christi, diceva alla trasmissione Samarcanda: «Il mio desiderio è quello del cessate il fuoco, perché non è possibile, non è accettabile, non è pensabile che ancora oggi, con tutto il progresso che abbiamo fatto, con tutta la cultura che abbiamo alle spalle, della gente debba essere massacrata in questo modo. È osceno. Io credo che ci vergogneremo domani per la nostra mancanza di insurrezione di coscienza». E aggiungeva: «La guerra tutto può partorire, fuorché la pace e la giustizia». «La pace non arriverà finché non si fa giustizia». Queste parole sono attualissime. In Iraq non c’è ancora pace, neppure nella vicina Siria dove i Russi hanno testato la loro arte della guerra, e tantomeno in Afghanistan, invaso e poi abbandonato a se stesso. In nessuno di quei paesi la guerra ha portato pace, perché non ha costruito giustizia, non ha ridato dignità ai poveri, prospettive ai giovani, lavoro, educazione e sicurezza a tutti. Don Tonino Bello chiamava a una «insurrezione di coscienza». Per noi missionari significa stare con chi le guerre le paga sulla propria pelle, così come fanno i nostri in questi giorni nelle due comunità in Polonia aperte all’accoglienza dei profughi. Ma anche i missionari nel Nord del Kenya, in Etiopia, in Mozambico, nel Nord del Congo, in Venezuela, in Colombia, in Messico, in Costa d’Avorio, a Roraima in Brasile, dove ci sono guerre di fatto, non dichiarate, e che non fanno certo notizia. 3 aprile 2022 MC

* * * * * 08 CHIESA NEL MONDO a cura di Sergio Frassetto 30 CAMMINO DI LIBERTÀ 13. Vivere da Dio (Es 20,18-23,19) di Angelo Fracchia 64 E LA CHIAMANO ECONOMIA Ucraina, tempo di deporre le armi di Francesco Gesualdi 67 I VIAGGI DI DAN Libano, rifugiati e con pochi diritti di Dan Romeo 71 COOPERANDO Terzo a chi? La riforma di un settore cruciale di Chiara Giovetti 81 LIBRARSI Spiritualità e prove impossibili di Sante Altizio In copertina: preghiamo per la pace in Ucraina e in tutto il mondo (foto: Tehzeeb Kami su Unsplash, adattata da Kreative). https://www.rivistamissioniconsolata.it Gli articoli pubblicati sono responsabilità degli autori e non riflettono necessariamente l’opinione dell’editore. - I dati personali forniti dagli abbonati sono usati solo per le finalità della rivista. Il responsabile del loro trattamento è l’amministratore, cui gli interessati possono rivolgersi per richiederne la verifica o la cancellazione (D. LGS. 196/2003). 4 | Aprile 2022 | anno 124 Il numero è stato chiuso in redazione il 14 marzo 2022 e consegnato alle poste di Torino prima del 31 marzo 2022. 03 AI LETTORI La guerra è una pazzia di Gigi Anataloni 05 NOI E VOI Lettori e Missionari in dialogo ROM, UNA LUNGA STORIA DI NOMADISMO FORZATO RIFUGIATI NEI MARGINI di Manuela Cencetti a cura di Luca Lorusso MC A ossier 4 aprile 2022 MC MC R 10 MOZAMBICO La jihad dei poveri di Enrico Casale 15 MAROCCO MISSIONE REU /03 Oltre frontiera di Marco Bello 21 MADAGASCAR La lunga strada della missione di Kizito Mukalazi 24 KENYA I PERDENTI special Suor Carola Checchin «mware muega» a cura di Gigi Anataloni 53 ARGENTINA L’avanzata della polvere bianca di Paolo Moiola 59 PANAMA Dalla schiavitù al Cristo negro di Diego Battistessa 75 ALLAMANO Compagni di viaggio inserto a cura di S. Frassetto MC I SOMMARIO 33 * 59 * * 10 *

A cura del Direttore MC R Noi e voi LETTORI E MISSIONARI IN DIALOGO I I I I I I Sono già oltre 7 milioni nei soli mesi di gennaio e febbraio 2022. Non sono pulci, ma bambini. Senza contare la sofferenza delle madri che non viene cancellata anche se - come qualcuno propone - l’aborto diventa un diritto. Oggettivamente non ho risposte esaustive da dare sulle cause della sofferenza dei bambini «innocenti» - ce ne sono di colpevoli? -. Cerco anche di capire e approfondire le cause di tanto male, senza però farmi schiacciare dell’enormità dei problemi o diventare maestro nel blame game (il «gioco del biasimare», dare la colpa). È vero, sono urgenti anche prese di posizione a livello internazionale, ma, come fanno tanti miei confratelli nei paesi dove sono missionari, la prima cosa è che ciascuno faccia la sua parte facendosi carico di quei bambini che incontra con la vicinanza, la cura, l’attenzione, la tenerezza. In fondo solo l’amore può essere una risposta vera al dolore. Sta a noi, con i nostri atteggiamenti, diventare alternativa d’amore alla cattiveria, senza aspettare grandi soluzioni, ma diventando prossimi per le persone, piccole e grandi, che incontriamo sulla nostra strada. L’AMICO DI TURA CI HA LASCIATO Domenica 6 febbraio, puntuale come ogni settimana, da Tura, nella diocesi di Singida in Tanzania, padre Remo Villa ha mandato il suo solito cocktail di notizie e foto agli amici. LA SOFFERENZA DEI BAMBINI Leggo sempre con interesse il vostro giornale, uno dei pochi che spaziano su tutto il mondo. Congratulandomi per il vostro lavoro vi invio queste poche riflessioni. Tutti noi abbiamo grande venerazione per il Santo Padre, un po’ di tristezza però domenica sera in Tv quando, alla domanda di Fazio sulla sofferenza dei bambini innocenti, il papa non ha puntato il dito contro la cattiveria degli adulti ma si è limitato a dire che non ne sapeva la causa, non aveva una spiegazione. Non è per fare i saccenti ma tantissime volte la sofferenza dei bimbi è causata dalla cattiveria di noi adulti. Bimbi che si ammalano per l’inquinamento causato dai grandi con la loro sete di guadagno eccessivo. Il denaro, i privilegi, il successo ai primi posti per cui cibo avariato venduto ugualmente con la conseguenza che mangiamo sovente alimenti dannosi per la salute specie dei piccoli indifesi. Aria inquinata, rifiuti tossici sversati ovunque, radioattività eccessiva. Tantissime altre volte i bimbi soffrono sempre per colpa dei grandi, per la loro cattiveria sotto forma di ingiustizie sociali o per violenze fisiche subite. Come si fa a dare la colpa a Dio se siamo noi adulti a causare più o meno indirettamente tali sofferenze? Un mafioso che, sparando a un altro mafioso, uccide per sbaglio un bimbo di passaggio è forse colpa del cielo o non piuttosto della cattiveria del mafioso che voleva uccidere? Come si fa a dare la colpa al cielo se un bimbo nasce malato quando siamo noi che inquiniamo e trattiamo male, con egoismo e cattiveria una mamma incinta? Si sente pure parlare di ragazze obbligate a prostituirsi anche durante la gravidanza senza rispetto né per la mamma né tantomeno per il nascituro. Poi ci si scandalizza della sofferenza degli innocenti, quando siamo noi adulti a causare tale dolore con sopraffazioni tra noi, cattiverie che si riversano sui bimbi, gelosie, invidie in famiglie. Bimbi che vivono con genitori che litigano in continuazione per i loro capricci e volontà di supremazia. Tantissime volte la cattiveria dei grandi ricade più o meno indirettamente sui bimbi innocenti. Siamo noi adulti che ci comportiamo male con orgoglio e presunzione di poter fare a meno degli insegnamenti del Vangelo e poi ci lamentiamo. Cordiali saluti E. B. email del 23/02/2022 Gentile E., pubblico volentieri la sua sul dolore dei bambini, senza però con - dividere la sua amarezzaper la mancata risposta del papa. In realtàmolte situazioni di sofferen - za dei bambini non hanno una spiegazionee, probabilmente,come per la sofferenzadegli adulti e degli anziani, dobbiamoaccettare la finitezza, il limite insito nella no - stra natura di uomini. Non so lei, ma con questa realtà ho avuto a che fare fin dalla mia infanzia, andando con i miei genitori alla tomba della mia prima sorella, morta in 12 ore a sette mesi, mentre io ero ancora nella pancia di mia madre. Credo che il dolore provato da mia madre in quel momentoabbia segnato la mia vita senza una spiegazione. Ma tutto quello che dice circa la nostra responsabilità nel moltiplicare le sofferenzedei bambini - e non solo a loro -, è vero. Quanto sta succedendo in questi giorni in Ucraina ne è una prova evidente, così come l’incredibilenumero di aborti fatti ogni anno nel mondo. 5 aprile 2022 MC

