Missioni Consolata - Ottobre 2013

64 MC OTTOBRE 2013 Devo dire che vivendo e approfondendo il mio cam- mino di fede, sentivo crescere dentro di me il deside- rio di farmi suora e di donarmi totalmente al Signore. Avevo paura a manifestare questi miei sentimenti per- ché pensavo che il colore della mia pelle fosse un ostacolo insormontabile. E invece? Quando manifestai questa mia intenzione, fui accolta a braccia aperte dalle care sorelle dell’Istituto Figlie della Carità fondato da Maddalena di Canossa per aiu- tare i bambini più poveri e analfabeti a elevarsi cultu- ralmente e spiritualmente mediante l’istruzione sco- lastica. Dopo tre anni di noviziato, l’8 dicembre 1896 pronunciavo i voti religiosi di povertà, castità e obbe- dienza. L’allora patriarca di Venezia, il Cardinale Giu- seppe Sarto, il futuro Pio X, dopo avermi esaminata e interrogata lungamente, mi incoraggiò nella mia vo- cazione e mi disse: «Gesù vi vuole. Gesù vi ama; voi amatelo e servitelo sempre così». Dopo i voti venni mandata nella comunità di Schio, Vicenza, dove rimasi per quarantacinque anni e lì svolsi qualsiasi lavoro mi veniva richiesto: lavoravo in cucina, lavavo la bianche- ria, accudivo la portineria, imparai anche a ricamare. Dì la verità: ti guadagnasti la stima di tutti per la tua bontà, la tua dolcezza di carattere e la cordialità con la quale accoglievi i poveri e so- prattutto i bambini che frequentavano le scuole del vostro Istituto. I bambini mi chiamavano la «madre moretta», a loro raccontavo tante fiabe della mia terra. La mia storia, il fatto che ero stata venduta come schiava ed ero ap- prodata alla vita religiosa, si sparse in un baleno dap- pertutto e venni invitata in diverse città italiane a dare testimonianza della mia vita, della mia conversione e della mia vocazione. Immagino che fu abbastanza pesante questo continuo andare su e giù per l’Italia. A chi ve- niva ad ascoltarti cosa dicevi? Un messaggio molto semplice: «Siate buoni, amate il Signore, pregate per quelli che non lo conoscono. Sa- peste che grande grazia è conoscere Dio». Con quella consapevolezza che si accresceva di giorno in giorno, io stessa avrei voluto tornare tra la mia gente per far conoscere a tutti il grande amore che Dio ha per noi. Bakhita rimase in Italia fino alla sua scomparsa. Nel 1943, con la sua comunità, pur nei difficili anni della seconda guerra mondiale, festeggiò i cinquant’anni di vita religiosa. Col passare degli anni, un’artrite defor- mante e una bronchite asmatica riempirono la sua esistenza di dolori fisici. Pur nella malattia, negli ul- timi anni della sua vita, non si lamentava mai; a chi le chiedeva come stava, rispondeva in dialetto veneto: «Come vol el Paròn». Questa frase non esprimeva rassegnazione, era espressione genuina della sua te- stimonianza di fede, bontà e speranza cristiana. Si spense l’8 febbraio 1947. La sua comunità religiosa e la gente di Schio si strinsero attorno a lei per un ul- timo atto di venerazione. Tutti volevano vedere la «madre moretta» prima della sepoltura. La fama della sua santità si diffuse rapidamente a macchia d’olio, dando vita a una devozione popolare e sincera, sia in Italia che in Africa. Giovanni Paolo II l’ha iscritta nell’albo dei santi il 1° ottobre del 2000. capitale, e in altri centri urbani del Sudan, invocando il rinnovamento della «vera fede» (ovviamente quella islamica), la liberazione della terra sudanese e il ri- torno alle strutture di governo previste dal Corano. I suoi seguaci raggiunsero un numero ragguardevole e Ahmad si proclamò nel 1881 Mahdi, cioè redentore dell’Islam, che la tradizione islamica vuole debba comparire verso la fine dei tempi per ripristinare il primitivo puro Islam. Quindi ci fu una guerra? Sì, inglesi ed egiziani si opposero al Mahdi e ci furono diverse battaglie con esiti incerti, le sorti erano favo- revoli ora all’uno ora all’altro fronte, ma questa situa- zione critica, violenta, piena di odio verso i colonizza- tori europei, specialmente gli inglesi, portò il funzio- nario italiano alla decisione di lasciare Khartum e di ritornare in Italia. E tu immagino che seguisti la famiglia del Console italiano? Sì. Decisi di seguire quella che ormai consideravo la mia nuova famiglia, ma il Console mi mandò al servi- zio di un amico suo, Augusto Michieli, perché facessi da baby-sitter alla figlioletta Alice (Mimmina). In Italia dove vi stabiliste? Ci stabilimmo dapprima a Genova, poi nel Veneto, dove i Michieli avevano diverse ville. Io accudivo sem- pre Alice e passavo con lei molto tempo, seguendola anche nel catechismo che lei frequentava dalle Suore. I Michieli, avendo da curare i propri affari anche in Africa, ritornarono diverse volte in quel continente, con me sempre al seguito. In uno di questi viaggi i co- niugi andarono da soli e io rimasi ospite nel catecu- menato delle Suore Canossiane a Venezia. E lì che successe? Dopo nove mesi la signora Michieli venne a reclamare i suoi diritti su di me. Mi rifiutai di seguirla nuova- mente in Africa, al che la signora perse completa- mente le staffe. Nella diatriba che seguì, intervenne anche l’allora patriarca di Venezia, cardinal Agostini, e il procuratore del Re, il quale mandò a dire alla si- gnora che in Italia non c’era più la schiavitù, io ero una persona libera e potevo prendere la strada che volevo. Proprio come una persona libera? Sì. Mi sentivo una persona completamente nuova, di- versa, dopo molte vicissitudini e dopo aver provato le sofferenze più terribili, tra cui la schiavitù, ero final- mente una ragazza libera; era il 29 di novembre 1889. E che facesti allora? Completai la mia formazione cristiana e il 9 gennaio 1890 ricevetti dal patriarca di Venezia battesimo, cre- sima e prima comunione. In quell’occasione mi venne dato il nome di Giuseppina Margherita e Fortunata, che è la traduzione italiana del nome arabo Bakhita. Chissà che giornata meravigliosa fu quella! È vero. Da schiava negra ignorante diventavo figlia di Dio. Un’esperienza incredibile di libertà interiore, che sono incapace di descrivere, ma che riempiva il mio animo di una grazia e delicatezza che non avevo mai sperimentato. Provavo la gioia di essere una donna li- bera, amata da Dio e una cristiana che cercava di vi- vere il Vangelo di Gesù. Avevo un solo dispiacere: non avere nulla da offrire al Signore in cambio di tutti i doni che mi aveva fatto. Fu in quel periodo che sentisti dentro di te la vocazione di consacrarti totalmente a Gesù? 4 chiacchere con...

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