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Ai lettori MC R EDITORIALE MC di Gigi Anataloni, direttore MC Per costruire la pace: educazione, lavoro e dialogo Papa Francesco, nel messaggio per il 1° gennaio, giornata mondiale della pace, indica tre ambiti necessari per costruire una pace duratura: educazione, lavoro e dialogo. Tre spazi d’azione non scelti a caso, ma che richiamano alcuni degli obiettivi di sviluppo sostenibile che le Nazioni Unite si sono proposte di raggiungere entro il 2030, e per i quali nel 2000 hanno anche lanciato il Global Compact per le aziende con dieci obiettivi nel campo dei diritti umani, del lavoro, dell’ambiente e della lotta alla corruzione. Questi tre ambiti, definiti ovviamente con una terminologia diversa, sono parte integrante del metodo missionario dell’Allamano. Egli ha voluto infatti che i suoi missionari, fin dall’inizio, fossero in dialogo profondo con la gente, imparandone la lingua, conoscendone i costumi, entrando nel cuore della cultura. Allo stesso tempo, da subito ha promosso l’educazione, stimolato anche dal capo kikuyu Karoli, che a Tuthu, in Kenya, nel 1902, volle i missionari soprattutto per iniziare una scuola. E poi, il nostro fondatore, vedeva nel lavoro uno strumento per «elevare l’ambiente», migliorare la vita, vincere la povertà, rendere le persone soggetti della propria storia. Di questi tre ambiti, quello che oggi mi tocca di più è il lavoro: guardo, infatti, alla situazione che stiamo vivendo e provo sgomento di fronte alla sua assurdità. Una multinazionale licenzia dipendenti tramite una videoconferenza in Zoom. Un’altra licenzia via mail. Non si contano poi quelle che spostano le loro fabbriche da un paese all’altro per pagare salari da fame ed essere libere da vincoli sindacali, ambientali, fiscali... A Cabo Delgado, in Mozambico, le multinazionali dell’energia e dei minerali preziosi, sostenute da politici corrotti, cacciano pescatori e cercatori di rubini locali per costruire la loro mega «città estrattiva», riducendo la popolazione locale alla fame e disperazione (e fomentando una guerra civile). Lo stesso avviene in Congo, dove, invece di pagare il giusto e le relative tasse, le multinazionali preferiscono finanziare bande armate che garantiscano coltan, legname e quanto altro a prezzi stracciati, lasciando la gente locale nella fame, nell’insicurezza e nell’asservimento più totale che non risparmia i bambini. Da noi, i giovani faticano a trovare un lavoro stabile, e quello che trovano è sottopagato e frustrante. Allo stesso tempo nascono (e muoiono) pseudo cooperative - che di per sé dovrebbero curare anzitutto il benessere dei propri soci - all’unico scopo di manipolare manodopera a salari da fame, e magari coprire quello che in realtà è caporalato bello e buono. Altro che «eliminare tutte le forme di lavoro forzato e obbligatorio» o «assicurarsi di non essere, seppure indirettamente, complici negli abusi dei diritti umani», come dichiarano due degli obiettivi del Global Compact. Aggiungi poi i dati offerti dal World inequality report 2022, pubblicati il 7 dicembre, con i quali si documenta che la diseguaglianza tra ricchi e poveri è aumentata ancora: il 50% della popolazione mondiale (i poveri) possiede il 2% della ricchezza totale; il 40% (la classe media) il 22%; il 10% (i ricchi) il 76% di tutto, con il 38% concentrato nelle mani dell’1% (i super ricchi). Questo è reso possibile e accelerato, tra l’altro, dalla pandemia del Covid-19, ma pure da «una concorrenza all’ultimo sangue tra le multinazionali, giocata anche attraverso il trasferimento della produzione in quei paesi dove la miseria è così acuta da indurre la gente a lavorare per salari miseri e senza alcuna tutela» (Francesco Gesualdi, Avvenire 8/12/2021). Qualcuno dirà che questi non sono fatti che riguardano una rivista missionaria. Tutt’altro. I nostri confratelli sono inseriti nelle zone più calde del mondo, interpellati quotidianamente dalla sofferenza della gente con cui condividono vita, sogni, dolori e speranze. Dall’Etiopia al Congo, dalle foreste dell’Amazzonia alle immense pianure della Mongolia, dalle periferie urbane di quattro continenti (Europa compresa) ai campi minati dell’Angola. Lì sono e lì rimangono, radicati in Colui che sulla croce, donando la sua vita, ha reso possibile un mondo nuovo che mette al centro l’uomo nella sua integralità. Guardando Lui, in questo nuovo anno, diventiamo insieme inguaribili costruttori di pace. 3 gennaio-febbraio 2022 MC
* * * * * 08 CHIESA NEL MONDO a cura di Sergio Frassetto 32 CAMMINO DI LIBERTÀ 11. Alleanza (Es 19) di Angelo Fracchia 63 NOSTRAMADRETERRA Gli incendi bruciano anche il nostro futuro di Rosanna Novara Topino 67 MISSIONE REU 02. Cuore e frontiere di Ugo Pozzoli 72 COOPERANDO Dal partenariato alla fratellanza di Chiara Giovetti 81 LIBRARSI Un cantautore, un Rom e due donne di Sante Altizio In copertina: un sorriso da Phnom Phen (Cambogia) per il nuovo anno (foto: Dan Romeo). https://www.rivistamissioniconsolata.it Gli ar icoli pubblica i sono responsabili à degli au ori e non ri le ono necessariamen e l’opinione dell’edi ore. - I da i personali forni i dagli abbona i sono usa i solo per le finali à della rivis a. Il responsabile del loro ra amen o è l’amminis ra ore, cui gli in eressa i possono rivolgersi per richiederne la verifica o la cancellazione (D. LGS. 196/2003). 1-2 | Gennaio-Febbraio 2022 | anno 124 Il numero è stato chiuso in redazione il 13 dicembre 2021 e consegnato alle poste di Torino dopo il 6 gennaio 2022 03 AI LETTORI Per costruire la pace: educazione, lavoro e dialogo di Gigi Anataloni 05 NOI E VOI Lettori e Missionari in dialogo L’EMERGENZA CLIMATICA DOPO LA COP26 NERO INTENSO, VERDE PALLIDO di Paolo Moiola, Chiara Giovetti, Francesco Gesualdi A cura di Paolo Moiola MC A ssier 4 gennaio-febbraio 2022 MC MC R 10 HAITI /1 Una vita in lockdown di Marco Bello 17 ITALIA La fotografa dei sogni di Valentina Tamborra 22 GUINEA Le tante febbri di Conakry di Gianluca Uda 27 CONGO RD Perché abbiano la vita di Luca Lorusso 51 KIRGHIZISTAN Dove le montagne toccano il cielo di Ivana Cavallo 56 MOZAMBICO Il «minatore» umile e appassionato di Simona Brambilla 75 ALLAMANO Correva l’anno del Signore 1922 inserto a cura di S. Frassetto MC I SOMMARIO 35 * 22 56