Noi e Voi «Buona sera a tutti voi, Tura Friends. Oggi c’è questa barca che ci aspetta. Anche se quasi piena, il barcaiolo si è reso disponibile a fare la spola fino a che tutti i Tura Friends non siano arrivati a destinazione. Quindi mettiamoci in fila pazientemente. Oggi, domenica, partenza alle otto e ritorno alle sei e mezzo, con il buio in arrivo, per la messa alla comunità di Loya, la più lontana ma senz’altro la più vivace. Con la strada che comincia ad avere problemi, anche se siamo solo all’inizio delle piogge. Ma inserendo le 4 ruote motrici, diventa quasi una strada asfaltata. Chiesa piena con tanti bambini, e la gente attenta dall’inizio alla fine della celebrazione. Alex, il giovane catechista, è l’anima della comunità, con iniziative che spronano tutti a guardare sempre avanti. Ed in questo è affiancato da un vivace comitato di leader. I preparativi per la costruzione della chiesa continuano: ogni domenica parte dei mattoni vengono avvicinati alla zona dove verrà edificata la nuova chiesa. Ci sono già cinque camionate di sabbia sul posto. L’ultima colletta ha fruttato più di una tonnellata di cemento. E oggi ho suggerito di far partecipare a questo sforzo anche i molti cristiani originari di Loya, ma che ora vivono - e molti di loro hanno fatto fortuna - in varie città del Tanzania. Proposta accettata e che verrà realizzata al più presto. “Mattone su mattone”, cantavamo, quando una quarantina di anni fa mi trovavo a Santa Maria a Mare, in quel di Fermo (Ap). Haba na haba hujaza kibaba, diciamo in swahili. Una goccia dopo l’altra riempiono il bicchiere. Dopo un buon pranzo a casa di un maestro, una visita veloce al fiume il cui greto, in una delle ultime visite, avevo attraversato con la macchina. Oggi almeno un metro e mezzo di acqua, dalla corrente veloce, solcata solo da qualche piccola barca per il trasporto di persone e di cose. Tre settimane fa, come vi avevo accennato, hanno riaperto le scuole e, quindi, anche la nostra St. Raphael Primary school. Ogni giorno vi è qualche nuovo arrivo, e anche oggi, domenica, due ragazzi si sono aggiunti. In totale, fino ad oggi, sono una settantina, una trentina dei quali vivono nel collegio provvisorio in attesa di poter iniziare la costruzione, ampia e funzionale come si deve, all’interno del terreno della scuola non appena saranno risolti i problemi di occupazione abusiva di gran parte dell’area». Domenica 13 febbraio non arriva il solito messaggio. Allarme tra gli amici. Il 14, arriva uno breve breve: «Ciao Tura Friends Alcuni amici mi chiedono se va tutto bene, dal momento che ieri il nostro appuntamento è saltato. Causa di una forte malaria che mi ha preso ieri durante la seconda messa. Solo ora mi sento un po’ meglio. Buon pomeriggio». È stato l’ultimo messaggio. Domenica 20, alle 21.45, infatti, è arrivata una email dalla nostra segreteria generale di Roma: «Morte di padre Remo Villa». Ho pianto. Se potete, tornate a vedere la foto in bianco e nero di pagina 68 del numero scorso. Remo è il primo a destra. Era il terzo giorno del nostro anno di noviziato. Compagno, amico, fratello di una vita. Liceo insieme, noviziato, divisi per teologia, lui a Roma e io a Torino, gli ho fatto da fotografo per la sua ordinazione al paese, Mori (Tn). Uniti poi nel progetto di animazione missionaria e nel creare la rivista Amico, che nasceva dalla collaborazione tra noi (allora) giovani animatori. Quanta passione, quanti sogni. Per lui è stata fondamentale l’esperienza nel casale di Santa Maria a Mare e il contatto con la chiesa di Fermo. Poi, nel 1981, parte, prima per Londra e poi per il Tanzania, dove arriva nel 1982 e rimane fino alla morte, 40 anni. Nel 2019 ha fatto la scelta che ha pagato con la vita. Una scelta difficile e dolorosa. Il Signore l’ha portato a Tura, dove non c’era niente ed è andato a vivere in una casetta in affitto. Tura è una missione nuova in uno dei territori più poveri di tutto il Tanzania. Qui ha cominciato con coraggio e creatività, senza risparmiarsi. Neppure il Covid lo ha fermato. L’ha fermato invece la malaria. Ora è sepolto a Tosamaganga, nel cimitero di tanti Missionari della Consolata. Riposa in pace, Remo, e dal cielo continua a proteggere la tua gente di Tura. 6 aprile 2022 MC

