Missioni Consolata - Ottobre 2015

morbillo. Questi due accorsero per darci ausilio, mentre noi e altri Yanomami ammalati, qui [nell’alto corso del fiume] stavamo correndo [cercando soccorso alla Missione Catri- mani]. [...] In quel tempo, quando il morbillo aveva già ucciso molti ed era calata l’intensità dell’epidemia, questi due arrivarono. Ci raggiunsero nella comunità ormai spopolata. Portarono vaccini e medicine contro il morbillo, con i quali - noi che eravamo sopravvissuti - fummo curati e ci ristabilimmo. A causa di questa situazione [di grave sofferenza degli Ya- nomami], Claudia e Carlo Zacquini, cominciarono la lotta per la [demarcazione della] terra indigena. Iniziarono que- sta nuova lotta perché volevano prendersi cura di noi. [...] I missionari della Consolata ci aiutarono realmente. Padre Giovanni [Saffirio] corse al Posto indigeno della Funai [Fon- dazione Nazionale dell’Indio] al Watorikɨ [Demini], per ri- chiedere il soccorso di un elicottero. [...] Loro hanno inviato [più di una] proposta [di demarcazione] al governo [brasiliano]. [Affermando:] “Il popolo Yanomami è importante”. [...] Tutto questo perché potessimo vivere in salute, [continuare a] realizzare le nostre feste reahu, fare le nostre piantagioni, crescere [allevare] i nostri figli». • TesTimonianza di PedRo Yanomami (di circa 80 anni, comunitá di Maamapi) Stralcio della deposizione raccolta e registrata in video, in gennaio 2015, presso la comunitá di Maamapi (regione Missione Catrimani). «n oi due moRiRemo insieme » «Fratel [Carlo Zacquini] andava a caccia con me, in quella direzione. Noi cacciavamo là tapiri e scimmie. Adesso è an- ziano. Io sono divenuto anziano, e lui, come me. [Rivolgendosi a Fratel Carlo che da qualche anno vive a Boa Vista:] Fratello tu tornerai? Vieni di nuovo a visitarci alla Missione. Vieni ad abitare qui di nuovo. Moriremo insieme. Noi due moriremo insieme. [Gli altri Yanomami] realizze- ranno il rituale con le nostre ceneri. Se seppelliranno il tuo corpo, tu [in questo passaggio] soffrirai: i bianchi sono irre- sponsabili, non sanno le cose. Solo se sarà realizzato qui il rituale delle ceneri, andrà tutto a buon fine. Io ho pensato che sarà bene così per noi, perciò ti chiamo: ritorna qui. [Fra qualche settimana,] quando realizzeremo la festa reahu, nella mia comunità, visitaci di nuovo. Anche se an- ziano, danzerai nella mia casa. Noi due anziani danzeremo. Io non vedo più le persone e le cose con i miei occhi, ma ancora posso camminare. Invece, i tuoi occhi scorgono an- cora chiaramente: solo io sono immerso in una grande oscurità. Sento molta nostalgia. Tu hai cacciato e pescato per ali- mentarmi, perciò ti ricordo, ti conservo nel cuore. Se io avessi occhi buoni, ti visiterei varie volte a Boa Vista, dopo aver volato con l’aereo. Domanderei: “Tu stai bene?”. Que- sto è ciò che penso». (a cura di Corrado Dalmonego) OTTOBRE 2015 MC 41 nità indigene cui sono invitati non-indigeni, corsi per maestri yanomami o visite per la realizzazione di azioni di salute. In vari decenni, missionari e indigeni hanno affron- tato insieme fatti tragici come la costruzione di una strada che ha provocato la decimazione delle co- munità a causa delle epidemie, il genocidio conse- guente all’invasione di migliaia di garimpeiros , l’im- patto ambientale e la violenza portati avanti da progetti lontani dalle reali necessità di un popolo. Sebbene tali minacce siano sempre in agguato, il quotidiano della missione è stato anche l’affrontare insieme camminate, cacciare e pescare sul fiume, soccorrere un ammalato, raccogliere frutti in fore- sta, condividere gli alimenti e partecipare alla danza di entrata degli ospiti in una festa o ad un ri- tuale di cura. Gli Yanomami hanno accolto nel loro quotidiano i missionari che, per quanto riuscissero, hanno cer- cato di farsi vicini. La presenza e l’accompagna- mento nelle diverse attività, anche se possono sem- brare poco efficaci - soprattutto se si tratta di una spedizione di caccia o di una cerimonia rituale - sono molto apprezzate da loro. Incontri e dialoghi (da orizzonti diversi) Su questa prossimità e condivisione, la missione si è costruita: anche se le relazioni possono essere se- gnate da equivoci e mutue incomprensioni, è possi- bile stabilire un dialogo e arrivare a un incontro partendo ciascuno dai propri orizzonti e dalla pro- pria logica. Se i missionari erano interessati alla «cultura ma- teriale» degli indigeni e osservavano con curiosità gli utensili da loro confezionati, allo stesso tempo padre Calleri era commosso dalla fatica che gli Ya- nomami facevano nello svolgere le attività produt- tive: sofferenza che egli cercava di alleviare for- nendo generosamente oggetti industriali (attrezzi da taglio, ami da pesca, e altro). Se per i missionari era questione di emergenza prendersi cura della salute degli indigeni, quando l’invasione del loro territorio era accompagnata da epidemie letali, per gli Yanomami il religioso che af- frontava le rapide dei fiumi e l’asprezza dei sentieri (continua a pagina 44) DOSSIER MC L’INCONTRO © Daniele Romeo / 2015

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