A cura del Direttore MC R Noi e voi LETTORI E MISSIONARI IN DIALOGO scontato, che non sia possibile l’uscita di 600mila persone dall’Egitto e che in luogo del Mar Rosso sia stato attraversato un qualche acquitrino poco profondo (mare delle canne). Non avevo mai sentito queste affermazioni, sicuramente scientifiche, che però a mio modesto parere (portano) una profonda e necessaria revisione dei contenuti delle Sacre Scritture su questi punti (cosa che certamente avverrà). Grato per un chiarimento al riguardo, porgo anticipatamente sentiti auguri. Elio Gatti Trinità, 18/11/2021 Caro sig. Elio, grazie anzitutto di camminare con noi. Ho passato la sua email al nostro biblista, per una risposta più professionale. Da parte mia, avendo vissuto alcuni anni insieme a popoli pastori e nomadi (nel Nord del Kenya, vedi foto qui sotto), le devo dire che non mi stupisco del dubbio circa il numero delle persone uscite dall’Egitto. Fossero state davvero 600mila, più il bestiame, sarebbero certamente morte tutte per mancanza di pascoli, di acqua e di cibo. Tenga conto che in condizioni simili per estensione e tipoLETTORI CHE VANNO Gentilissima redazione di MC, da anni ricevo la vostra preziosa rivista. Ora col passare degli anni essendo in età avanzata la vista non mi permette più di leggere. Vi chiederei di sospendere l’invio della stessa per evitare un inutile spreco. Ringrazio per la compagnia che mi avete fatto in tutti questi anni tenendomi aggiornata su quanto accadeva nel mondo con i vostri articoli e dossier approfonditi e puntuali. Grazie al direttore, padre Gigi Anataloni, uomo di grande umanità per i suoi interessanti editoriali. Vi auguro buon lavoro e vi ricordo nella preghiera. Rosina P. 19/11/2021 Buongiorno, sono Mariateresa, figlia di L. Paola. Mia mamma era abbonata alla vostra rivista e periodicamente, grazie al bollettino all’interno faceva delle donazioni. Purtroppo mia mamma è venuta a mancare e io vorrei poter continuare a fare i bollettini come faceva lei, però vi chiedo se è possibile cambiare il nominativo e poter continuare quello che faceva lei. Vi ringrazio sin da ora per la Vostra disponibilità. Cordiali saluti Mariateresa M. 25/10/2021 Grazie per queste due lettere e per le altre simili che riceviamo di tanto in tanto da lettori anziani, o dai loro figli e anche da vicini. Siamo riconoscenti e sempre in debito con voi lettori per il vostro affetto, fedeltà e sostegno, perché condividete con noi la passione per la Missione. Pubblichiamo queste due con gratitudine, perché compensano ampiamente altre dai toni ben diversi che riceviamo da parenti di nostri lettori deceduti, convinti che noi missionari abbiamo per anni ingannato i loro cari per spillare denaro. Grazie allora a Rosina e a Mariateresa per le loro parole gentili e incoraggianti. A PROPOSITO DELL’ESODO Spett.le Redazione, sono un vostro affezionato lettore/abbonato da anni, ed anche modesto sostenitore. Apprezzo tutto della rivista che leggo da cima a fondo. Focalizzo la mia attenzione su molti articoli, in particolare quelli sulla Bibbia, precedentemente tenuti da don Paolo Farinella (che ho tutti fascicolati) ed ora da Angelo Fracchia. Confesso però che a volte sono un po’ sorpreso dal suo approccio e dalle sue interpretazioni (forse perché non collimano con le mia sicuramente più che scarsa cultura). In modo particolare mi ha molto colpito, sul n. 10 della rivista, la messa in dubbio, non dico con sicumera ma dandolo per © AfMC / Pante Virgilio - abbeveraggio di capre nel letto di un fiume in secca nel Nord del Kenya 5 gennaio-febbraio 2022 MC
Noi e Voi logia di territorio desertico, nel Nord del Kenya, nel XIX secolo, non vivevano più di 20mila persone, con tutto il loro bestiame. Anche i Maasai, che scorazzavano dal Tanzania alle falde del monte Kenya, tutti insieme, non superavano certo le 50mila unità. Anche perché non erano i soli a vivere in quelle aree, ma dovevano competere, per i pascoli e l’acqua, con gli animali selvatici. Mi permetto anche di ricordare che è buona regola non prendere mai alla lettera i numeri riferiti nella Bibbia, che hanno più un valore simbolico che matematico. Faccio due esempi: «(Giobbe) possedette 14mila pecore e seimila cammelli, mille paia di buoi e mille asine» (Gb 42,12). Oggi, in un allevamento intensivo per quel numero di pecore, sarebbero necessari oltre mille ettari di prati fertili e irrigati e per i duemila buoi altrettanti, senza contare quelli per i cammelli e le asine. Se poi si considera che il Sinai è desertico, gli ettari andrebbero aumentati. È chiaro allora che quelle cifre sono più simboliche che reali e vogliono enfatizzare l’abbondanza delle benedizioni divine. Un altro esempio di numero iperbolico è quello dei diecimila talenti di debito del servitore con il suo Signore (Mt 18,24). Presa alla lettera, è una quantità enorme che corrisponde a oltre 360 tonnellate d’oro. Per fare un esempio, la Banca d’Italia, che possiede uno dei più grandi depositi auriferi del mondo, ne possiede poco meno di 2.500 tonnellate. Ma ora è meglio che lasci la parola al nostro biblista. Ecco la risposta di Angelo Fracchia. Ringrazio intanto il sig. Elio Gatti per l’attenzione con cui legge non solo la rivista (e lo comprendo) ma anche i miei articoli, pur non ritrovandovisi appieno: è sempre segno di apertura e intelligenza confrontarsi con tesi diverse dalle proprie. Provo poi brevemente ad abbozzare due risposte. Calcolare il numero di abitanti delle civiltà antiche è sempre impresa difficile. Giuseppe Flavio, storico del I sec. d.C. che molti sospettano di ingigantire le cifre, parla di 7 milioni e mezzo di abitanti dell’intero Egitto al suo tempo. Di certo più di un millennio prima non potevano essere di più. Con questa cifra, la fuga di 600mila persone (non contando i bambini, Es 12,37), con tutto il loro bestiame, senza lasciare alcuna traccia nei documenti egizi, pare improbabile. Così come la loro peregrinazione per quaranta anni in un territorio desertico senza alcuna traccia archeologica in una zona quasi senza piogge. E diciamo «improbabile» solo perché gli storici non amano dire «impossibile». Alcuni storici e biblisti, addirittura, negano del tutto l’ipotesi di un’uscita dall’Egitto di tutto il popolo (le 12 tribù). I più preferiscono ritenere, come ho scritto anch’io, che almeno un piccolo gruppo (una sola tribù?) possa aver vissuto qualcosa di molto simile a quanto narrato dall’Esodo (un’opera recente, e di certo non estremista, è M. Priotto, «Esodo», Paoline 2014). E avrebbero attraversato il mar Rosso dove? Dobbiamo essere onesti e ammettere che non sappiamo ricostruirlo. Un mare che però viene definito come «Mare delle canne», lascia intendere che, almeno in un suo tratto, debba essere davvero poco profondo e paludoso. L’attuale canale di Suez, d’altronde, sfrutta