Le nostre email: redazione@rivistamissioniconsolata.it / mcredazioneweb@gmail.com R R MC PADRE GIOVANNI DUTTO La mattina del 10 febbraio 2022, nel pieno della notte, padre Giovanni ha ricevuto l’ultima chiamata. Il tempo di una richiesta d’aiuto ai confratelli e di un’ultima benedizione, ed era nella casa di Colui per cui ha vissuto la sua vita e la sua passione missionaria. Padre Giovanni, classe 1930, ha formato generazioni di missionari e gente comune all’amore per la preghiera, l’Eucarestia, la Parola di Dio e la missione. Due volte missionario in Kenya (1968-1970 e 2007-2011, dieci anni a Dublino (1976-1986), quindici visitatore missionario dei seminari italiani (1986-2001), cinque come animatore a Torino e Rivoli, dal 2011 era Fossano (Cn). ACQUA IN BOCCA Dopo un lungo lavoro, ha visto la luce Acqua in bocca. Storia di fratel Peppino Argese, libro di 320 pagine di testo e 48 di foto. Il testo è di Annalisa Vandelli che si è digerita una grande mole di appunti e documenti editi e inediti, ha ascoltato testimonianze, ha visitato i luoghi, ha avuto accesso ai diari del «protagonista». Le foto sono state selezionate, tra migliaia, da padre Gigi Anataloni che ha avuto la grazia di conoscere (e fotografare, una volta in Kenya) il Silenzioso, «Mukiri», fin dai primi anni ’70. «Acqua in bocca» è un libro intenso come una vita, eloquente come una storia d’amore, appassionante come la scalata di un monte che fa scoprire un nuovo mondo, appagante come un’opera d’arte, vero come può esserlo solo una vita vissuta nella gioia e nel dolore, tra sorrisi e lacrime, tra fatica e amicizia, nella povertà che diventa donare tutto. Il libro realizza il sogno di padre Adolfo De Col, un 94enne dal cuore giovane e innamorato del suo Meru, dove ha trascorso gli anni più belli della sua vita. Se per caso qualcuno non sapesse chi è Mukiri, qui ha la possibilità di conoscerlo da vicino attraverso il suo impegno nel fare bene il bene e soprattutto nel dare acqua a migliaia di assetati andandola a cercare nelle viscere del monte Nyambene e nel cuore della foresta pluviale che lo ricopre, con il massimo rispetto dell’ambiente e l’utilizzo di tecniche non invasive. L’opera di fratel Argese è stata possibile sia grazie all’impegno nella continua ricerca e studio di tecnologie e soluzioni innovative, sia grazie all’aiuto di tanti amici per i quali i fatti sono stati più importanti delle parole, ma soprattutto grazie a una fede incrollabile nel Figlio di Dio, al servizio del quale Mukiri ha dato la sua vita. Potete richiedere il libro al nostro indirizzo spedizioni@missioniconsolataonlus.it Gradita un’offerta di € 20 tramite il nostro ccp o Pay Pal. Leggi e fai leggere Nella versione WEB CLASSICA * rivistamissioniconsolata.it * amico.rivistamissioniconsolata.it * missioniconsolataonlus.it o nello SFOGLIABILE, in pdf * sfogliabile.rivistamissioniconsolata.it Seguici sui social FACEBOOK, INSTAGRAM e canale TELEGRAM Rivista Missioni Consolata. MC, la rivista per chi ama lo slow reading. 7 aprile 2022 MC Fai conoscsere MC tra i tuoi amici, nella tua parrocchia, nel tuo gruppo. Segnalaci nuovi possibili lettori e noi invieremo copie saggio: spedizioni@missioniconsolataonlus.it

