Missioni Consolata - Aprile 2013

rano, che giustificano chi fa loro del male, che preferiscono che abbiano ragione gli altri, stanno salvando il mondo» recita un aforisma di Borges. In effetti, sono loro, che pure hanno scelto la mitezza, la virtù dei perdenti, (…) che hanno salvato il mondo dalla scomparsa della religione, dall’eclissi del sacro, che i pro- gressi della secolarizzazione, avvenuta nel corso del XX secolo, facevano presagire si sarebbe estesa dall’Europa a tutto il mondo. In futuro la maggior parte dei cristiani non sarà in Europa, ma in Africa, Asia e America Latina, proprio per ef- fetto dell’azione della chiesa missionaria, che non si è data soltanto il compito di salvaguar- dare lingue e tradizioni, ma ha saputo incarnarsi nella vita della gente e inserirsi nelle culture lo- cali mediante un processo au- tentico di «inculturazione». Questo «nuovo» cristianesimo del Sud del mondo, ha ben altra vitalità e coscienza della propria forza rispetto al cristianesimo occidentale euro centrico a cui si sostituisce. Non potrà non in- fluenzare di sé l’occidente. SE AIUTO UN UOMO Sono amico dell’uomo soltanto quando ne aiuto qualcuno. La parzialità è precondizione del- l’efficacia dell’azione. Concen- trare l’azione in un’area per- mette di non cadere in sterili slanci retorici. La solidarietà ef- ficace è un’azione portata là dove serve, focalizzata in alcune aree geografiche precise e a sfere circoscritte di relazioni umane. Allora fare volontariato in Africa significa incontrare l’al- tro, il nostro prossimo che vive lontano. Non evasione, ma ri- cerca dell’altro per soccorrerlo. Se riusciamo a salvare la vita di un solo bambino non è forse un atto di valore universale? Avere per amici, oltre alle per- sone vicine, altre lontane e avere una seconda patria, una patria «del cuore», a distanza di mi- gliaia di chilometri (geografia «affettiva») significa dare con- cretezza alla solidarietà e, nello stesso tempo, ampliare il pro- prio universo al di fuori di noi stessi, oltre i confini delle fron- tiere e delle razze. Amiamo il contatto diretto con le comunità e con le persone, la so- lidarietà della presenza, la con- divisione, anche se limitata nel tempo, delle tribolazioni che loro vivono ogni giorno, perché questa prossimità ci assimila e ci dà ca- pacità di ascolto e un minimo di- ritto di confronto. Ne ricaviamo il privilegio di una vita «mischiata» alla gente, lontana da ogni potere e da ogni ricchezza, che ti mette in una rete di fratellanze e ti per- mette di collaborare umilmente, senza alzare alcuna bandiera, a un’opera di giustizia «affinché la modestia dei deboli abbia la me- glio sull’arroganza dei forti». Al- lora si stabilisce un legame che ha qualcosa di sacro. Dobbiamo coltivarlo in noi, pur consci della piccolezza della nostra azione di fronte alla grandezza della di- gnità del povero, per disegnare un pezzetto della trama della sua vita. L’Africa ci può consegnare un ideale pieno di dignità, qualcosa più grande di noi per cui vivere. Percorrerò questa strada una sola volta: che questa mia vita abbia un minimo di senso, anche se nascosto a molti. Giuseppe Meo APRILE 2013 MC 31 MC ARTICOLI La tragedia sanitaria dell’Africa ha una gravità inaccettabile. Il continente ha un carico di malat- tia pari al 24% del totale mon- diale, ma dispone soltanto del 3% del personale e dell’1% delle risorse finanziarie mondiali. Si stima che l’Africa subsahariana manchi di un milione di operatori sanitari. I chirurghi sono molto pochi. Una soluzione, almeno a breve termine, è addestrare «non dottori» a fornire servizi chirurgici di base a livello di- strettuale. MISSIONARI A Yirol (Sud Sudan, ndr ) ero ospitato dalla missione combo- niana. Numerosi missionari e suore comboniani, soprattutto italiani, continuano a spendere la vita intera in Sud Sudan per alleviare le sofferenze e portare istruzione. I missionari di Yirol, monsignor Cesare e i padri Giu- seppe e Mario, che mi ospita- vano nei miei primi viaggi in Su- dan, erano capaci di un calore umano e di una spontaneità ec- cezionali. La bontà e la corret- tezza erano stampate sui loro volti di persone semplici. Erano, sono, tipici rappresentanti di quell’universo di missionari che «a piedi nudi», nella discrezione, percorrono il mondo in soccorso degli umiliati, spendendo intera- mente se stessi senza enfasi e senza riconoscimenti. «Queste persone, che si igno- # Qui a sinistra : il dottor Meo con un amico a Gordhim. © Archivio CCM

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