laghi e paludi che da millenni separano l’Egitto dal Sinai, e che potevano comunque essere mortali per una carovana di civili inseguita da una colonna militare. Quanto ho provato a restituire, sia pure in dimensioni e con modalità proporzionate a un articolo di rivista, è ciò che la maggior parte di storici e biblisti oggi ritiene equilibrato e realistico. Ho abbreviato dubbi e precisazioni che sono normali nella ricerca storica antica, ma che ho pensato potessero annoiare un lettore non specialistico. Valutazione forse sbagliata, come le intelligenti domande del lettore indicano. Angelo Fracchia 19/11/2021 MC A SCUOLA Gentile Direttore, da alcuni anni sono abbonato alla bella rivista MC. Questa è la mia richiesta di «aiuto urgente», da professore, da educatore. Nel mio liceo ad indirizzo linguistico sono programmate cinque mattinate full immersion su tematiche relativamente libere attorno alle quali [gli studenti] devono «crescere» proprio in capacità di vagliare criticamente fonti informative, saper poi schematizzare quanto appreso e saperlo comunicare ai compagni. La mia classe ha deciso di mettere a confronto dichiarazioni ammirevoli di difesa dei diritti umani in Europa ed 6 gennaio-febbraio 2022 MC Leggi e fai leggere Nella versione WEB CLASSICA * rivistamissioniconsolata.it * amico.rivistamissioniconsolata.it * missioniconsolataonlus.it o nello SFOGLIABILE, in pdf * sfogliabile.rivistamissioniconsolata.it Seguici sui social FACEBOOK, INSTAGRAM e canale TELEGRAM Rivista Missioni Consolata. MC, la rivista per chi ama lo slow reading.
Le nostre email: redazione@rivistamissioniconsolata.it / mcredazioneweb@gmail.com R MC incoraggiante anche per noi della redazione. L’apprezzamento suo e dei suoi studenti ci invoglia a continuare nel nostro non facile servizio, senza cadere nella tentazione di piacere a tutti i costi. Quanto alla possibilità di una ricerca ragionata e specifica estesa a tutta un’annata o a tutto lo sfogliabile, è un desiderio che portiamo nel cuore da tempo, anche perché sono diversi gli studenti universitari che hanno fatto ricerche sulle nostre riviste passate per le loro tesi di laurea. Il sogno sarebbe di digitalizzare tutte le annate della rivista a cominciare del primo numero e mettere un adeguato motore di ricerca, ma i costi per questa operazione sono molto alti (almeno per le nostre possibilità) e così stiamo procedendo a piccoli passi. Ovvio che se troviamo altri che sognano come noi, il sogno potrà avverarsi. Ogni bene a lei e ai suoi fantastici ragazzi. UNA VITA FATTA MISSIONE Il sindaco, dott. Luca Bertino, e il parroco, don Antonio Marino, a nome della comunità civile e parrocchiale di Nole (To), insieme agli amici del gruppo missionario esprimono il loro cordoglio per la scomparsa in Colombia del caro Baima padre Agostino, missionario della Consolata. Fu un religioso appassionato e gioioso, donò la sua vita per i più poveri, nelle missioni in Ecuador e Colombia. Molto legato alla sua terra di origine, quando tornava a Nole era sempre a disposizione di tutti con cuore generoso. Federico Valle, parrocchia di Nole, 26/11/2021 La mattina del 24 novembre 2021, padre Agostino Baima è morto nella città di Manizales (Colombia) poco più di un mese prima di compiere 82 anni di vita. Tutta la sua esistenza è stata marcata dall’avventura missionaria che lo ha accompagnato fino alla fine. «La mia vita è praticamente questa, essere missionario. Vivo nella comunità dei Missionari della Consolata da 70 anni e la mia famiglia missionaria è come la mia vera famiglia», aveva detto solo pochi mesi fa. Agostino era nato il 26 dicembre del 1939 nel seno di un’umile famiglia di Cirié, allora un piccolo paese della provincia di Torino, ultimo di una famiglia di quattro fratelli. Perse la madre quando aveva solo 5 mesi di vita. Forse senza saperlo, in quel momento la sua vita prese la via della missione perché la mamma, appena prima di morire, disse «questi miei figli non sono più miei, li ho offerti al Signore». Ha dedicato i suoi ultimi anni al Santuario di Nostra Signora di Fatima a Manizales, da dove la comunità lo ha salutato con il cuore addolorato, ma anche pieno di gioia per vederlo arrivare alle sorgenti di quella missione per la quale aveva consacrato la vita. Paula Martinez, Manizales, 29/11/2021 Pubblichiamo solo queste poche righe, riservandoci di tornare a scrivere di questo missionario speciale nel prossimo numero. il modo di attrezzarsi/reagire reale alle varie ondate di profughi/rifugiati/disperati che si affacciano alle diverse «porte»: fra Marocco e Spagna; dal Maghreb; lungo il «corridoio balcanico»; sulle coste greche ed italiane; al confine della Bielorussia.... adesso di nuovo nel canale della Manica. Un grande aiuto per noi sarebbe avere l’indicazione bibliografica precisa di eventuali articoli sul tema contenuti nella nostra rivista (servizi informativi di Paolo Moiola, per esempio, ma anche articoli ben focalizzati di Francesco Gesualdi che apprezzo particolarmente). Poter offrire le informazioni/riflessioni di una rivista caratterizzata da libertà di pensiero e grande umanità sarebbe per me fonte di gioia, di sorriso (27/11/2021). Dopo una rapida risposta in merito, ecco un altro passaggio stimolante per noi di MC. Ringrazio infinitamente del link di ricerca per MC sfogliabile. Lo ho appena scorso e ho visto l’agile ordinamento in annate e poi in numeri mensili e poi sfogliando la singola rivista e poi scaricare-stampare le singole pagine. Tutto molto ordinato, chiaro e veloce: sinceri complimenti da un professore. Ho visto anche che posso fare una ricerca per ogni singola rivista (digitando per esempio «Libia»). Ecco, però, mi azzardo a chiederle se non fosse possibile estendere una voce di ricerca ad un’intera annata (28/11/2021). Alla conclusione della prima tappa della nostra maratona delle cinque mattinate, desidero esprimerle un ringraziamento per la presenza (spirituale e reale). La possibilità di accedere all’indice ragionato della rivista è stata cosa apprezzata da me e dagli studenti che hanno potuto «conoscere» una rivista sconosciuta andando anche oltre i loro pregiudizi adolescenziali (e secolari). Grazie di cuore. Un caro saluto Prof. Marco B. Bolzano, 30/11/2021 Caro professor Marco, mi permetto di condividere qui quanto lei ci ha scritto, perché è 7 gennaio-febbraio 2022 MC ERRATA CORRIGE Segnaliamo che a pag. 11 di MC 11/2021 abbiamo erroneamente scritto che Chang Kai-shek si spostò a Taiwan nel 1959. L’anno esatto è invece il 1949. Ce ne scusiamo con i lettori.