las Roerich» di Bishkek. «Il periodo di preparazione ci ha avvicinati al Signore e gli uni agli altri», hanno detto i ragazzi. «I sorrisi felici di bambini e adulti alle nostre esibizioni sono il frutto più bello del nostro lavoro». (Fides) VATICANO LEBBROSI Secondo i dati dell’ultimo Annuario statistico della Chiesa, la Chiesa cattolica gestisce nel mondo 532 lebbrosari. Questa la ripartizione per continente: in Africa 201, in America 4, in Asia 269, in Europa 19 e in Oceania 2. Oggi la lebbra si trova nella lista delle Malattie tropicali neglette (Mtn) dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) e, nonostante sia curabile, è ancora un problema di salute pubblica in vari paesi dell’Africa, dell’Asia e dell’America Latina, dove persistono condizioni socioeconomiche precarie che favoriscono la trasmissione della malattia e rendono problematica la diagnosi precoce. La Chiesa missionaria ha una lunga tradizione di assistenza verso i malati di lebbra, spesso abbandonati anche dai loro stessi familiari, ed ha sempre fornito loro, oltre alle cure mediche e all’assistenza spirituale, anche possibilità concrete di recupero e di reinserimento nella società. In molti paesi è ancora grave la discriminazione verso questi malati, per la presunta incurabilità della malattia e per le tremende mutilazioni che provoca. Anche i Missionari e le Missionarie della Consolata sono tra i vari istituti religiosi che, nella loro missione evangelizzatrice, si dedicano all’assistenza medica e al reinserimento sociale dei malati di lebbra. (Fides) to. Le opzioni dei missionari nel continente americano spaziano dall’Amazzonia, ai popoli indigeni, dagli afrodiscendenti alla pastorale urbana, dalle periferie esistenziali ai migranti, e ai rifugiati. (Imc) KIRGHIZISTAN IL VANGELO IN MUSICA I giovani cattolici del Kirghizistan sono impegnati nell’opera di diffusione del Vangelo attraverso la musica. Nel corso del camposcuola autunnale, ad alcuni ragazzi della parrocchia di San Michele Arcangelo di Bishkek è venuta l’idea di creare un gruppo musicale ed organizzare eventi come occasione di incontro con chi ancora non conosce la Chiesa cattolica. Aiutati da un parrocchiano con esperienza nell’organizzazione di eventi, il gruppo ha debuttato con un accompagnamento musicale al presepe vivente realizzato la vigilia di Natale. I preparativi sono durati circa tre mesi e hanno visto anche una collaborazione internazionale. La tastierista del gruppo, infatti, ha imparato a suonare grazie alle lezioni di pianoforte che una cattolica dell’Uzbekistan le ha dato online per tre mesi. Il gruppo musicale, dopo essersi esibito nella chiesa di San Michele Arcangelo a Bishkek, è stato invitato presso la parrocchia di Santa Chiara, nella città di Ivanovka, e presso il museo «NichoARGENTINA PERIFERIE Rispondendo all’opzione continentale per le periferie esistenziali, i Missionari della Consolata in Argentina riqualificano le loro presenze assumendo la cura pastorale di comunità cristiane disperse nelle periferie delle grandi città. Così, nel mese di agosto dell’anno scorso hanno preso servizio nella nuova parrocchia dedicata al «Cura Brochero» (San José Gabriel del Rosario Brochero) alla periferia di Buenos Aires, con l’obiettivo, tra l’altro, di ospitarvi una piccola comunità apostolica di giovani missionari in formazione che saranno inseriti e accompagnati nell’opzione missionaria in una realtà di periferia esistenziale, nel contesto della pastorale urbana. E, continuando nello sforzo di riqualificazione delle loro presenze, il 31 gennaio di quest’anno, i Missionari della Consolata hanno assunto la parrocchia di Nostra Signora di Andacollo de La Bebida, che sorge alla periferia della città di San Juan in una zona povera ed emarginata. Il lavoro pastorale è portato avanti da un’équipe internazionale di missionari dove il parroco è coreano, i due vice parroci sono uno spagnolo e uno keniano e ad essi si aggiunge un diacono argentino appena ordinaa cura di Sergio Frassetto MC R la chiesa nel mondo Argentina: il vescovo di San Juan insedia l’équipe di Missionari della Consolata nella parrocchia di N. S. di Andacollo de La Bebida. * Puerto Leguízamo (Colombia): i missionari e le missionarie della Consolata riuniti con il vescovo nell’incontro continentale sull’Amazzonia. * 8 aprile 2022 MC

THAILANDIA LA BIBBIA IN AKHA In Asia ci sono ancora 751 lingue parlate da 124 milioni di persone che non hanno a disposizione alcuna pagina della Sacra Scrittura. Un’esperienza molto significativa nel lavoro di traduzione della Bibbia è quella che sta coinvolgendo il popolo degli Akha, che vive sulle montagne del Nord della Thailandia. La lingua akha è ancora prevalentemente orale e manca di una letteratura locale. Di qui l’importanza di una traduzione della Bibbia che sia davvero frutto di un cammino comunitario. Ed è proprio quanto si sta facendo: il «cantiere» sui monti della Thailandia è partito nel settembre 2020 coinvolgendo tutte le comunità cattoliche degli Akha. Ciascuna ha scelto dei rappresentanti tra i propri catechisti che hanno dato vita a una commissione che si ritrova periodicamente e sta lavorando sotto la guida di padre Ribolini, missionario del Pime. Il primo passo è stato quello di definire un dizionario biblicoteologico che traducesse i nomi dei personaggi biblici, della toponomastica, dei neologismi e di tante parole legate alla teologia. Terminato questo lavoro con l’aiuto dei primi due sacerdoti di etnia akha, ora è prevista una consultazione di tutte le comunità akha. Infine, spetterà ai vescovi delle tre diocesi akha l’approvazione finale di questo dizionario biblicoteologico pietra di base per la traduzione completa della Bibbia. Un percorso profondamente comunitario, dunque, che rappresenta un segno tangibile della presenza, cultura e identità del popolo akha in riferimento alla fede. (AsiaNews) R MC * * Colombia: Amazzonia Condividere esperienze, ascoltare il grido della foresta e delle comunità; cercare nuove vie per una presenza più forte e consapevole della situazione da parte dei popoli che la abitano. Erano gli obiettivi dell’incontro continentale dei venti missionari e missionarie della Consolata che si sono riuniti dall’1 al 5 febbraio nella città colombiana di Puerto Leguízamo, nel dipartimento amazzonico del Putumayo, accolti dal vescovo Joaquín Humberto Pinzón, missionario della Consolata. L’incontro è servito soprattutto per uno scambio di esperienze, in chiave sinodale, dei missionari che accompagnano le popolazioni indigene di Brasile, Colombia, Ecuador, Perù e Venezuela. Al tempo stesso, è stato messo in atto l’ascolto di alcuni leader delle comunità indigene, contadine e afrodiscendenti, per costruire sulla base del dialogo i percorsi che determineranno il futuro del lavoro missionario in Amazzonia. Durante l’incontro, i missionari hanno potuto visitare la comunità indigena Murui di Puerto Refugio dove hanno conosciuto il progetto di vita che la guida, e celebrato la messa. L’incontro dei missionari ha rappresentato, inoltre, l’occasione per il lancio ufficiale di un centro studi sull’Amazzonia. A questa iniziativa è connesso il rafforzamento del Centro di documentazione indigena (Cdi) a Boa Vista (Roraima, Brasile). I due progetti si propongono di conservare la memoria delle missioni e di fornire preziose informazioni a chi si occupa di preservare la cultura indigena. Tali strumenti sono rivolti non solo ai ricercatori delle università e delle scuole, ma anche agli studenti di teologia e ai missionari che giungono per la prima volta nella regione. Ha concluso l’incontro la presentazione del libro «Dialogo: presenza evangelizzatrice e consolatrice», scritto da suor Mary Agnes Njeri Mwangi, Mc, che offre una metodologia missionaria di dialogo con il popolo yanomami nella missione Catrimani (Brasile). (Sir - Imc) 9 aprile 2022 MC PAKISTAN IL PRIMO «SERVO DI DIO» Il giovane cattolico Akash Bashir è il primo «Servo di Dio» nella storia della Chiesa del Pakistan. Dopo l’annuncio ufficiale della Chiesa cattolica del Pakistan una grande gioia si è diffusa nelle comunità cristiane. Il giovane laico ha offerto la sua vita in sacrificio per salvare la vita di centinaia di cristiani presenti all’interno della Chiesa cattolica di San Giovanni nel quartiere di Youhanabad, a Lahore, il 15 marzo 2015, bloccando un terrorista kamikaze e morendo con lui. Akash Bashir, nato il 22 giugno 1994 a Risalpur, nella provincia pachistana di Nowshera Khyber Pakhtun Khwa, era uno studente del Don Bosco technical institute di Lahore ed era tra i giovani attivi nella comunità parrocchiale della Chiesa di San Giovanni. Akash era in servizio al cancello d’ingresso della chiesa il 15 marzo 2015, quando ha notato un uomo che voleva entrare con una cintura esplosiva sul corpo. Akash ha abbracciato l’uomo, bloccandolo e tenendolo fermo al cancello d’ingresso, facendo sì che il piano del terrorista, di fare strage all’interno della chiesa, fallisse. L’attentatore si è allora fatto esplodere e il giovane Akash Bashir è morto con lui. Le ultime parole di Akash sono state: «Morirò ma non lascerò che tu entri». (Fides)

