Missioni Consolata - Agosto/Settembre 2013

non avevo alcuna intenzione di fare». Storie simili, piene di fru- strazione, voglia di andar via. Ma come? Pais, congolese: «Dove posso an- dare? Non ho nemmeno il denaro per il biglietto del bus. Non posso uscire dall’Italia perché il per- messo che ho me lo impedisce». RIFUGIATO PARCHEGGIATO Ma se la guerra è stata l’origine, l’evoluzione successiva in Italia è ancora più inquietante. Molti rac- contano di essere stati mandati in luoghi sperduti, in mezzo alle montagne per mesi, dove passa- vano le loro infinite giornate senza far nulla, in attesa del pranzo, della cena, della notte. Centinaia di milioni di euro spesi così, tra corsi di italiano fasulli, creste all’italiana, volontari but- tati in prima linea che tampona- vano le volute falle dell’Emer- genza Nord Africa con ampie dosi di sacrifici personali. E loro, i profughi, divenuti dopo mille peripezie burocratiche, ri- fugiati a tempo determinato, a seconda del paese di nascita, presi in mezzo, rimbalzati da un posto all’altro. Interi hotel, an- che fatiscenti e abbandonati da anni, sono stati «messi a dispo- sizione» dello stato che spesso li ha usati come parcheggi. Tutto questo carosello è terminato il primo marzo, allo scadere del progetto ministeriale, quando a buona parte dei profughi giunti è stato riconosciuto il diritto all’a- silo temporaneo e un assegno di cinquecento euro è entrato nelle loro tasche: «Ognuno si arrangi come preferisce». C’è chi li ha spesi in un giorno, chi li ha cen- tellinati, chi non ha nemmeno capito subito cosa fosse quel pezzo di carta che riceveva. ITALIA 62 MC AGOSTO-SETTEMBRE 2013 Racconta Noasarda, ventiquattro anni, del Burkina Faso: «Non sa- pevo dove andare e cosa fare, così ho iniziato a vagare per To- rino con l’assegno in tasca. Man- giavo alla Caritas, dormivo per strada. Ho cercato qualsiasi tipo di lavoro ma ne ho trovato po- chissimo. Essere neri è ancora un ostacolo insormontabile. I soldi che mi hanno dato non li ho ancora finiti, a differenza di molti miei compagni. Poi ho saputo di questo posto e sono venuto». Il resto è la quotidianità. Il tempo passa per tutti lentamente e senza speranza. L’assenza di la- voro, di qualsiasi tipo, anche il più umile e peggio pagato, porta a forme di depressione collet- tiva, alienazione, frustrazione. Il tempo per questi uomini sembra infinito. Non solo. L’idea balzana secondo cui non esiste nessun tipo di diritto, o dovere, ma tutta la vita passa attraverso il favore concesso dall’autorità di turno, o sedicente tale, dilaga. A questo si devono unire le difficoltà det- tate da una convivenza spesso complicata, gestita da giovani volontari aderenti ad alcuni cen- tri sociali torinesi, che con im- menso spirito di sacrificio ren- dono un servizio alla collettività. Viene da domandarsi cosa sarà di queste persone quando i loro status temporanei da rifugiati scadrà. Verrà riconosciuto un al- tro lasso di tempo? Diverranno clandestini? I rifugiati al mo- mento sono regolari, ma senza il riconoscimento della residenza difficilmente potranno rinnovare il permesso di soggiorno che per moltissimi scadrà entro la fine dell’anno. Nonostante un dove- roso ottimismo, la situazione ri- mane molto grave. Maurizio Pagliassotti vano corrisposti all’associazione circa 40 euro al giorno. Continua Omar: «I sacrifici che ho fatto, e con me la mia famiglia che ha sostenuto i miei sforzi, non li ho fatti per venire in Italia a fare il mendicante. Il mio obiettivo era andare a lavorare in Libia perché è un paese africano in forte crescita economica. E così ho fatto. Facevo il carpentiere e il lavoro non man- cava mai. Guadagnavo bene, an- che mille dollari al mese. In Libia più lavoravi più guadagnavi, e a me andava bene così. Poi, un giorno, è scoppiata la rivoluzione. Sembrava dovesse durare poco, ma poi sono arrivati i bombarda- menti Nato e io sono scappato su un barcone. Non volevo tornare in Senegal, dove non c’è lavoro né la possibilità di migliorare la propria vita. Cosa dovevo fare? Così ho speso quasi tutti i miei soldi per venire in Italia». E come lui Seko, venticinquenne, senegalese, Mohammed, venti- quattro anni del Burkina Faso e centinaia di altri. Dicono: «L’Italia, e in genere la comunità occiden- tale, ha supportato i bombarda- menti che hanno distrutto la mia vita. Questo implica una respon- sabilità morale da parte di chi mi ha imposto un viaggio in Italia che # Sopra : un ragazzo si iscrive al corso di inglese. # A fianco : migranti negli spazi dell’ex Villaggio olimpico adibiti ad aule scolastiche.

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