novamento e a una attualizzazione della fede comune, indipendentemente dal peso demografico di ciascuna. Alla base di queste proposte c’è l’esperienza fallimentare delle «primavere arabe», il documento sulla fratellanza umana di Abu Dhabi (2019) firmato dal papa e dallo sceicco di al-Azhar e le sfide del fenomeno della globalizzazione. (AsiaNews) COREA DEL SUD FONDAZIONE MISSIONARIA Si intitola «Nicholas Cheong missionary scholarship foundation»: è la nuova iniziativa lanciata dall’arcidiocesi di Seoul per commemorare il compianto cardinale Nicholas Cheong Jin-suk, ex arcivescovo di Seoul e amministratore apostolico di Pyongyang. La nuova fondazione garantirà borse di studio e «sarà una pietra angolare della cura pastorale per sostenere i missionari laici e artisti» nella loro missione di annunciare il Vangelo con parole e opere. L’iniziativa è nata perché il cardinale ha sempre sottolineato l’importanza della vocazione missionaria di tutta la Chiesa e il compito di evangelizzatore di ogni battezzato. I beneficiari delle borse di studio saranno selezionati tra i missionari laici cattolici coreani che sono attualmente all’estero per servire ed evangelizzare le comunità nel Sudest asiatico e in altre nazioni. Inoltre, la fondazione intende organizzare un «Centro di supporto per le arti e la cultura cattolica» che offra agli artisti cattolici risorse finanziarie e sostegno organizzativo come pubbliche relazioni, assistenza legale, servizi vari di assistenza e consulenza. (Fides) L’Anno giubilare missionario sarà quindi un momento opportuno per conoscere le iniziative, i progetti e le istituzioni che cooperano alla missione affidata da Gesù alla sua Chiesa. (Fides) LIBANO «SCEGLIAMO LA VITA» Dignità umana, rapporto con l’altro, cittadinanza, partenariato e rifiuto di una mera alleanza fra minoranze: sono questi gli assiomi più importanti di un rinnovamento teologico, geopolitico e sociale al quale fa appello un gruppo di lavoro ecumenico ribattezzato «Scegliamo la vita». Un documento che offre una sintesi di questi propositi è stato presentato a fine settembre alla chiesa di Mar Élias d’Antélias, alla presenza di 11 firmatari fra i quali figurano Souraya Bechaalany, ex segretario generale del Consiglio delle Chiese del Medio Oriente, il politologo Ziad el-Sayegh e padre Gabriel Hachem. La riflessione, tanto religiosa quanto politica, va contro corrente rispetto a un sentire comune geopolitico attuale. Essa propone nello specifico alle chiese del mondo arabo di discernere nel profondo di una storia tormentata le scelte che porteranno a un rinBRASILE GIUBILEO MISSIONARIO Con il tema «La Chiesa in uno stato permanente di missione» e il motto «Sarete miei testimoni» (At 1,8), il 20 novembre scorso la Chiesa brasiliana ha aperto ufficialmente l’Anno giubilare missionario. Durante quest’anno fra gli altri si ricordano i 50 anni del Consiglio missionario nazionale (Comina); delle Campagne missionarie; dei Progetti delle Chiese sorelle; del Consiglio indigeno missionario (Cimi) e i 200 anni della nascita della Pontificia opera della propagazione della fede (Popf). Il 2022 sarà quindi un tempo celebrativo per ricordare il cammino missionario a livello internazionale e nazionale, come pure per proiettare «l’azione missionaria come paradigma di tutta l’opera della Chiesa» (Evangelii gaudium, n. 15). Il tema «La Chiesa in uno stato permanente di missione» segue le intuizioni del documento di Aparecida che intende la missione come identità della Chiesa, cioè non qualcosa di facoltativo, un’attività della Chiesa tra le altre, ma la sua stessa natura. a cura di Sergio Frassetto MC R la chiesa nel mondo Brasile: il manifesto che annuncia l’inizio dell’anno giubilare missionario. * 8 gennaio-febbraio 2022 MC
FRANCIA PAULINE JARICOT Pauline Jaricot (1799-1862), fondatrice dell’Associazione della propagazione della fede e del Movimento del rosario vivente sarà elevata all’onore degli altari a Lione il prossimo 22 maggio, nel bicentenario della fondazione della Pontificia opera della propagazione della fede (Popf). Nata in una ricca famiglia di Lione, Pauline-Marie Jaricot, dopo 15 anni di una vita agiata, sperimentò la sofferenza fisica e spirituale, nel contesto della quale ebbe, tramite i sacramenti, un’esperienza profonda di Dio. La sua esistenza cambiò radicalmente: arrivò a consacrare la vita a Dio e si dedicò esclusivamente a servirlo nei poveri e negli ammalati. L’aiuto ai bisognosi era accompagnato da una vita d’intensa preghiera, riceveva quotidianamente l’Eucarestia, intercedeva per la conversione dei peccatori e per l’evangelizzazione del mondo. Resasi conto delle difficoltà economiche delle missioni, promosse delle iniziative per raccogliere dei fondi: nacque così quella che poi verrà chiamata «Opera della propagazione della fede» che fu fondata ufficialmente il 3 maggio 1822. (Fides) INDIA SENZA PAURA Il villaggio di Tiangia, nel distretto di Kandhamal, uno dei più colpiti nel 2008 dalla persecuzione contro i cristiani in Orissa, ha un nuovo sacerdote. Padre Bikash Nayak è stato ordinato prete per la diocesi di Buxar nel Bihar e ha celebrato la sua prima messa nel suo villaggio il 13 novembre 2021. «Né la persecuzione né la minaccia alla mia vita da parte dei fondamentalisti - racconta - hanno potuto fermare la mia volontà di dedicare la vita al Regno di Dio. Durante le violenze contro i cristiani del 2008 mi sono dovuto nascondere nella foresta. Mi ha ispirato e motivato l’esempio di padre Bernard Digal, il tesoriere dell’arcidiocesi di Cuttack-Bhubaneswar, che fu brutalmente ucciso. Veniva dal mio villaggio, era mio parente. Cristiani innocenti caddero vittime di questa collera. Ma questa minaccia mi ha reso più forte nel testimoniare Gesù». Padre Bikash è il nono prete del villaggio di Tiangia, che contò sette vittime durante le violenze del 2008. Al termine della celebrazione nel villaggio il nuovo sacerdote ha reso omaggio al memoriale dei martiri della persecuzione. (AsiaNews) R MC * * Amazzonia Malaria Mentre il mondo continua a lottare con la pandemia di Covid-19, il popolo yanomami della missione Catrimani soffre per l’epidemia della malaria. La promozione umana, la cura della vita e il benessere degli Yanomami sono sempre stati una preoccupazione dei missionari della Consolata giunti fra loro nel 1965. Nella missione del Catrimani