La guerra contro il terrorismo nel Nord non è finita LA JIHAD DEI POVERI MOZAMBICO MC A stata ancora neutralizzata. Neanche per effetto dell’intervento delle forze armate straniere, in particolare quelle ruandesi. LA GENESI DELLA CRISI La crisi a Cabo Delgado scoppia nell’ottobre del 2017. È in quel periodo che la provincia più povera e periferica del Mozambico inizia a conoscere i primi attacchi da parte di gruppi di islamisti radicali. Si tratta di azioni limitate, messe in atto da miliziani armati con machete e coltelli da caccia, che si spostano con mezzi di forLa guerra continua. Sottotraccia, ma continua. Cabo Delgado, in Mozambico, molto probabilmente, non avrà pace neppure nei prossimi mesi. Quel senso di frustrazione e di marginalizzazione che hanno portato i giovani locali a sollevarsi contro il governo centrale di Maputo, spinti anche dalla predicazione di imam radicali, ha creato una miscela esplosiva che non è La frustrazione per i proventi del petrolio mai arrivati, l’infiltrazione di imam radicali stranieri, l’afflusso di armi. Tutti ingredienti che hanno sviluppato una presenza islamista. Mentre il governo centrale, che aveva sottovalutato il problema, chiede aiuto. testo di ENRICO CASALE foto di LUCA S. PISTONE 10 aprile 2022 MC

lati verso Sud e hanno arricchito le élite di Maputo invece di trasformarsi in stanziamenti per costruire infrastrutture e creare occupazione e ricchezza nel Nord. «La miseria è stata la vera spinta di questo movimento - continua Emilia Columbo -. Il detonatore che ha fatto esplodere la bomba è stato l’integralismo islamico predicato da imam venuti da fuori o da mozambicani che sono rientrati in patria dopo essersi radicalizzati all’estero. Nello Shabab, così si chiama il movimento (da non confondere con al Sahabab della Somalia, ndr), ai locali si sono aggiunti altri giovani provenienti dall’estero: tanzaniani, burundesi, ugandesi, ecc.». SALTO DI QUALITÀ Gli attacchi, nel corso degli anni, sono diventati sempre più frequenti e sempre più efferati. Vere e proprie stragi nei villaggi che hanno portato a migliaia di morti (nessuno sa quante siano le vittime). Per mettersi al sicuro, la gente a iniziato a fuggire. Dei circa 1,5 milioni di abitanti di Cabo Delgado, 800mila hanno cercato rifugio nelle province vicine: Nampula, Niassa e Zambezia, o addirittura in Tanzania. In molte città delle province confinanti è scattata una gara di solidarietà nei confronti degli sfollati. Molte famiglie hanno ospitato nelle proprie case i rifugiati, offrendo loro aiuto materiale e sostegno umano. Chi è fuggito, secondo le testimonianze dei militari, non solo ha perso tutto, ma è spaventato. La Chiesa cattolica si è mobilitata in molte zone per portare aiuti: vestiti, cibo, acqua, medicinali. Padre Fonseca Kwiriwi, religioso passionista, responsabile della comunicazione della diocesi di Pemba, capoluogo della regione, spiega, all’agenzia Fides, l’azione solidale dei cristiani: «La Chiesa è sempre stata presente, fin dall’inizio della guerra, fornendo aiuti di ogni genere per contenere la crisi umanitaria. Abbiamo provveduto a cibo, sostenuto costruzioni di case e abbiamo istituito un centro di ascolto psicosociale permanente. In ogni caso, noi siamo in mezzo alla gente e collaboriamo con varie organizzazioni internazionali umanitarie per il tuna (motorini, vecchie auto, pulmini scassati). Prendono di mira villaggi isolati e sterminano la popolazione senza mostrare alcuna pietà. Professano un islam radicale e l’adesione allo Stato islamico, anche se non è mai stato confermato un rapporto organico che andasse al di là di una formale adesione da parte dell’Isis alle rivendicazioni dei miliziani mozambicani. In questi ultimi, però, c’è anche una volontà di rivalsa di carattere etnico. La maggior parte sono Kimwani e Amakhuwa e la loro lotta è indirizzata contro la minoranza Makonde (economicamente) dominante e filo governativa. I MOTIVI Ma perché si ribellano? Che cosa li spinge a rivoltarsi contro le autorità centrali? L’esplosione delle violenze, secondo alcuni analisti internazionali, è legata soprattutto alla scoperta di grandi giacimenti offshore di gas fatta da società di idrocarburi occidentali, ad Afungi, all’estremo Nord della costa mozambicana, vicino alla città e al porto di Palma. «Gli investimenti nei giacimenti offshore del Nord del Mozambico - spiega Emilia Columbo, ricercatrice del Center for strategic & international studies (Csis), think tank di Washington (Usa), esperta delle dinamiche politiche dell’Africa australe - hanno creato enormi aspettative nelle popolazioni locali. Esse speravano che, finalmente, la loro vita misera potesse cambiare, ma non è stato così». Gran parte dei proventi dell’industria petrolifera e mineraria sono vo- Qui: Cabo Delgado, uno sfollato si costruisce un riparo di fortuna usando tecniche tradizionali. A sinistra: sfollati a Nampula. Mamme con bambini si presentano alla visita medica di rito. * * 11 aprile 2022 MC Jihadismo | Petrolio | Stato islamico | Profughi " «La miseria è stata la vera spinta di questo movimento». A MC

