Missioni Consolata - Maggio 2015

44 MC MAGGIO 2015 dunque difendere la continuità dell’esistenza. Le vite degli animali della foresta, di pesci e tarta- rughe nei fiumi e nei laghi sono sinonimo di più vita umana. La morte o la scomparsa di altre specie si- gnifica mettere a rischio anche la vita umana e l’e- sistenza di un popolo. Per i popoli indigeni la vita umana è inconcepibile senza la diversità di altre vite attorno a essa. Per loro è vitale e unico difen- dere la biodiversità, perché è la garanzia per conti- nuare a esistere sulla terra. Ci sono popoli che sono stati sradicati dal loro am- biente e adesso vagano da un luogo a un altro, senza meta, senza gioia, senza speranza. Altri hanno dovuto adattarsi per sopravvivere. Tutti hanno in comune il sogno di tornare un giorno nella loro terra promessa dove c’è vita in abbondanza. Possiamo qui ricordare la tristissima vicenda dei Guarani Kaiowá, che sono stati espulsi dalle loro terre, in cui abitavano lungo la costa del Brasile e nella parte centrale. Oggi vivono in campi ai mar- gini delle autostrade ( è l’etnia indigena con il più alto tasso di suicidio, ndr )». Sembra che i governi Lula e Dilma abbiano la- vorato per favorire l’agrobusiness (soia, alleva- menti, piantagioni, ecc.) e lo sfruttamento delle risorse naturali (foreste, sottosuolo, ecc.) a dis- capito degli ecosistemi e dei diritti dei popoli in- digeni. Qual è la vostra opinione al riguardo? «Noi avevamo una grande speranza nella piatta- forma di governo del Partito dei lavoratori ( Partido dos trabalhadores , Pt). I valori fondamentali erano l’eguaglianza delle opportunità e la lotta alle dispa- rità che rendono i ricchi sempre più ricchi e i po- veri sempre più poveri. Il Brasile usciva da governi per i quali le privatiz- zazioni rappresentavano l’unica opzione di politica economica. In quel contesto aveva assunto il co- mando del paese prima il governo Lula (dal 2003 al 2010) e poi Dilma (dal 2011). Molte cose buone sono state fatte, ma davanti alle ingiustizie dei grandi ca- pitalisti ci sono state troppe battute d’arresto. In nome della governabilità sono stati concessi spazi ancora più vantaggiosi alle grandi imprese. In nome di una certa idea di sviluppo finiscono per aprire spazi nella legislazione a imprenditori che non si fermano davanti agli ecosistemi, spinti come sono dall’unico desiderio di massimizzare i loro profitti. Pressioni internazionali e dell’oligarchia nazionale rendono il governo debole, non rappre- sentativo e sempre coinvolto in scandali. Questa posizione fa sì che le classi più svantaggiate si sen- tano di nuovo completamente impotenti. La grande delusione, quindi, nasce dal fatto che il partito e i suoi eletti non hanno risposto alle aspettative. Per esempio, realizzare finalmente la tanto attesa ri- forma agraria e garantire i diritti alle popolazioni indigene di questo paese. Purtroppo, niente di tutto questo accadrà e quindi dovremo continuare a lot- tare e a sognare. Oggi il governo Dilma è fortemente legato ai gruppi agricoli, ai grandi proprietari terrieri e ai produttori di monocoltura, come dimostra il curri- culum della nuova ministra dell’agricoltura ( la lati- fondista Kátia Abreu, ndr ). Contando i parlamen- tari evangelici, la camera e il senato federale sono in mano ai rappresentanti dei gruppi politici ed economici che vedono i popoli indigeni e le loro terre come un ostacolo allo sviluppo del Brasile. Nel corso degli ultimi quattro anni, grandi lotte sono state combattute in campo legislativo e giudiziario per abbattere o quantomeno ridurre i principali di- ritti dei popoli indigeni, come ad esempio la garan- zia sulle proprie terre. La Costituzione federale ha festeggiato il suo 27mo anno di promulgazione: con essa, nel 1988, i popoli indigeni cominciarono a essere riconosciuti (articolo 231). È proprio per difendere quanto con- quistato che oggi il movimento indigeno si è orga- nizzato e unito nella lotta».

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