Missioni Consolata - Agosto/Settembre 2014

tuata a rapporti sessuali» e, di conseguenza, non vi sarebbe stata alcuna violenza perché la vittima non era illibata. Il verdetto passò inosservato per diversi anni fino a quando alcuni professori dell’Università di Delhi lo contestarono gettando le basi per una prima riforma di legge sullo stupro varata nel 1983, se- condo cui l’atto sessuale senza il consenso della donna è un cri- mine. La norma rivoluzionò il modo di porsi delle donne indiane all’in- terno della società: l’attivista per i diritti femminili Lotika Sarkar fondò il Forum Against Rape (Foro contro lo stupro) e il Centre for Women’s Development Stu- dies (Centro studi per lo sviluppo delle donne), due istituzioni che negli anni seguenti sarebbero stati dei fari cui i movimenti di emancipazione femminile avreb- bero guardato. Le cuginette dalit Mathura venne subito dimenti- cata ed oggi vive con il marito e i suoi figli in un villaggio poco di- stante da Desaiganj, pressoché ignara di quello che il suo gesto ha significato per l’India. È vero, come afferma la giornalista e scrittrice Nilanjana S. Roy in un articolo apparso sul quotidiano The Hindu , che «nessuna legge al mondo ha mai fermato gli stupri, così come nessuna legge al mondo ha mai fermato gli assas- sini. Ma leggi migliori, assieme a cambiamenti politici e sociali hanno contribuito a far diminuire sia le violenze sessuali e gli omi- cidi in diversi paesi». Nella vita pratica delle donne in- diane nulla o quasi cambiò sino a quando, quarant’anni più tardi, a Delhi, un altro fatto sconvolse l’o- pinione pubblica femminile. Il 16 dicembre 2012 Jyoti Singh Pan- dey, una studentessa di medicina di 23 anni, dopo aver visto il film Storia di Pi al centro commerciale Select Citywalk di Delhi salì su un autobus con il suo ragazzo per tornare a casa. Con loro viaggia- vano cinque persone, tutte ami- che dell’autista e ubriache. A un certo punto l’automezzo si fermò e, immobilizzato il ragazzo, a turno i sei amici seviziarono Jyoti. Una volta appagati i loro piaceri, lasciarono le loro vittime agoniz- zanti in mezzo alla strada. Jyoti morì dopo due settimane a Singa- pore, dove nel frattempo era stata trasferita, a causa delle fe- rite infertele durante lo stupro. Fu la classica goccia che fece tra- boccare il vaso: in poche ore mi- gliaia di persone scesero in piazza per sensibilizzare l’opinione pub- blica sulla condizione della donna in India. Anche in questa occa- sione le forze di polizia dimostra- rono la loro insensibilità: anziché limitarsi a controllare che tutto si svolgesse in modo pacifico (come in effetti fu), improvvisamente cominciarono a contrastare i ma- nifestanti con brutalità e spaval- deria, giungendo anche a manga- nellare con violenza le stesse donne. La stessa brutalità e arroganza è stata usata, in modo più dramma- tico, a Katra Sadatganj, un villag- gio dell’India Nord orientale dove, nel maggio 2014, due cu- gine dalit di 14 e 15 anni sono state trovate impiccate a un al- bero dopo essere state ripetuta- mente violentate. Anche in que- sto caso, tra le sette persone ac- cusate, vi sono due poliziotti. In una intervista alla Bbc la scrit- trice Arundhaty Roy afferma che «esercito e polizia utilizzano re- golarmente lo stupro come arma contro la popolazione nel Chhat- tisgarh, Kashmir, Manipur». un fenomeno nuovo nella società indiana. Anzi, si potrebbe dire che, da qualche anno a questa parte, l’India ha cominciato a strappare qualche velo che na- scondeva agli occhi della nazione un problema di cui tutti erano al corrente ma di cui nessuno par- lava. E, forse proprio per questa apertura sociale e l’accresciuto interesse dei media, è scoppiato il «fenomeno» stupri: non ce ne sono di più, ma se ne parla di più. In realtà, la prima grande svolta nella visione della violenza sulle donne la si ebbe già nel 1972 quando un’adolescente di 14-16 anni di nome Mathura venne vio- lentata da due poliziotti nel villag- gio di Desaiganj, nello stato del Maharashtra. Mathura, oltre a essere orfana di entrambi i geni- tori, era una adivasi 1 , il che la po- neva in una posizione di assoluta inferiorità nella complicata gerar- chia castale indiana. Per mante- nere il fratello maggiore si prodi- gava come domestica presso una casa privata dove incontrò Ashoka, nipote della padrona, il quale la chiese in sposa. Avrebbe potuto essere una normale storia d’amore se il fratello di Mathura non si fosse opposto al matrimo- nio e, per impedirlo, non avesse denunciato Ashoka per aver ra- pito la sorella. La questione venne chiarita senza problemi presso il locale commissariato, ma quando tutti i protagonisti della vicenda se ne stavano tor- nando a casa, i gendarmi trova- rono una scusa per trattenere Mathura. E fu lì, proprio tra le mura che avrebbero dovuto di- fendere la legge, che la ragazza subì gli stupri dei due poliziotti in servizio. Nonostante la giovane età e la sua condizione sociale, Mathura fece una cosa che nessuno, prima d’allora in India, aveva osato fare: denunciò i suoi stupratori. Il processo fu, come ci si poteva aspettare, una farsa: i due agenti vennero assolti perché la corte non credette a Mathura. Troppo giovane, povera e illetterata per- ché le sue parole potessero avere sufficiente autorevolezza. Inoltre la sentenza di assoluzione stabi- liva che la ragazza «era già abi- INDIA 10 MC AGOSTO-SETTEMBRE 2014

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