sostentamento della popolazione e il raggiungimento della pace». La tragica situazione è messa in risalto da una nota dei leader religiosi della provincia di Cabo Delgado, nel Mozambico settentrionale, resa nota il 5 gennaio scorso. «La nostra provincia attraversa una profonda crisi umanitaria causata dalla violenza terroristica, mentre si assiste alla regressione degli indicatori di sviluppo integrale, e aggravata anche dalle conseguenze delle misure restrittive di prevenzione contro la pandemia», hanno dichiarato. LA REAZIONE MILITARE I miliziani islamisti, in origine male organizzati e male armati, sono riusciti progressivamente ad acquisire mezzi e armi moderne. Le azioni sono diventate sempre più ardite. Come quando sono riusciti a occupare Pemba e Mocimboa da Praia cacciando le forze armate e la polizia. Il loro integralismo inizia anche a fare presa su una società che ha sempre professato un islam sufi, dialogante, aperto al confronto con altre fedi e altre culture. «Shabab ha iniziato a indottrinare anche donne e perfino minori - continua Emilia Columbo - che hanno creato una rete di informatori diventata una sorta di struttura di intelligence per i ribelli. Lo Stato islamico ha approvato l’affiliazione della formazione. Non ci sono però evidenze che, oltre agli appelli propagandistici, abbia fornito un aiuto materiale ai miliziani». Maputo ha inizialmente sottovalutato questo fenomeno, derubricandolo come criminalità comune. Ha inviato, quindi, giovani di leva delle province meridionali. Ragazzi poco addestrati che si sono trovati in un ambiente a loro estraneo culturalmente e linguisticamente e, soprattutto, a loro ostile. I miliziani di Shabab hanno avuto gioco facile con loro e i reparti dell’esercito di Maputo sono stati sopraffatti. «Il governo - continua l’analista -, considerava questo movimento trascurabile. Operava in un luogo remoto, lontano dalla capitale e riguardava piccole città e popolazioni poverissime. Ma si sbagliava». La forza sempre maggiore dei miliziani lo ha con- * MOZAMBICO Qui: Nampula. Giovane donna sfollata alla registrazione nel campo profughi. A destra: Nampula, campo di sfollati. Pesa dei bambini per determinare lo stato di nutrizione. In basso: due giovani sfollate a Nampula. | Donne in un campo di sfollati a Cabo Delgado. * * * 12 aprile 2022 MC " «Shabab ha iniziato a indottrinare le donne e i minori, che sono diventati informatori».

ARRIVANO I RUANDESI La svolta si è registrata con l’arrivo di un contingente ruandese. Bene addestrati, abituati da anni a far fronte a varie guerriglie (soprattutto ai confini con la Rd Congo), i soldati di Kigali sono riusciti a contenere le azioni dei miliziani jihadisti. «Le cose sono vinto a inviare rinforzi militari al Nord. L’intervento dei mercenari russi (Gruppo Wagner) e sudafricani a fianco delle truppe mozambicane non è però servito a molto. Hanno fornito supporto aereo con gli elicotteri senza però offrire un contributo effettivo sul territorio. cambiate con l’arrivo di militari ruandesi - conferma Emilia Columbo -. Hanno fornito un supporto nella formazione dei mozambicani e hanno combattuto sul terreno. Insieme alle truppe della Sadc, l’organizzazione degli Stati dell’Africa australe, sono riusciti a cacciare i ribelli dalla costa e dalle principali città. I miliziani jihadisti si sono dispersi, ma non sono stati sconfitti». Le multinazionali petrolifere sono tornate nella provincia settentrionale dopo la sospensione delle attività. Secondo quanto riporta l’agenzia Ansa, TotalEnergies ha anche aperto un ufficio informazioni che ha lo scopo di facilitare la comunicazione tra le diverse compagnie interessate al progetto di esplorazione del gas naturale liquefatto (Gnl) nel bacino di Rovuma. LA GUERRA CONTINUA La guerra però prosegue. È un conflitto a bassa intensità, meno diffuso sul territorio, ma comunque cruento. Il comando militare ruandese ha confermato che i ribelli caduti non sono stati più di un centinaio, e pochi sono stati A MC 13 aprile 2022 MC

Qui: Cabo Delgado. Profughi accampati in un palazzetto dello sport. Sotto: Cabo Delgado. Distribuzione di cibo a bimbi sfollati. * * anche quelli catturati. Ciò significa che gli insorti sono ancora in gran parte operativi, nascosti in alcune aree protette dalla boscaglia all’interno di Cabo Delgado. «In generale la situazione a Cabo Delgado e nelle aree liberate si mostra tranquilla - conclude padre Fonseca Kwiriwi -. Purtroppo, però, gli attacchi non sono finiti, continuano in particolare nei villaggi più piccoli, nelle aree con poca popolazione. I villaggi più piccoli sono vittime di ripetuti agguati e la gente vive ancora nel terrore. Ho visitato di recente alcune delle aree occupate dai terroristi, come Mocimboa da Praia e alcune aree nella zona di Mbaú. Si tratta di zone che erano sotto il totale controllo dei terroristi. Questi due territori in particolare sono ancora considerati di difficile accesso e solo i militari possono entrarci. Lì è ancora impossibile tornare a vivere». Enrico Casale * MOZAMBICO 14 aprile 2022 MC " «Gli attacchi non sono finiti, continuano nei villaggi più piccoli». Archivio MC • Mozambico. Jihad in Africa: nuovo fronte, Enrico Casale, agosto-settembre 2020.

03. OLTRE FRONTIERA Uyamaa (che significa famiglia allargata in kiswahili, uyamaa.org, ndr), sono presenti nella Piattaforma di solidarietà con gli immigrati, una rete che si occupa Da poco più di un anno laConsolata ha portato i suoi missionari inMarocco. In una città snodo fondamentale della rottamigratoria. È iniziata una missione complessa, che ha caratteristiche e potenzialità tali da attivare tanti ambiti missionari. di MARCO BELLO 15 aprile 2022 MC da oltre 20 anni dei migranti nella provincia di Malaga». In quegli anni, i barconi, chiamati «pateras», con il loro carico di vite umane e di sogni, partiti «L’idea nasce dal lavoro che i laici della Consolata (Lmc) di Malaga portano avanti da anni con i migranti», ci racconta Silvio Testa, laico italiano, da una vita trapiantato nella città costiera a Sud della Spagna. Silvio, pur essendo originario di Torino, ha una forte pronuncia spagnola, che rende la sua parlata ancora più calorosa. «Dal 2005 i Lmc, attraverso la loro associazione Qui: padre Edwin Osaleh, con due ragazzi ospiti, nel cortile della chiesa di Saint Louis, a Oujda. * missione reu/marocco MC R VIVERE IL SOGNO MISSIONARIO OGGI IN EUROPA © AfMC Edwin Osaleh