vivono circa 900 Yanomami distribuiti in più di 27 comunità o «maloche». Nella lotta contro la malaria e altre malattie endemiche, portata avanti dai missionari della Consolata in collaborazione con l’équipe sanitaria, una delle maggiori sfide è rappresentata dalla difficoltà delle persone a completare il trattamento previsto in sette giorni. Nel senso che, appena si sentono meglio, queste non finiscono di assumere il farmaco. Il risultato è una reincidenza del parassita e una malaria mal curata con il rischio di ricadute spesso mortali. Le buche abbandonate dai garimpeiros dopo l’estrazione illegale dell’oro favoriscono la riproduzione della zanzara Anophele, vettore della malaria. Inoltre, il movimento di questi cercatori attraverso la foresta diffonde la malattia al loro passaggio e le vittime più vulnerabili sono proprio gli indigeni. Altre difficoltà sono rappresentate dalla mancanza di attrezzature per la nebulizzazione dell’ambiente che non aiuta l’opera di prevenzione in favore delle persone e la mancanza di farmaci per il trattamento della malaria nei centri sanitari. A tutto ciò si aggiunge la difficoltà di visitare le maloche disperse nella foresta e raggiungibili solo via fiume, quando il motore della barca si rompe o manca il carburante e questo succede spesso. I missionari della Consolata presenti nella missione del Catrimani sono pienamente coinvolti in questa realtà e lavorano in favore della vita in tutti gli ambiti della realtà yanomami. Imc Amazzonia (Brasile): David Kopenawa, leader yanomami, con alcuni bambini indigeni in una foto di qualche anno fa. * 9 gennaio-febbraio 2022 MC
Inchiesta 1 / Perché Haiti è il paese più disastrato del pianeta UNA VITA IN LOCKDOWN HAITI MC A che di mitragliatore sul presidente, poi infieriscono brutalmente sul suo cadavere. La moglie Martine resta ferita e, evacuata a Miami, si salverà. Le macabre immagini del corpo martoriato fanno il giro dei social, a bella mostra di quanto è successo. CHI ERA JOVENEL MOISE Moise era espressione della classe borghese del paese, in particolare dei neo arricchiti, non delle famiglie dell’oligarchia storica. Lui aveva fatto i soldi con l’agro business, l’export delle banane, e per questo era chiamato Nèg banann, in creolo, l’uomo È la notte tra il 6 e il 7 luglio 2021. Un commando di una trentina di uomini vestiti di nero si introduce nella residenza del presidente della Repubblica di Haiti, Jovenel Moise, senza sparare un colpo. Giunti in camera da letto, scaricano raffiIl paese dei Caraibi, nel Settecento la colonia più ricca al mondo, e seconda nazione indipendente delle Americhe, oggi vive una situazione di «stato fallito». Non è una questione di sfortuna. Le cause storiche e geopolitiche sono precise e definite. di MARCO BELLO 10 gennaio-febbraio 2022 MC © Sabin Johnson / Anadolu Agency via A P
ma che lui aveva portato al 2022, giocando su un’ambiguità costituzionale (cfr. MC marzo 2021). IL DOPO MOISE All’indomani dell’efferato assassinio, che sciocca il paese, si innesca una contesa a tre per la gestione della transizione. I protagonisti sono: Claude Joseph, primo ministro in carica, ma sfiduciato dallo stesso Moise che due giorni prima di essere ucciso aveva designato una nuova figura, il dottor Ariel Henry, a succedergli. Il secondo è Henry stesso, che rivendica la nomina. Infine il terzo è Joseph Lambert, presidente di un terzo del senato (composto da dieci senatori, un terzo del totale, non scaduti, perché la Costituzione ne prevede il rinnovo di un terzo ogni due anni), le uniche cariche elette rimaste nel paese. La Costituzione del 1987, emendata, prevederebbe (art. 149) che, in caso di vacanza improvvisa del capo di stato, sia il presidente della Corte di Cassazione a prendere la guida del paese, ma il giudice René Sylvestre è morto un mese prima dell’omicidio, a causa delle complicanze del Covid-19. Come spesso è accaduto nella storia di Haiti, è un intervento esterno che prevale su tutti. Il cosiddetto Core Group (coordinamento delle ambasciate di Germania, Francia, Stati Uniti, Canada, Spagna, Unione europea, e rappresentanti di Organizzazione degli stati americani, e Nazioni Unite), i paesi «amici» di Haiti, appoggia apertamente Ariel Henry, che diventa dunque premier de facto di un governo de facto. Esso infatti non potrà essere validato da un parlamento, che non esiste, e non potrà gestire il potere esecutivo insieme a un presidente della Repubblica che non c’è. Un «deserto istituzionale» senza precedenti. UN POPOLO IN OSTAGGIO La morte violenta del presidente fa precipitare la già precaria situazione di sicurezza del paese. Se le gang (bande armate di malviventi, in creolo) sono sempre esistite, e negli ultimi anni erano diventate più forti, adesso si dividono il controllo di gran delle banane. Era succeduto al presidente Michel Martelly (20112016), come suo candidato designato, del suo stesso partito, il Partito haitiano tèt kale (Phtk), di estrema destra, filo duvalierista. Aveva inizialmente perso le elezioni contestate (ottobre 2015) e, dopo un anno di transizione, con il presidente a interim Jocelerme Privert, era stato eletto nel novembre 2016 entrando in carica il 7 febbraio 2017 (cfr. MC aprile 2017). Moise, in contrasto con la Costituzione, aveva poi evitato di organizzare le elezioni alle scadenze fissate, sia per gli eletti locali, che per il parlamento, il cui mandato si era concluso nel gennaio 2020. Da allora legiferava per decreto, intervenendo anche su aspetti molto delicati delle istituzioni haitiane. Stava inoltre preparando una riforma costituzionale - percorrendo però una procedura anticostituzionale - che avrebbe aumentato ulteriormente i poteri del presidente. La popolazione lo aveva duramente contestato già nel 2018 e poi di nuovo, con manifestazioni che avevano bloccato il paese, dall’autunno 2019. C’era pure una diatriba sulla scadenza del suo mandato, che sarebbe stata il 7 febbraio 2021, Qui: slalom tra immondizie e strade allagate a Port au Prince, durante lo sciopero per chiedere più sicurezza, 29 ottobre 2021. A sinistra: Port au Prince, sciopero e proteste contro la mancanza di sicurezza, 25 ottobre 2021. * * 11 gennaio-febbraio 2022 MC Bande armate | Salario minimo | Sfruttamento | Impunità A MC © Ricardo ARDUENGO /A P " Un intervent0 esterno, del Core group, ha imposto il primo ministro de facto.
