Missioni Consolata - Luglio 2013

1. Cesare Augusto, attraverso il suo procuratore Pilato, esercita un dominio che ha usurpato. / Gesù si pone su un altro piano e non contesta Pilato, il quale invece, sentendo odore di «pe- ricolo», indaga per scongiurare qualsiasi equivoco. 2. Il procuratore romano, in nome di Cesare, riceve Gesù nel pretorio, cioè nel luogo simbolo del potere imperiale, da dove esercita il suo potere, sedendo «in tribunale, nel luogo chia- mato Litòstroto , in ebraico Gabbatà » (Gv 19,13). / Gesù si è lasciato condurre e sballottare dai soldati dipendenti del tempio e ora resta in balia dei soldati romani che usano la forza e la violenza come metodo ordinario di tortura e sevizia. 3. Cesare Augusto va fiero delle sue legioni, immagine stessa di Roma, con le quali va alla conquista del mondo per imporre il suo ordine e la « pax romana » che è sudditanza, spogliazione e tasse a favore dell’occupante. / Gesù che dovrebbe essere il prigioniero e condannato, sta in mezzo, e tutto il potere nega- tivo (Romani e Giudei) ruota attorno a lui. 4. Senza i soldati, Cesare è nulla e non avrebbe alcuna autorità perché il suo potere si basa solo sulla forza, cioè sull’esercito e quindi sul dominio. / Gesù è disarmato e ha due soli stru- menti: la parola e il silenzio con cui fronteggia quello che si crede il potere. Su questo ultimo punto, Gesù è chiaro e senza equi- voci, perché è la sintesi di tutto: «L a mia regalità non appartiene a questo ordine di cose» . La prova di que- sta «diversità» sta nel fatto che non si presenta a Pi- lato con un esercito per difendere il suo diritto regale, né si oppone ai soldati con altri soldati. DIO IMPOTENTE E SENZA FORZA Il «senso di onnipotenza» non appartiene alla logica di Gesù; egli non riconosce alla forza, tanto meno alla violenza, la dignità di strumento regale o di autorità. Egli è un re che si pone su un altro piano, un livello che Pilato non può capire e non capisce; nemmeno «i Giudei» capiscono e, infatti, fanno confusione fino ad arrivare alla falsità e all’omicidio pur di togliere di mezzo uno di cui non conoscono nulla, se non il peri- colo che rappresenta per il loro potere. Sta tutta qui la differenza: il potere del «cesare di turno» usa la forza e la violenza e impone se stesso con le armi e la soppressione della libertà, perché oc- cupa e domina esteriormente. Il potere di Gesù è mite, si accosta con dolcezza a ogni singola persona e si rivolge alla coscienza per svegliarla, se dorme, o per rafforzarla, se veglia. Egli rifiuta violenza e forza come strumenti di regalità fino al punto di subire vio- lenza fino alla morte, fallendo apparentemente, ma senza mai rinnegare la propria «modalità» di essere regale. Per questo e solo per questo può essere «uni- versale», cioè, non si assomma ai regni della terra e al tempo stesso si estende a tutti i popoli fino agli estremi confini dell’umanità (cf At 1,8), cioè fin dove c’è una persona con una coscienza attenta e attiva. Il regno di Cristo non può essere, infatti, una gestione diretta del potere politico, economico e sociale, ma la convocazione di ogni singola persona alla correspon- sabilità del servizio come dimensione del «Regno di Dio». L’autorità di Cristo non esige tassazione e impo- sizione di tributi, non comporta presenza fisica di do- minio con strutture opprimenti. Se così fosse, avrebbe bisogno di militari per imporre e mantenere nel tempo il dominio del suo potere, la sottomissione dei popoli dominati. C’è in Luca un esempio illuminante a riguardo. Un tale ha problemi di divisione di eredità col fratello e chiede a Gesù di intervenire ma Gesù ri- sponde: «O uomo, chi mi ha costituito giudice o me- diatore sopra di voi?» (Lc 12,13-14). Anche questo semplice racconto è nella linea dell’esercizio del po- tere: Gesù ne rifiuta l’esercizio come è svolto dagli uo- mini, come è strutturato nell’ordinamento umano. LA COERENZA DI GESÙ Due fratelli non avrebbero dovuto nemmeno porsi il problema; se ricorrono a un estraneo è segno che qualsiasi intervento di qualsiasi potere non potrà più risanare la frattura che si colloca a livello interiore, nemmeno se risolve in modo equo la questione mate- riale dell’eredità. Al tempo di Gesù, l’eredità non po- teva essere frantumata per cui solo il maggiore eredi- tava l’intero, mentre il fratello minore ereditava un terzo, in linea teorica, ma ricevendone l’usufrutto. Forse è il minore che si rivolge a Gesù (sulla que- stione v. P. Farinella, Il Padre che fu madre , Gabrielli editore). Gesù distingue nettamente tra due «mondi» o «ordinamenti» che diventano due prospettive, due opposizioni, due visioni di vita e di destino. Il mondo di Cesare è «questo mondo/ordinamento» in forza del quale egli comanda, prende, impone. La logica di Gesù non è «di questo mondo/ordinamento», cioè proviene «dall’alto» (Gv 8,23), da un’altra dimensione, cioè, da un altro progetto di vita. Gesù non si è adeguato al mondo del suo tempo, e tanto meno alla sua logica; se fosse stato un uomo di buon senso, se si fosse preoccupato di rapportarsi con le autorità «in modo istituzionale», ne avrebbe ac- cettato anche la logica e si sarebbe posto a livello di Cesare, ma egli viene «dall’alto» e resta in alto e non scende in basso, ma chiama chi vuole seguirlo a salire in alto: egli promuove, non mortifica e non umilia. Cristianesimo ed egoismo non possono coesistere, così come Cristianesimo e interesse personale sono antitetici. I credenti in Cristo gestiscono il potere, ma con criteri assolutamente disinteressati, avendo a cuore i destini dei poveri e degli emarginati in forza della prospettiva delle Beatitudini di quanti la società mette al bando (cf Mt 5,1-9). È un capovolgimento to- tale della prospettiva. È una contestazione radicale di quanto il mondo ha acquisito come proprio « specifi- cum ». È il rifiuto intimo del modo di vedere, di giudi- care e di scegliere: «La mia regalità/il mio regno non è di questo mondo» significa che non ha come obiet- tivo il dominio, ma la coscienza consapevole e libera delle persone che servono i propri simili con gli stessi sentimenti di Dio, in forza del principio paolino: «Por- tate i pesi gli uni degli altri» (Gal 6,2; cf Fil 2,1-8). È l’affermazione che Dio è «servo», non più onnipo- tente. Rifiutando l’esercito e la difesa, Gesù veste la sua nudità di non-violenza come statuto del suo es- sere e afferma un nuovo ordine di cui i suoi discepoli devono essere portatori sani e profeti consapevoli. In altre parole, la distinzione tra Gesù e Cesare non è solo una questione di competenze o ruoli d’influenza, come generalmente si usa, sbagliando, l’altra espres- sione (date a Cesare... date a Dio), ma si tratta di pre- LUGLIO 2013 MC 33 MC RUBRICHE Rendete a Cesare - 5

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