16 aprile 2022 MC dalle coste africane, arrivavano nei pressi della città e nel suo porto. «Il nostro sguardo - ricorda Silvio - è quindi andato fino all’altro lato del Mediterraneo. Quegli arrivi ci interpellavano: “Cosa possiamo fare?”. Insieme a padre Luis Jiménez Fernández, all’epoca superiore Imc in Spagna, è maturata l’idea di avviare un qualche intervento a Melilla, città di fronte a Malaga, ma sul continente africano». Melilla, insieme a Ceuta, costituisce una piccola porzione di territorio spagnolo in Africa, fa parte della diocesi di Malaga. Entrambi i territori sono frontiere molto calde tra Africa e Unione euroTangeri». La comunità di missionari della Consolata di Malaga ha seguito da vicino questi sviluppi coinvolgendo la regione Spagna dell’Istituto. Intanto l’Imc stava preparando la ristrutturazione che avrebbe portato alla creazione della Regione Europa (Reu), nella quale il tema dei migranti e rifugiati sarebbe diventato a tutti gli effetti la nuova frontiera missionaria. LE VISITE Tra il 2018 e il 2019 un’équipe mista Imc-Lmc, della quale faceva parte anche Silvio, ha compiuto tre viaggi in Marocco, due nella diocesi di Tangeri e uno pea, che spagnoli e marocchini presidiano, e dove sono presenti alte recinzioni, «muri» tra Sud e Nord. «Volevamo prestare attenzione a quello che stava succedendo da una parte e dall’altra delle frontiera», continua Silvio. In questa dinamica, nel 2014, Uyamaa ha proposto alla Piattaforma di creare l’Osservatorio frontiera Sud (Osf), un’iniziativa orientata a seguire la situazione dei migranti in transito tra Marocco e Spagna. «Questo impegno ha portato noi Lmc a incontrare altri attori coinvolti nell’appoggio ai migranti sia a Ceuta e Melilla che nelle città del Nord del Marocco, nella diocesi di missione reu Oujda è la città più orientale del Marocco, la porta dell’Algeria. È pure la porta di entrata in Marocco per migliaia di persone migranti, provenienti da diversi paesi africani, ma tutti con una destinazione comune: l’Europa. La chiesa di Oujda è la più antica di quelle attualmente presenti nella diocesi di Rabat: fu costruita nei primi anni del protettorato francese (durato dal 1912 al 1956). In quell’epoca, la comunità cristiana era composta da europei che si stabilivano in Marocco per le opportunità di lavoro che c’erano. Oggi la piccola comunità cristiana è fatta di studenti universitari subsahariani e di alcune persone di passaggio durante l’avventura migratoria. Fin dall’inizio di questo fenomeno, la parrocchia si è aperta all’accoglienza di queste persone che arrivano a Oujda sfinite, ferite, in situazione di vulnerabilità, dopo aver attraversato il deserto e la frontiera algerina, in mezzo a difficoltà e pericoli. QUATTRO VERBI, QUATTRO AZIONI La parrocchia di Oujda cerca di mettere in pratica le quattro azioni che papa Francesco propone in relazione a questi fratelli: accogliere, proteggere, promuovere e inserire. Accogliere e proteggere. Tutte le persone che arrivano sono accolte e ascoltate. Se hanno fame, possono mangiare. Se sono stanche possono riposare. Se sono malate, le si cura. Se sono prese nella rete mafiosa, si fa il possibile per liberarle. Questo porta, ogni anno, ad accogliere diverse migliaia di persone nei locali della parrocchia, che sono arrivati a ospitare fino a 150 persone contemporaneamente. La permanenza va da alcune ore a diversi mesi, fino a un anno. Promuovere e inserire. Per i giovani che scoprono la necessità di formarsi prima di fare il salto verso l’Europa oppure di tornare al proprio paese, esiste la possibilità di fare corsi brevi di formazione professionale. Però la cosa più importante è che a tutti si offre un ambiente di serenità e sicurezza, e un accompagnamento personale che li porta a recuperare la propria dignità, il proprio equilibrio emotivo, e li aiuta a ripensare un progetto di vita, permettendo loro di andare avanti più coscienti e con un più alto grado di libertà. Possiamo dire che queste persone passano a Oujda attraverso un processo di recupero della dignità. L’inserimento è difficile, perché son pochi che scelgono di fermarsi in Marocco. Però la formazione ricevuta li aiuterà a inserirsi in Europa oppure a reinserirsi nel proprio paese di origine, se decidono di tornare (e sono molti che scelgono questa opzione). UNA MISSIONE ECCLESIALE IMPORTANTE Quello che la comunità cristiana di Oujda fa in favore delle persone in migrazione è il miglior servizio che la chiesa sta prestando loro in tutta la diocesi. Esso consiste innanzitutto nell’offrire un ambiente famigliare, La voce del cardinale Missione speciale Monsignor Cristóbal López Romero, arcivescovo di Rabat (una delle due diocesi del Marocco con Tangeri), è stato nominato cardinale il 5 ottobre 2019 da papa Francesco. Salesiano, spagnolo della regione di Almería, è di una simpatia straripante. Ha scritto questo testo per MC per presentare la missione di Oujda, alla quale tiene molto.

