Missioni Consolata - Novembre 2014

«N on dire mai non tocca a me, perché tocca a tutti». L’Allamano lo racco- mandava anche ai missionari par- tenti, come un lascito importante, una di quelle cose da mettere in valigia, magari al- l’ultimo momento, ma da non dimenticare assoluta- mente. «Dobbiamo essere tutti uniti fra noi», inte- ressandoci delle cose comuni, superando la menta- lità di chi si vede realizzato solo ed esclusivamente nel compito che gli viene dato. Parafrasando un esempio da lui fatto: il gas lasciato acceso è un peri- colo per la casa, forse nessuno è stato incaricato di spegnerlo, e allora che cosa si fa? Ci si adopera in un’azione preventiva o si aspettano i pompieri per- ché tanto «tocca a loro»? Oggi, sta purtroppo diventando stereotipata l’im- magine del religioso accomodato nella sua vita e, proprio per questo motivo, accomodante nei con- fronti di tutto ciò che minaccia la vita del Regno. Il ripetere «non tocca a me» ammazza lo spirito stesso della vita religiosa che presuppone la sequela di qualcuno, Cristo, che ha rifiutato la tentazione del «passi da me questo calice» per farsi carico, re- sponsabile fino in fondo della missione affidatagli. Giuseppe Allamano, che vedeva nella vocazione missionaria la perfezione di quella religiosa e sacer- dotale, non tollerava spiriti tiepidi, non desiderosi di dare il 101% alla causa del Vangelo. Non si può non leggere nella pillola di questo mese il desiderio profondo di vedere una cristianità con le maniche rivoltate, pronta a offrire impegno, creati- vità e testimonianza in tutti gli aspetti della vita in comune. «Tocca a me» partecipare della vita poli- tica del mio paese, contribuire a migliorare l’educa- zione dei figli, creare modelli di convivenza pacifici e solidali sul territorio, inventare strategie di econo- mia sostenibile o scegliere che tipo di ambiente vo- glio lasciare a chi verrà dopo di me. È un’illusione pensare che il girare la testa dall’altra parte lasci le cose come stanno. Sul lungo termine le cose peggiorano e s’incancreniscono, così come i cuori diventano più aridi, incapaci di dare, di aprirsi all’altro, di creare qualcosa di nuovo. Nella sua famosa «Lettera ai giudici», Don Milani ri- cordava questo come uno dei principi fondanti della sua pedagogia: «Su una parete della nostra scuola c’è scritto grande I care . È il motto intraducibile dei giovani americani migliori. “Me ne importa, mi sta a cuore”. È il contrario del motto fascista “Me ne frego”». Di sicuro, per il priore di Barbiana il princi- pio era irrinunciabile e rimaneva valido anche di fronte alla tentazione di una vita più comoda, ma meno realizzante: «Stasera ho provato a mettere un disco di Beethoven per vedere se posso ritornare al mio mondo e alla mia razza e sabato far dire a Rino: Il priore non riceve perché sta ascoltando un disco . Volevo anche scrivere sulla porta I don’t care più , ma invece me ne care ancora, molto.» (Lettera di Don Milani a Francuccio Gesualdi, 4 aprile 1967). Ugo Pozzoli O ggi, purtroppo, si avverte infatti un cre- scente disimpegno a vari livelli. La persona ne accusa le conseguenze, senza però ren- dersi conto del ruolo che lei stessa potrebbe positivamente giocare, o senza forse avere il corag- gio di fare il primo passo per dare alle relazioni un indirizzo differente. La famiglia è il primo ambito in cui tale disimpegno appare evidente e tale feno- meno assume aspetti devastanti, per le ripercus- sioni che si hanno in molti altri ambiti. La scuola sente il disimpegno della famiglia, così come la co- munità cristiana, ecc. Tutti gli ambiti educativi sono coinvolti e ciascuno reclama un’attenzione mag- giore dell’altro, mettendo a nudo un circolo, questa volta decisamente vizioso, da cui sembra impossi- bile uscire. Per contro, bisogna anche sottolineare una certa reazione a questo modo diffuso di interpretare la vita. Da poco l’Istat ha pubblicato uno studio sul vo- lontariato oggi in Italia, evidenziando come, nono- stante notevoli differenze fra una zona e l’altra del paese, il tasso percentuale di persone impegnate in attività di volontariato sia oggi aumentato notevol- mente. Sono più di 6 milioni gli italiani di età supe- riore ai 14 anni che hanno svolto nel 2013 un’atti- vità di volontariato. Oltre 4 milioni di essi lo ha fatto in collaborazione con organizzazioni di vario tipo, mentre i restanti hanno prestato servizio diretta- mente, in maniera indipendente, a favore di altre persone, di comunità o dell’ambiente. Il tasso di vo- lontariato è oggi pari al 12,6 per cento della popola- zione, ovvero un italiano su 8. Dà speranza a pen- sare che nel 1993 il tasso era del 6,9 per cento e raggiungeva il 10% nel 2011. Dati incoraggianti che ci dicono che esiste dunque una via per interpretare la realtà in modo diffe- rente; il cristiano dovrebbe esserne innanzitutto co- sciente e saperla indicare a tutti in modo chiaro e luminoso. Nel Vangelo, infatti, la logica del rapporto padrone dipendente viene spezzata per sempre. L’uomo è figlio, non servo. Partecipa degli utili «chiunque avrà lasciato case, o fratelli, o sorelle, o padre, o madre, o figli, o campi per il mio nome, ri- ceverà cento volte tanto e avrà in eredità la vita eterna», Mt 19, 29, ma è anche chiamato a farsi ca- rico degli oneri. In particolare, deve condividere la «politica aziendale» ed essere pronto a sacrificarsi per i beni di famiglia («se qualcuno vuol venire die- tro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua», Lc 9, 23). Il cristiano è invi- tato a essere coerede del creato di cui è parte, ma di cui è anche custode responsabile, project mana- ger del lavoro di redenzione di Dio. Ciò significa imparare a dire dei sì e dei no, significa assumere delle responsabilità sentendosi piloti e non passeggeri della propria vita e di quanto ci cir- conda. Le famiglie (o le comunità religiose, a cui Giuseppe Allamano si rivolgeva direttamente) sono ottimi banchi di prova per vedere se uno cresce in questa dimensione o se rimane fermo a mercificare diritti e doveri cercando di farli quadrare in bilancio, riuscendo magari pure a guadagnarci qualche cosa. Pillole « Allamano» 36 MC NOVEMBRE 2014

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