Missioni Consolata - Aprile 2015

MC ARTICOLI # La «moschea dell’imperatore» a Serajevo. ganza ineguagliabile. Gonne plissé , a scacchi neri e bianchi, giacchettine di velluto nero, guanti raffinati, berrettini fran- cesi e l’immancabile ombrello, a meno che non fosse estate. Il tutto indossato con la grazia di una figura alta e snella illuminata da un sorriso ammaliante che nei suoi occhi chiarissimi rifletteva la pace. E non parliamo della sua va- sca da bagno! Era più piccola di quella che aveva mia nonna ma a forma di poltrona e quindi di gran lunga più comoda. Io la adoravo ed era, infatti, teta Vida a fare sempre il bagno alla sua Nanà, come lei mi chiamava. In poche parole, ero la sua prediletta. Abi- tava proprio nell’appartamento di fronte, al primo piano di un pa- lazzo dall’architettura socialista che sorgeva nel cuore di Sarajevo. A pochi passi, il mondo intero: la cattedrale cattolica, quella orto- dossa, la moschea tra le più anti- che della città e la sinagoga. In- somma, una Gerusalemme in mi- niatura! Attorniate poi da un’infi- nità di palazzi di tutte le epoche: turco-ottomana, austroungarica, socialista. Ma se questo mondo io lo vedevo all’esterno, è dentro casa nostra che lo percepivo nelle sue es- senze. Sento ancora negli occhi i loro sorrisi, vedo ancora le parole scorrere sulle loro labbra quando vengo distratta dal forte picchiare sulla porta di un bastone. Eh sì, era teta Anita, una professo- ressa di geografia in pensione, profonda- mente devota alla propria tradizione ebraica e al- trettanto incuriosita da tutte le altre. Un essere tanto ingom- brante nella propria fisionomia quanto delicato nel modo di par- lare: «Queste sono un dono raro, che non ti venga in mente di sfoltirle quando sarai grande!», mi diceva sempre, accarez- zando delicata- mente le mie folte sopracciglia. Scesa dal quarto piano dello stesso palazzo, questa alquanto insolita vicina di casa, a volte, in segno di un saluto, pic- chiava sulla porta e se ne andava via, fuori, a farsi la sua lenta pas- seggiata quotidiana. Ma se pic- chiava più di due volte, voleva dire che anche lei era lì per un caffè e due parole. Ed ecco che mi ritrovavo il mondo intero in casa nostra ogni sabato mattina. Quattro culture, o cinque o sei, tra origini, idee, convinzioni e In collaborazione con I l concorso letterario nazionale Lingua Madre , ideato da Da- niela Finocchi, giornalista da sempre interessata ai temi ine- renti il pensiero femminile, nasce nel 2005 e trova subito l’approva- zione e il sostegno della Regione Piemonte e del Salone Internazio- nale del Libro di Torino. Il concorso è il primo a essere espressamente dedicato alle donne straniere - anche di seconda o terza generazione - residenti in Ita- lia che, utilizzando la nuova lingua d’arrivo (cioè l’italiano), vogliono ap- profondire il rapporto fra identità, radici e mondo «altro». Una sezione speciale è riservata alle donne italiane che vogliano raccontare storie di donne straniere che hanno conosciuto, amato, incontrato e che hanno saputo trasmettere loro «altre» identità. Il concorso letterario vuole essere un’opportunità per dar voce a chi abi- tualmente non ce l’ha, cioè gli stranieri, in particolare le donne che nel dramma dell’emigrazione/immigrazione sono discriminate due volte. Un’opportunità di incontro e confronto, perché il bando non solo am- mette ma incoraggia la collaborazione fra le donne straniere e italiane nel caso l’uso della lingua italiana scritta presenti delle difficoltà. (da www.concorsolinguamadre.it ) Per gentile concessione del Concorso letterario nazionale Lingua Madre pubblichiamo il racconto di: S abIna G aRDovIC , C UBETTI DI ZUCCHERO , dal libro «Lingua Madre Duemilaquattordici - Racconti di donne stra- niere in Italia», Edizioni SEb27. Il racconto di Sabina Gardovic è stato se- lezionato al IX Concorso letterario nazionale Lingua Madre . Bjoertvedt

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