Missioni Consolata - Maggio 2012

voce celeste ordinerà di ascoltarlo (cf Mt 17,5; Mc 9,7; Lc 9,35). In questo contesto si situa la necessità di una purifi- cazione costante, a motivo della quale le case dove- vano essere attrezzate con recipienti di acqua, come attesta anche l’evangelista Marco: « 1 Si riunirono attorno a lui i farisei e alcuni degli scribi, venuti da Gerusalemme. 2 Avendo visto che alcuni dei suoi discepoli prendevano cibo con mani impure, cioè non lavate, - 3 i farisei infatti e tutti i Giudei non man- giano se non si sono lavati accuratamente le mani, at- tenendosi alla tradizione degli antichi 4 e, tornando dal mercato, non mangiano senza aver fatto le abluzioni, e osservano molte altre cose per tradizione, come lava- ture di bicchieri, stoviglie, oggetti di rame -, 5 quei fari- sei e scribi lo interrogarono: “Perché i tuoi discepoli non si comportano secondo la tradizione degli antichi, ma prendono cibo con mani impure?”» (Mc 7,1-5). Anche l’autore della celeberrima Lettera dello pseudo-Aristea (sec. II a.C.) che narra la leggenda della traduzione in greco della Bibbia ebraica, osserva che i settanta sapienti mandati da Gerusalemme in Egitto, quotidianamente «secondo poi la consuetudine dei Giudei… dopo essersi lavate le mani nel mare» (L ETTRE D ’A RISTÉE …232), compivano la purificazione prescritta. Lo stesso facevano gli Esseni di Qumran: prima di pranzo «immergono/bagnano il corpo in ac- qua fredda e dopo questa purificazione» prendono po- sto alla comune «mensa considerata come un luogo santo» (F LAVIO G IUSEPPE , GG II,8,5). LE GIARE DI PIETRA PROFEZIA DELL’UMANITÀ DI DIO La purificazione è essenziale nell’ebraismo perché ogni azione e luogo può contaminare e rendere inabili al culto liturgico, a celebrare lo Shabbàt e la pre- ghiera. In Marco, che abbiamo appena citato, i farisei rimproverano Gesù perché «alcuni dei suoi discepoli prendevano cibo con mani impure, cioè non lavate» (Mc 7,2). Gli stessi Giudei, prima della festa di Pasqua salgono a Gerusalemme per purificarsi e potere es- sere adatti alla celebrazione: «Era vicina la Pasqua dei Giudei e molti dalla regione salirono a Gerusa- lemme prima della Pasqua per purificarsi» (Gv 11,55) e quando chiedono la condanna di Gesù da parte di Pi- lato «non vollero entrare nel pretorio, per non conta- minarsi e poter mangiare la Pasqua» (Gv 18,28). Gesù porta un’altra logica perché non è più la purità legale o rituale che conta, ma la purezza del cuore, cioè la trasparenza della coscienza che si nutre della Parola di Dio, cioè del Lògos, cioè di Dio stesso: «Voi siete già puri, a causa della parola che vi ho annun- ciato» (Gv 15,3). La purificazione avviene attraverso l’acqua, tema cen- trale in tutto il quarto vangelo: il capitolo quarto de- scrive l’incontro di Gesù con la donna samaritana al pozzo di Giacobbe; tra i due si instaura un duetto sul- l’acqua che dà sete e sull’acqua che disseta per la vita eterna attraverso la parola di Gesù Messia (cf Gv 4,10.26); il cieco alla piscina di Betzatà deve immer- gersi nell’acqua agitata dall’angelo (cf Gv 5,1-7); il cieco nato deve lavarsi alle acque di Sìloe (cf Gv 9,7) e l’umanità nuova nata sotto la croce, rappresentata dalla madre e dal discepolo, sono lavati dall’acqua e dal sangue sgorgati dal costato di Cristo (Gv 19,26.34). Le giare di pietra, inutili alla purificazione che si ap- prestano a contenere il vino gioioso dell’alleanza, ora sono profezia dell’umanità di Dio (31 continua). idoli, 26 vi darò un cuore nuovo, metterò dentro di voi uno spirito nuovo, toglierò da voi il cuore di pietra e vi darò un cuore di carne. 