parte del territorio, nella capitale come nelle principali vie di comunicazione. La gang di Jimmy Chérisier, detto Barbecue, che si fa chiamare G9 an fanmi ak alye (Gruppo 9 in famiglia e alleati), nei mesi di ottobre e novembre 2021 arriva a impedire la fuoriuscita delle autobotti dal terminale petrolifero di Varreux (gli autisti sono uccisi o rapiti), bloccando di fatto il funzionamento del paese per mancanza di carburante. I prezzi dei trasporti e di tutti i generi alimentari, anche di base, si impennano e molti servizi, inclusi ospedali e banche, devono chiudere. Gran parte dell’energia elettrica ad Haiti è infatti prodotta da centrali termiche e da gruppi elettrogeni privati. Barbecue, vicino al presidente assassinato Moise, chiede le dimissioni di Ariel Henry. Poi, quasi fosse il capo di stato, pubblica * HAITI Sopra: coda a una stazione di benzina a Port au Prince, durante la tregua. Un gallone (4,54 l) alla pompa costava 201 Gd, e veniva rivenduto a 3.000 al mercato nero (1/11/21). Al centro: una risaia nella valle dell’Artibonite. Ci sono zone molto fertili nel centro e Nord del paese. Qui: l’isola è ricca di zone incontaminate, attualmente non sfruttate dal turismo. * * * " «Le gang di oggi sono come i Macoute di ieri, create per controllare la popolazione». 12 gennaio-febbraio 2022 MC © Richard P ERR N / A P © Marco Bello © Marco Bello
pubblica Dominicana. È nota per alcuni rapimenti di massa. Il 16 ottobre compie un salto di qualità, sequestrando 17 stranieri (16 statunitensi e un canadese), missionari protestanti legati all’organizzazione Usa Christian aid ministries. Il rapimento di stranieri, che finora non è una pratica frequente, è la punta dell’iceberg di un fenomeno che si è esteso a tutti i livelli sociali. Chiunque può essere rapito, e i riscatti richiesti variano da decine di migliaia di dollari a milioni. Spesso, se il riscatto non è pagato, il malcapitato viene ucciso. «I rapimenti sono una media di quattro, sei al giorno, mentre abbiamo contato una media di cinque omicidi al giorno nei primi sette mesi del 2021», ci dice Antonal Mortimé, segretario generale di Defenseur plus, associazione per la difesa dei diritti umani ad Haiti. «La situazione è molto peggiorata dopo l’assassinio del presidente Moise, e la gente vive un clima di terrore quotidiano. Possiamo dire che il diritto alla vita è negato, in questo momento, nel paese». Mortimé, contattato telefonicamente, ci descrive la mappa delle gang che controllano la capitale Port-au-Prince, a Nord, Nord-Est, Sud e al centro: «Siamo circondati, siamo presi in ostaggio in modo collettivo. Abbiamo paura di portare i bambini a scuola, di andare all’Università, o al lavoro. Poi ci sono tante micro gang, in guerra tra di loro». E continua: «Ariel Henry non ha saputo ristabilire l’autorità dello stato, la sicurezza, la fiducia dei cittadini». UN POPOLO SOTTO CONTROLLO «Non è un fenomeno di oggi, i gruppi armati erano presenti già 30 anni fa», ci ripete una fonte autorevole haitiana, che chiede l’anonimato, perché «qui ti ammazzano per molto poco». «Le gang sono organizzazioni paramilitari, come erano i Macoute al tempo dei Duvalier, create per controllare la popolazione. Sono i grandi proprietari terrieri e i un video in cui dichiara una tregua di una settimana, in onore della battaglia di Vertières (18 novembre 1803: la vittoria dell’esercito «indigeno» contro l’armata napolenica, porta all’indipendenza), lasciando uscire i camion dal deposito. Nello stesso video dice di essere a capo di un gruppo rivoluzionario, denuncia la fame del popolo e dunque chiama i suoi seguaci a prendere le armi perché «la rivoluzione sta per cominciare». Nella festa di commemorazione della morte di Jean-Jaques Dessalines, padre della patria, il 17 ottobre, la stessa gang impedisce al primo ministro de facto, al capo della polizia Léon Charles (che si dimetterà a fine ottobre), e al loro seguito, di svolgere la cerimonia di suffragio. I suoi uomini attaccano la scorta che batte in ritirata, e in seguito Chérisier in persona, a volto scoperto e in giacca bianca, deposita una corona di fiori alla base della stele che ricorda l’assassinio di Dessaline a Pont Rouge (Port-au-Prince). RAPIMENTI Un’altra gang famosa, la 400 Mawozo, controlla l’uscita Nord della capitale e la strada principale verso la frontiera con la Regrandi padroni dell’import-export che, in accordo con il potere fascista (del partito Phtk, nda), hanno messo in piedi e controllano le gang. Fanno parte dell’azione repressiva del Phtk». Alcuni osservatori sostengono che questi gruppi armati stiano andando fuori dal controllo di chi li ha creati e finanziati. Il nostro interlocutore non è d’accordo: «Le gang si scontrano con la polizia, ma questa è una contraddizione secondaria. Ci sono battaglie tra gang per il controllo del territorio, dei traffici di droga, ma anche questo è secondario rispetto alla repressione perpetrata ai danni della popolazione. Ci sono gang che tentano di diventare autonome, ma non ci riusciranno. L’imperialismo (intende il controllo esercitato da parte dei paesi vicini, gli Usa in primis, nda), che ha l’ultima parola, non lo permetterà, come è già successo tante volte in America Latina». E continua spiegando l’approccio comunicativo delle gang: «A volte i loro leader dicono che lottano per la popolazione, come Chérisier, che va in video e accusa i borghesi, e dice di volere le dimissioni del primo ministro Ariel Henry. Ma è l’esatto contrario. Se davvero volessero, potrebbero andare a prenderlo quando vogliono, perché sono più forti della polizia». In effetti le forze di sicurezza, sebbene siano state formate per decenni dalle Nazioni Unite (missione dei caschi blu Minustah dal 2004 al 2017, preceduta dalla Minuha 1993-96, e oggi sostituita dalla più leggera Binuh, Ufficio integrato delle Nazioni Unite ad Haiti), sono incapaci di opporsi alle bande, e spesso i poliziotti vengono ammazzati. Anche le neonate Forze armate d’Haiti, sciolte dal presidente Jean-Bertrand Aristide nel 1994, e ricostituite da Jovenel Moise nel 2017, non hanno mezzi né risorse. A MC 13 gennaio-febbraio 2022 MC
