Missioni Consolata - Luglio 2013

di Gigi Anataloni EDITORIALE LUGLIO 2013 MC 3 Ai lettori DI VIAGGI E INCONTRI... E ANCHE DI CRESIMA E CANI S iamo un po’ tutti nomadi nel cuore. Emancipati dal vincolo dell’agricoltura di sussistenza che ci legava indissolubilmente alla terra, abbiamo riscoperto quello spirito nomade che fa parte del nostro Dna ancestrale. Che siano le uscite del fine settimana, le vacanze esti- ve o quelle invernali, sentiamo il bisogno di muoverci, di uscire, di conoscere, di vedere: sempre più in là, sempre più oltre. Per tantissimi invece muoversi non è una scelta, ma una ne- cessità: emigrare o morire. Interi popoli si muovono ancora oggi per questo. Per noi Italiani è la fuga dei cervelli. Ma questo è vero non solo per noi: quanti immigrati approdati sulle nostre co- ste hanno titoli universitari che non possono investire nei loro paesi! C’è invece chi si muove per piacere e conoscenza. Un paio di secoli fa solo i ricchi potevano per- mettersi il lusso di grandi viaggi, di esplorazioni avventurose. La gente normale vi partecipava leggendone i libri. Così gli africani hanno conosciuto i primi bianchi: esploratori, gente che anda- va in giro apparentemente senza una meta precisa, wazungu appunto (quelli che vanno in giro), come dicono in kiswahili, la lingua franca dell’Africa dell’Est. Oggi invece è turismo di massa. Con un aereo si arriva agli antipodi in poche ore. Il mondo è alla portata di tanti. Quale incredibile occasione di incontro, confronto e conoscenza, di creare nuove relazioni, di aprire i propri orizzonti, di amare la mirabile varietà di facce della razza umana, di incontrare persone vere. Eppure... quante occasioni perdute, quanta superficialità, quanta fretta, quanti abusi e incomprensioni. Ci si incontra e non ci si conosce; non ci si conosce e non ci si capisce; non ci si capisce e non ci si ama. Dopo il viaggio restano i soliti stereotipi e le foto da mostrare agli amici: io nel villaggio, io col leone, io col vestito afro, io con le treccine a foggia indigena, io al mercato. Gli amici si annoiano e non è cambiato niente. Diventassero i nostri viaggi occasione per conoscerci di più, quanti pregiudizi potrebbero cadere. Si avrebbe il piacere di scoprire che siamo tutti «uomini» e non bestie strane o alieni, nemici o minacce. Smetteremmo forse di parlare per slogan: «Gli africani sono tutti..., gli albanesi, i ro- meni, i napoletani, i romani...». Gli africani? Quali africani? Quelli del Marocco o del Sudafrica? I pastori Maasai o gli agricoltori Kikuyu? I Pigmei dell’Ituri o i Boscimani del Botswana? Noi stessi non amiamo essere classificati con generalizzazioni, soprattutto se negative. Non vale lo stesso per gli altri? Verrà il giorno in cui parlando dei nostri vicini potremo dire «il mio amico Li», inve- ce de «i cinesi»; «il signor Ali» invece de «i marocchini», «la mia vicina Klodiana» invece de «gli Albanesi»? Sì, può venire. Basterebbe cominciare da cose semplici: farci un amico nuovo ogni volta che andiamo in un posto nuovo e scambiarci qualche buona ricetta; imparare una breve preghiera in lingua locale e magari andare a messa insieme nella parrocchia del posto; conosce- re un po’ della storia e cultura. Forse basterebbero solo fantasia e cuore. S tavo scrivendo queste poche righe, quando una suora è arrivata trafelata con un biglietti- no in mano: «In occasione della mia S. Cresima ho voluto fare un gesto di amore donando al posto della bomboniera, pappa e cure ai miei amici a 4 zampe». «Non ho dormito tutta la notte», mi ha detto. «Come è possibile dopo cinque anni di catechesi? Cosa hanno capi- to? E siamo in un quartiere dove oltre un terzo della popolazione è a rischio di sfratto, ma con tantissimi cani e ben curati. Abbiamo parlato con loro di servizio, di carità, di accoglienza, di con- divisione. E mi fanno la “cresima per i cani”! Devi scrivere qualcosa». Cara sorella, che scrivo? Lo sa che non è politicamente corretto dire che prima vengono le per- sone e poi i cani e che se i cani stanno male è perché gli uomini stanno peggio. Forse potrei solo constatare che è meno impegnativo risolvere i problemi dei cani che quelli degli uomini. Papa Francesco ha detto ( il 5/6/2013 ) che c’è bisogno di una ecologia umana, perché «la persona umana è oggi in pericolo, ... sacrificata agli idoli del profitto e del consumo: è la “cultura dello scarto”». Così continuiamo a scrivere che non si tratta di fare una scelta tra gli uomini e i cani, ma di amare «e l’uomo e il cane»!

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