Missioni Consolata - Maggio 2015

MAGGIO 2015 amico 77 sia un paese piuttosto povero in cui la maggio- ranza della popolazione vive ancora di agricol- tura di sussistenza. In Tanzania hai ritrovato l’Aids? Sì, soprattutto quando ho lavorato a Ikonda, dove c’è il nostro ospedale, ma poi anche nella pastorale quotidiana, anche se la gente fa molta fatica a parlarne. Nelle città la gente ha preso più coscienza del problema e quindi tende molto di più a utilizzare gli strumenti offerti per affrontarlo, come le medicine, il counselling , e questo anche grazie al lavoro fatto dalla Chiesa e dai Missionari della Consolata: penso a Ikonda, al Centro Allamano delle suore Mc a Iringa. Nella zona di Ikonda, credo che almeno un terzo della popolazione sia sieropositiva. La regione di Iringa è quella più colpita. Che lavoro stai svolgendo oggi? Sono amministratore regionale. Mi occupo fon- damentalmente di contabilità. Da un punto di vi- sta pastorale aiuto nella parrocchia della Conso- lata. A Natale e a Pasqua vado in una parrocchia della periferia di Dar Es Salaam. Qual è la difficoltà più grande che incontri? La responsabilità e le problematiche legate al campo amministrativo, anche se il lavoro di per sé non mi pesa. E poi certamente il fatto di aver potuto fare pochi anni di pastorale esclusiva. E quale la soddisfazione? Quella di essere in questo paese da sei anni, e di sentirmi a casa. Puoi raccontare un episodio significativo della tua vita missionaria? Appena arrivato in Tanzania sono stato in un vil- laggio vicino a Morogoro. Ricordo che una bam- bina molto piccola mi prese per mano di sua ini- ziativa, cosa che normalmente non avviene. Mi trascinò in una classe di catechismo, prese uno sgabello e me lo mise lì perché voleva che mi sedessi vicino a lei. È stata una cosa che non mi è mai più capitata. Oggi lo vedo come un pic- colo segno della Grazia e dell’accoglienza di questo popolo. Normalmente siamo noi a essere protesi verso la gente a cui andiamo. Mentre in- vece in questi anni ho scoperto che accade so- prattutto il contrario. Ti senti una persona nor- male: non semplicemente una persona che è lì per loro, ma uno che riceve, e molto di più di quello che riesce a dare. Quali sono secondo te le grandi sfide della mis- sione del futuro? E come pensi che si possano affrontare nel paese in cui vivi? Mi ritrovo in pieno nel programma di papa Fran- cesco: andare alle periferie, uscire, ma perché questo andare sia una fonte di rinnovamento per noi, di semplificazione delle nostre strutture. Per noi in Tanzania questa è una vera e propria sfida: abbiamo creato strutture belle e importanti e che danno un servizio qualificato alla gente, ma dobbiamo fare in modo che non ci venga a man- care lo spirito di andare oltre, per rinnovarci. Che cosa possiamo offrire al mondo come mis- sionari della Consolata? Una cosa che non vedo per nulla scontata nel mondo di oggi è il discorso dello spirito. È bello vedere che noi missionari della Consolata non stiamo insieme solo così, per interessi partico- lari, ma perché tra noi c’è uno spirito: lo spirito di famiglia, la missione, la santità nella vita. Quello che noi missionari della Consolata pos- siamo offrire è di continuare a essere noi stessi: come missionari ma anche come uomini. A me piace molto ritrovarmi con persone con cui ho tanto in comune. Ed è forse quello che un po’ manca in generale: l’umanità tende molto alla disgregazione, o a un’aggregazione attorno a cose che poi ti lasciano poco. Noi lo spirito, per quel che posso vedere, lo abbiamo. Cosa dovremmo fare, secondo te, per avere più impatto nel mondo giovanile? Nel mio piccolo, quando vengo a contatto con i giovani cerco di trasmettere una libertà a partire da quello che io sono. Che frase, slogan, citazione proporresti ai gio- vani che si avvicinano ai nostri centri missionari? Non abbiate paura di essere voi stessi. Luca Lorusso AMICO.RIVISTAMISSIONICONSOLATA.IT © Af M o Turra © Af MC/Marco Turra

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