Qui: uno sciopero per il salario minimo, davanti al Parc Industriel nei pressi dell’aeroporto di Port au Prince, immagine di repertorio (2013). Sotto: Hillary Clinton (all’epoca segretario di stato Usa) inaugura il parco industriale Caracol, a Nord, il 22 ottobre 2012. Zona franca per la manifattura tessile, fortemente voluta da lei e dal marito, l’ex pre sidente Bill Clinton. A destra: sfollati dal quartiere di Martissant, a causa di una guerra tra gang, sono accampati al centro sportivo di Carrefour (28/10/21). * * * LA PIRAMIDE DEL POTERE «Ad Haiti - continua il nostro interolcutore - esiste una borghesia industriale, ma è dominata dalla borghesia del commercio (o dell’import-export) che è molto forte e blocca lo sviluppo industriale. Questa classe dominante non ha però la forza di eliminare il sistema pre capitalistico, ovvero quello dei latifondisti, in quanto ha bisogno di loro, sia per la produzione di alimenti da esportazione (caffè, zucchero, banane…) sia per reprimere le rivendicazioni popolari dei piccoli contadini. D’altro lato l’influenza imperialista, soprattutto statunitense, ma anche canadese, francese, che si appoggia su questa classe dominante, ha dei chiari progetti per il paese». Si riferisce a quattro settori strategici principali: le zone franche con le manifatture del tessile (aree industriali libere da tasse, delle quali abbiamo parlato in MC gen-feb 2014 e maggio 2016); l’agro industria; le ricchezze del sottosuolo e il turismo di alta gamma. MANIFATTURA TESSILE Le zone franche del tessile fanno parte di una strategia delle multinazionali su Haiti da decenni. Sono state ulteriormente spinte dalla famiglia Clinton (Bill e Hillary) come strategia di ricostruzione dopo il terremoto del 2010. Nel giugno di quell’anno Bill Clinton divenne co-presidente, insieme al primo ministro Jean-Max Bellerive, della Commissione ad interim per la ricostruzione di Haiti. Ma di fatto comandava lui. La grande zona franca industriale di Caracol, nel Nord del paese, ad esempio, ha visto un grosso coinvolgimento di Hillary. Inaugurata nell’ottobre del 2012, è gestita da manager e capitali sudcoreani (per ClintonHaiti si veda MC gen-feb 2014). Altre aree sono quella di Ouanaminthe (Codevi), al confine Nord con la Repubblica Dominicana, comoda per portare i manufatti direttamente oltre frontiera, e alcune più recenti a Santo (Croixde-Bouquet, Nord della capitale), la Apaid & Baker Sa, e Carrefour (a Sud), la Palm Apparel, oltre a quella storica nei pressi dell’aeroporto di Port-au-Prince, la Sonapi. In tutte queste zone industriali, libere da tasse, vengono assemblati vestiti per i grandi brand statunitensi e non solo. Si tratta di un grande serbatoio di manodopera a bassissimo costo, a due passi dagli Stati Uniti. Il punto cruciale, più in generale, sta nel costo del lavoro. Il salario minimo dignitoso è una lotta affrontata a più riprese dai sindacati haitiani, in particolare nel tessile, ma non solo. Un sindacalista ci racconta: «Oggi il salario minimo è di 500 gourde al giorno, che al tasso di cambio attuale equivale a 5 dollari. Nel 2009 era di 70 gourde * HAITI 14 gennaio-febbraio 2022 MC © Larry Downing/ A P © A Batay Ouvrye " Le zone franche fanno parte della strategia di ricostruzione post terremoto.
usato dalla Coca-Cola per le bibite in versione light. L’area, chiamata «Zone franche agro industrielle d’exportation de Savane Diane», è stata creata grazie a un decreto presidenziale (di Moise) dell’8 febbraio 2021, che la definisce una «zona franca» ovvero «tax free zone», o zona senza tasse. Il decreto ha reso operativo un accordo firmato tra il Consiglio nazionale delle zone franche (Cnzf), rappresentante lo stato haitiano, e Nina Apaid, presidente della Stevia Sa, nell’ottobre 2019. L’operazione prevede l’esproprio di terre ai piccoli contadini e il loro impiego come braccianti (a salario minimo). Nel decreto salta all’occhio la frase: «Considerando l’impegno delle autorità pubbliche di prendere tutte le misure necessarie per promuovere lo sviluppo socio economico del paese, in particolare attraverso la realizzazione di zone franche». IL SOTTOSUOLO Una risorsa non ancora sfruttata, ma presente nel paese, è quella mineraria. Secondo diverse prospezioni, fatte in Haiti e in Repubblica Dominicana (Rd), è presente una ricca vena che taglia l’isola di Hispaniola da Nord Ovest al centro, passando per Santiago (Rd). Sono stimate buone quantità di oro, argento e rame. Alcune multinazionali che sfruttano già il sottosuolo in Rd, hanno fatto prospezioni ad Haiti, (1,75 dollari con il cambio dell’epoca), ma noi ne chiedevamo 250 (6,25 usd). Uno studio di economisti haitiani e statunitensi indipendenti, aveva calcolato che per far vivere una famiglia di quattro persone, undici anni fa occorrevano 1.100 gourde al giorno (27,50 usd). Ce ne concessero 125 (poco più di 3). Oggi l’operaio del tessile salta sistematicamente il pranzo, bevendo un goccio di kléren (distillato grezzo di canna da zucchero, dal costo irrisorio, nda) per resistere al pomeriggio. Altrimenti non porterebbe a casa nulla. Inoltre, sono quasi tre anni che il salario minimo non è stato rivisto, mentre la svalutazione della moneta nazionale è stata elevata». AGRO INDUSTRIA La borghesia agro industriale è un gruppo socio economico che sta emergendo. Ne era espressione lo stesso Jovenel Moise. Un caso esemplificativo è l’area di Savane Diane, dove l’imprenditore Clifford Apaid (di una delle famiglie più ricche di Haiti) sta impiantando la sua compagnia Stevia agro industries (Stevia Sa), per un investimento stimato di 250 milioni di dollari1. Su circa 8mila ettari, a cavallo di tre dipartimenti, la cosiddetta Export processing zone, produrrà manioca, zucchero di canna, avocado e stevia. La stevia (s. rebaudiana) è un dolcificante ipocalorico naturale molto utilizzato nei paesi ricchi in sostituzione dello zucchero, ad esempio è stanno firmando accordi di sfruttamento e stanno procedendo all’installazione di siti estrattivi2. Naturalmente questo sta causando l’esproprio di terre ai piccoli