Missioni Consolata - Novembre 2012

È molto difficile dire se l’assalto all’amba- sciata statunitense del 12 settembre rap- presenti il primo passo sull’orlo dell’abisso del paese. L’uccisione a Bengasi di quattro funzionari statunitensi, compreso l’amba- sciatore Chris Stevens, è certamente un evento inaspettato nella drammaticità, nelle propor- zioni che la minaccia terroristica comporta, e nelle conseguenze politiche. Nel marzo 2011, un anno e mezzo fa, una piazza tra- boccante e festante di giovani bengasini accoglieva la troupe della Cnn e la osannava con cori a suo favore. Bengasi e i rivoltosi entravano nel corso della storia dopo 42 anni di oblio. Erano al centro della Primavera araba ed esultavano per l’attenzione che su di loro po- neva il network americano. L’allora inviato statunitense Chris Stevens si era pro- digato per stabilire contatti e legami con i ribelli e poi aveva incoraggiato il proprio paese a supportarli. La sua azione diplomatica in Libia gli era valsa la nomina di ambasciatore a Tripoli all’inizio dell’anno: il 22 mag- gio era stato accreditato. POLVERIERA Pensare alla sua uccisione per mano di libici sembra oggi incomprensibile per una mente razionale. Eppure ciò si può spiegare solamente con un fatto: la Libia è un paese diviso e senza alcuno stato di diritto, un paese in cui gruppi di facinorosi, in circostanze ancora da chiarire, possono comportare una seria minaccia. La sicurezza è in mano a bande che vengono «tolle- NOVEMBRE 2012 MC 37 rate» dall’autorità centrale, talvolta blandite, talvolta onorate nel tentativo (fallito) di integrarle all’interno di un esercito nazionale. Alcune di queste bande hanno chiari orientamenti estremisti. E nell’instabilità l’estremismo prolifera. Improbabile che questa azione costituisca una diretta vendetta dell’uccisione di Abu Yahya al-Libi, numero due di Al Qaeda. Sul fronte dell’islam radicale c’è chi ricorda la lunga tradizione della jihad in Cirenaica. È importante però non invertire il nesso di causa-effetto: l’islamismo ra- dicale in Libia è stato alimentato soprattutto dall’op- pressione del regime. Per buona parte dei libici, l’unico modo di dissentire da Gheddafi era quello di aderire o appoggiare Al Qaeda. I libici sono stati per anni il se- condo maggior gruppo, dopo i sauditi, a combattere sui fronti iracheno e afghano. Sono in particolare città come Derna, in Cirenaica, ad aver alimentato il fronte qaedista. Per esempio, Abu Yahya al-Libi, era appunto libico ed è stato ucciso da un attacco di droni ameri- cani a inizio giugno 2012. Abu Yahya al-Libi, nato nel 1963, era considerato dagli Stati Uniti l’uomo più im- portante dopo Ayman al-Zawahiri, che dalla morte di Osama bin Laden guida l’organizzazione terroristica. Al-Libi non è stato mai descritto come un grande com- battente, ma piuttosto come un ottimo organizzatore e propagandista. Si dice che al-Libi abbia cominciato la sua carriera terroristica negli anni Novanta, quando vive in Afghanistan. Nel 2002 è stato arrestato dalle forze americane a Bagram, ma dopo soli 3 anni è ri- uscito a fuggire facendo perdere le sue tracce. Alcuni «allievi» di Abu Yahya al-Libi sono attivi in Libia anche LIBIA: CAOS POST GHEDDAFI LA BOMBA LIBICA DI A RTURO V ARVELLI Il paese è diviso, non c’è stato di diritto. Nella confusione i gruppi estremisti si rafforzano. Inoltre la Libia è patria di diversi leader di Al Qaeda e da tempo vi sono attive cellule salafite, che ora tornano a colpire. Qualcuno teorizza una (improbabile) alleanza con gli ex gheddafiani per rovesciare il governo. © Abdullah Doma / AFP MC JIHAD AFRICANA

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