Missioni Consolata - Marzo 2022

* HAITI 14 MC © Reginald Louissant Jr./ AFP Ho conosciuto Jean-Yves Urfié nel 1995, a Portau-Prince. Mi avevano parlato di lui, fondatore e direttore dell’unico settimanale in lingua creola (la lingua ufficiale) del paese, Libète. Sacerdote della congregazione dello Spirito Santo, da sempre si occupava di comunicazioni sociali. Mi aveva accordato un’intervista. In seguito ho avuto la fortuna di lavorare con lui al suo giornale. Arrivato nel 1964 ad Haiti, ne era poi stato espulso da François Duvalier nel 1969. Aveva continuato a lavorare con la diaspora haitiana, prima a Brooklyn, New York, e poi in Guyana francese. Per poi tornare nel paese dei Caraibi a cui avrebbe dedicato la vita. Nel gennaio dell’anno scorso, gli ho fatto l’ultima intervista sulla situazione del paese. Questa volta per telefono, perché da qualche anno viveva in Francia. Neanche tre settimane dopo, il 9 febbraio 2021, il Covid se l’è portato via all’età di 83 anni. Jean-Yves stava ultimando il suo libro di memorie, una vita che racconta anche la storia di Haiti di oltre mezzo secolo. Riascoltando l’intervista, trovo una grande lucidità e visione. Ne riporto qui alcuni stralci che aiutano a comprendere l’attuale situazione haitiana. La presidenza di Jovenel Moise non rischia di trasformarsi in una dittatura? «È già una dittatura perché il presidente governa per decreto. […] L’opposizione ha cominciato a manifestare contro questo. [...] È soprattutto l’opposizione politica, ma incominciano ad aggiungersi dei movimenti nella società civile perché si rendono conto che alcuni decreti del presidente, sono contro la libertà. Ad esempio ha creato un’agenzia di servizi segreti i cui membri possono essere armati, e andare dalle persone senza mandato e rendono conto solo al presidente. Una modalità che assomiglia molto ai Macoute del passato. Anche i diplomatici stranieri hanno detto a Moise che è un decreto pericoloso. I diplomatici stranieri sono, però, molto ipocriti, perché informalmente criticano un decreto, ma non fanno nulla affinché non sia pubblicato. O meglio, quando vogliono intervenire, lo fanno. Quando non vogliono, dicono che rispettano l’indipendenza del paese. Soprattutto gli Stati Uniti e il cosiddetto Core group». Ma cosa sta succedendo al movimento popolare? «Il movimento popolare era più forte nel 2019: avevano bloccato il paese per diverse settimane (si riferisce al payi lok per protestare contro lo scandalo PetroCaribe, vedi box pag. 13, ndr). Ma il problema è che, nell’opposizione stessa, ci sono persone molto simili a Moise, quindi il popolo non ha fiducia in tutti i suoi leader. Inoltre, non riescono a mettersi d’accordo. Per essere efficace, occorre che il movimento sia generale, ma oggi i vari gruppi lottano gli uni contro gli altri. Ci sono quelli che sono più radicali e altri meno, quelli Testimoni/ L’ultima intervista a padre Jean-Yves Urfié «Bisogna che lascino in pace Haiti» «Finché [il governo di] Haiti è agli ordini di Washington, la situazione non può migliorare. È un sistema di sfruttamento allo stato puro».

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