contadini, i quali hanno dato vita al Komite jistis min (in creolo: Comitato giustizia miniere), per opporsi allo sfruttamento indiscriminato delle imprese minerarie internazionali. Attualmente si tratta di zone nel Nord Est del paese, come Grand Bois e Morne Bossa. L’ULTIMA FRONTIERA L’ultimo ambito dello sfruttamento del paese da parte di compagnie internazionali, in joint-venture con l’oligarchia locale, è quella del turismo di alta gamma. Ne avevamo parlato in MC (gen-feb 2014) quando ci eravamo chiesti perché parte dei soldi per la ricostruzione post terremoto 2010 erano stati impiegati per costruire grandi hotel di lusso. Oggi il processo continua: «Ci sono compagnie straniere in diverse zone di interesse turistico. Parlo delle isole Tortue (Nord), Gonave, e poi Mole St. Nicolas e di altre spiagge notevoli. Stanno facendo gli studi per impiantare dei resort. E per far questo manderanno via i contadini e assumeranno personale pagandolo con il salario minimo. Un’ulteriore proletarizzazione del produttore agricolo haitiano», rincara il nostro interlocutore. «Il grosso problema in tutto questo, è che l’opposizione liberale, oltre ovviamente la destra al potere, non mettono in discussione questi mega progetti né il salario minimo». La mano d’opera a bassissimo costo, oltre che la svalutazione continua della moneta nazionale, è infatti il propulsore dello sfruttamento delle risorse naturali e umane di Haiti. PERCHÉ UCCIDERE IL PRESIDENTE Torniamo da dove siamo partiti. Perché il presidente Jovenel Moise è stato ucciso e perché con modalità tanto efferate? Le analisi concordano su un regolamento di conti interno alla A MC gennaio-febbraio 2022 15 MC © Richard P ERR N / A P
classe politica dominante, allo stesso partito Phtk di Michel Martelly e Jovenel Moise. Un attivista haitiano nel settore dei diritti umani, da noi contattato, che ci ha chiesto pure lui l’anonimato, si esprime così: «Si tratta di un vasto complotto, ben pianificato, che vede coinvolta la mafia haitiana e quella internazionale, insieme a quella che chiamiamo borghesia conservatrice e classe politica tradizionale haitiana. Moise ha sfidato quelli che chiamiamo gli oligarchi, le grandi famiglie più ricche di Haiti, anche se per accedere al potere ha avuto il loro supporto. Ha tentato di sfidarli, riducendo il loro margine di manovra, togliendo certi privilegi, aumentando alcune imposte. Tutto ciò ha prodotto una reazione fino al complotto. Sono passati attraverso la stessa Guardia presidenziale, i cui membri sono stati pagati affinché consegnassero il presidente. Si tratta di un crimine internazionale, costato milioni di dollari, che ha mobilitato decine di persone e materiale militare sofisticato». In effetti, pure il vilipendio del cadavere, e la sua esposizione sui social media, pare un messaggio chiaro, mandato a chi vuole fare politica ad Haiti: se ci sfidate, ecco cosa può succedervi. Attualmente, l’inchiesta in corso è condotta dal giudice istrutture Garry Orélien, che ha sostituito ad agosto Mathieu Chanlatte, dimissionario. Una trentina di accusati sono agli arresti, tra i quali ex militari colombiani e tre haitiani-americani. Tra loro lo sconosciuto Christian Emmanuel Sanon, indicato come leader dell’attentato, colui che avrebbe voluto prendere il potere. Molto probabilmente l’uomo di paglia degli ideatori del complotto. Avvisi a comparire davanti al giudice sono stati emanati ai miliardari uomini d’affari haitiani Réginald Boulos, Jean-Marie Vorbe e Dimitri Vorbe, e agli ex senatori Steven Benoit e Yuri Latortue, come riporta The Strategist, dell’Australian strategic policy institute, un think thank australiano di studi strategici3. L’arrestato più illustre è Samir Handal, fermato il 15 novembre scorso all’aeroporto di Istanbul. Haitiano di origine palestinese (e residente a Miami), fermato grazie a un mandato d’arresto dell’Interpol, fa parte dell’oligarchia haitiana. Si stava recando in Giordania, provenendo da Miami. Dovrà essere estradato ad Haiti. Il giudice Orélien ha ricevuto numerose intimidazioni: il suo ufficio è stato forzato da ladri nella notte tra il 27 e il 28 ottobre, la sua auto presa a fucilate lo stesso giorno, e uomini armati hanno cercato di fare irruzione, sempre nel suo studio, a inizio novembre. CHI GOVERNA ADESSO? Intanto la dinamica politica vede opporsi il governo de facto di Ariel Henry (che è stato ancora rimaneggiato il 24 novembre scorso, con il cambio di 8 ministri su 18) appoggiato da Core group e Binuh, e l’opposizione democratica, firmatari del cosiddetto accordo del 30 agosto, che chiede un processo di transizione differente. Si cerca una «riconciliazione nazionale» sul piano politico. Gli obiettivi del nuovo governo de facto, dice Henry il 25 novembre, sono ristabilire la sicurezza, la riforma costituzionale e portare il paese alle elezioni a tutti i livelli. Il problema immediato è un deficit di bilancio statale. Un budget di circa 254 miliardi di gourde (2,5 miliardi di dollari), ma le casse dello stato ne avrebbero solo 96, di cui 30 già impegnati per sovvenzionare il carburante. Come se non bastasse, un forte terremoto ha colpito il Sud Ovest del paese il 14 agosto, causando 2.246 morti e 329 dispersi e perdite economiche stimate di 1,6 miliardi di dollari. I bisogni recensiti per la ricostruzione sono di 1,97 miliardi. Ma occorre ricordare che, dalle casse dello stato, mancano circa 3 miliardi di dollari, «evaporati» con lo scandalo PetroCaribe. Marco Bello (fine prima puntata/ continua) * HAITI 16 gennaio-febbraio 2022 MC Note 1 • Haiti-agriculture: new agroindustrial export free zone, Haiti Libre, 12/02/2021. 2 • Ruée vers l’or en Haiti, Enquet’action, 10/06/2020. 3 • Who benefits from insecurity in Haiti?, The Strategist, 14/07/2021. © Valerie Baeryswil/ A P Qui: il primo ministro ad interim, Claude Joseph (a sinistra) si congratula con il primo ministro de facto, Ariel Henry (designato dal Core group), durante la commemorazione per il defunto presidente Jovenel Moise, al Pantheon di Port-au-Prince, il 20/07/21. *
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