r MC Missione Europa | Frontiera | Migranti | Accoglienza | Testimoni torità marocchine. «Così ci siamo andati, e quando ho visto la parrocchia e il lavoro, mi sono detto: secondo me è questo il posto giusto. Da quando è stata presa la decisione, le cose sono andate molto in fretta». Silvio era con padre Edwin Osaleh Duyani e padre José Luis Pereyra Quintián, superiore della Spagna. A Oujda operava un sacerdote diocesano francese, che però doveva rientrare al suo paese. «Abbiamo visto il lavoro che si stava facendo, la frontiera chiusa ufficialmente per problemi diplomatici tra i due paesi, ma attraversata clandestinamente da migranti subsahariani, mentre altri, arrestati in altre zone del paese, venivano portati lì per essere espulsi in Algeria (anche se formalmente non sarebbe lecito)». La scelta per l’arrivo dell’Imc in Marocco è caduta su padre Edwin, che avrebbe dovuto fare alcuni viaggi con permanenze limitate nel 2020, senza però riuscirci a causa della pandemia. IL PIONIERE «Sono arrivato a Oujda nel novembre del 2020 e ho iniziato a lavorare con il sacerdote francese che mi ha affiancato per diversi mesi», ricorda Edwin, che abbiamo raggiunto telefonicamente a Oujda. 17 aprile 2022 MC nella diocesi di Rabat. Durante quei viaggi, l’équipe ha contattato diverse istituzioni ed enti coinvolti nel lavoro con i migranti. «Durante il terzo viaggio (aprile 2019, ndr), il cardinale Cristóbal López, arcivescovo di Rabat, ci ha proposto di assumere la parrocchia di Oujda, vicino al confine con l’Algeria. Le condizioni erano buone, e sembrava la missione giusta». Silvio ricorda che, nei due viaggi precedenti, molti degli enti contattati, avevano citato Oujda come punto nevralgico di passaggio del flusso di migranti in arrivo dal Sahara, ma anche di quelli espulsi dalle aunel quale le persone si sentano accolte, valorizzate e amate, come requisito per potere aumentare la propria autostima e recuperare la dignità. È un servizio ecumenico perché lo facciamo in comunione di azione con i cristiani protestanti presenti nella Chiesa evangelica del Marocco. È un servizio inter congregazionale, perché integra i Missionari della Consolata, e due congregazion di religiose, le suore del Sagrado Corazon e quelle di JesusMaria. È un servizio interreligioso, perché in esso si coniuga il lavoro di cristiani e musulmani, e si indirizza a qualsiasi persona in necessità, indipendentemente dalla sua religione. E i musulmani sono la maggioranza. È un servizio integrale perché accompagna la persona, specialmente i giovani e minori non accompagnati, in tutti i suoi bisogni e finché non diventa autonoma e in grado di proseguire da sola. Ho affidato la responsabilità della direzione del centro di accoglienza e della parrocchia di Oujda ai Missionari della Consolata, per dare una continuità istituzionale, ma soprattutto perché il carisma della Consolazione è di pertinenza e necessità estrema per le persone in migrazione. Inoltre, una comunità ha le caratteristiche giuste per creare il clima di famiglia. SEGNI E TESTIMONI Essere vescovo, essere cristiano in Marocco, presuppone e implica convertirsi in segno e testimone dell’amore che Dio ha per l’umanità. Quello che facciamo ha un valore relativo, l’importante è quello che siamo e che viviamo, la testimonianza che diamo. San Giovanni Paolo II, in una brevissima visita a Casablanca, disse: «Le opere che fate qui, continueranno o non continueranno, però quello che certamente rimarrà è l’amore con il quale fate ciò che fate». L’amore non passa mai, in verità, ed è la vocazione comune di tutti i cristiani, ovunque sia e qualunque cosa facciano. La nostra sfida principale in questo ambiente nel quale viviamo, di maggioranza assoluta musulmana, è essere segno e testimoni della tenerezza e della misericordia di Dio; essere parola vivente e convertirci nel quinto Vangelo, l’unico che i musulmani potranno leggere: essere apostoli della bontà, affinché, come diceva (il beato, presto santo, ndr) Charles de Foucauld, chi ci conosce possa pensare o dire: «Se il discepolo è così, come sarà il maestro». cardinale Cristóbal López Romero arcivescovo di Rabat (liberamente tradotto dallo spagnolo) Nota Il cristianesimo (cattolici e protestanti) in Marocco è una minoranza, valutato in circa 1% della popolazione, meno di 40mila. I fedeli sono per lo più stranieri. Qui: ritratto del cardinale, arcivescovo di Rabat, che ha firmato questo contributo. * © Carla Fibla / Mundo Negro

«Da due anni ero in missione a Malaga, e pensavo di starci di più. Non credevo di venire qui subito, come pioniere. Ma alla fine ho capito, perché il lavoro è molto importante». «Molti migranti vengono qui a chiedere aiuto dopo un viaggio sofferto nel deserto. Ho trovato una realtà nella quale si vive come in famiglia, si cerca di fare le cose insieme, affinché si ritrovi, almeno in minima parte, quell’atmosfera persa durante il viaggio. Questo approccio mi è subito piaciuto». Edwin non nasconde le difficoltà iniziali, come le due lingue da imparare, francese e arabo (lui è keniano), o lo stupore iniziale dei migranti, nel vedere un prete africano occuparsi di loro, migranti africani: «Abituati a un europeo, all’inizio erano diffidenti, e non volevano che il sacerdote francese andasse via. Ma poco a poco si sono abituati». Edwin è stato poi affiancato da padre Francesco Giuliani e, alla fine di febbraio 2022, è arrivato finalmente anche il congolese padre Patrick Mandondo. Il lavoro è molto, la struttura di accoglienza è aperta 24 ore su 24: «25 su 24», dice Edwin. Di solito è lui che apre la porta di notte. I locali della parrocchia sono grandi e sono aperti a chi ha bisogno di un riparo, un posto per lavarsi, dormire, mangiare, ma anche ricostruirsi mentalmente. «Stiamo accogliendo mediamente 50-60 persone, ma sovente sono di più. Nel 2021 sono stati 2311. Alcuni si fermano pochi giorni, altri settimane oppure anche mesi». LA SALUTE, PRIMA DI TUTTO Uno dei problemi maggiori sono le condizioni di salute nelle quali arrivano i migranti. Ci racconta Silvio: «Tutti i giorni, a tutte le ore, arriva gente con i piedi sfracellati, le ossa rotte, la testa aperta. Devi essere lì ad accogliere queste persone e dare loro delle cure. Una missione così, è difficile trovare gente che la voglia assumere. È un lavoro massacrante. Il fattore umano è fondamentale. Inoltre l’impegno è molto esigente perché devi avere tante relazioni: con la sanità pubblica, la polizia, le autorità. Fai da mediatore. Non è un classico lavoro da prete». Ma Edwin è contento e ci spiega come è composta l’équipe di lavoro. «Il progetto va avanti anche grazie alla chiesa protestante evangelica. Siamo due coordinatori, io e un evangelico. C’è un’ottima collaborazione ecumenica. Prestiamo anche i locali della chiesa a questi fratelli 18 aprile 2022 MC missione reu Sopra: la fase di accoglienza e raccolta dati dei migranti. Sotto: un migrante accolto nel centro, e medicato alle mani. A destra: padre Francesco, padre Edwin con il più giovane degli ospiti in questo momento. * * * © AfMC Edwin Osaleh © AfMC Edwin Osaleh

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