27 Porrò il mio spirito dentro di voi e vi farò vivere secondo le mie leggi e vi farò osser- vare e mettere in pratica le mie norme» (Ez 36,25-27). Per il profeta la pietra è simbolo di un cuore senza amore, ossessionato dall’osservanza religiosa, ma in- capace di amare e di respirare la libertà dei figli di Dio. È necessario un trapianto cardiaco per estirpare l’immobilità pietrificata della Toràh che si riduce a un’osservanza esteriore e sostituirla con un afflato di sentimenti (spirito) che incontra la Toràh come motivo di affetto e relazione che esigono due cuori innamo- rati in movimento reciproco dell’uno verso l’altro. I rabbini del dopo esilio avevano codificato la Toràh in una serie di 613 precetti da osservare per essere un buon giudeo. È l’estensione a dismisura non tanto della legge morale, ma della ossessione per la casi- stica che non lascia nulla al caso o alla determina- zione della libertà personale, ma tutto è previsto, sta- bilito e codificato. DALLA RELIGIONE DELL’OBBLIGO ALLA FEDE DELL’AMORE Al tempo di Gesù l’osservanza di tutti i precetti della Torah (Sir 51,26; Ger 2,20; 5,5; Gal 5,1) erano conside- rati un giogo pesante da portare. Il Talmud babilonese (trattato Makkoth 23b , tradizione di Rav. Simlai, amo- raita del III sec. d.C.) insegna che la Toràh contiene 613 mitzvòt - precetti (ebr.: Tariàg mitzvòt ) dei quali 248 sono mitzvòt asèh (comandamenti positivi, pre- scrizioni) e sono in numero uguale ai pezzi che com- pongono il corpo umano (ossa, nervi, ecc.); 365 sono mitzvòt taasèh (comandamenti negativi, divieti) e cor- rispondono ai giorni dell’anno solare. Il senso è sem- plice: la Toràh deve essere osservata con tutta la per- sona (248 ossa, nervi, ecc.) con un impegno che deve durare tutto l’anno (365 giorni; Cf Rav. Simlai, amo- raita del III sec. d.C. in Makkot 23b.). Le donne erano dispensate dall’osservare i precetti negativi per lasciare loro una certa flessibilità nel loro impegno familiare, mentre erano obbligate a quelli positivi. Tuttavia esse potevano, se volevano, osser- vare anche i precetti negativi. Il numero 613 si ricava dalla ghematrìa : la parola Toràh in ebraico (T_W_R_H) ha un valore numerico di 611 (400+6+200+5), a cui devono aggiungersi i due pronomi personali con i quali Dio si presenta nel con- segnare l’intera Toràh a Mosè sul Sinai (Es 20,2-3; Dt 5,6-7). La somma di 611+2 dà il risultato di 613. I farisei pensavano che il popolo non potesse salvarsi perché incapace di osservare tutti i precetti prescritti. Quando un non ebreo chiedeva di convertirsi all’ebrai- smo gli si spiegava come fosse duro portare il giogo della Toràh per scoraggiarlo ( Talmud , Berakot 30b). Il giogo però indicava anche la fatica quotidiana dello studio della Toràh che equivale all’osservanza di tutti i comandamenti presi nella loro totalità (Cf Mishnàh, Pèah/Angolo , 1,1; Talmud, Shabàt 127a). Giovanni nel prologo parla di « Lògos » al singolare, che è una magnifica contrapposizione all’inflazione delle «parole» che dominava il suo tempo. La «pie- nezza del tempo» si caratterizza per il fatto che la Parola per eccellenza, la Toràh , la creazione e i co- mandamenti non sono altro che anticipi, prolessi dell’unica Parola che è il Figlio di Dio, il quale non ha più bisogno di molte parole per manifestare il volto di Dio; ma ora è lui stesso, il Figlio prediletto, che diventa Parola. Per questo sul monte Tabor, la 34 MC MAGGIO 2012 Così sta scritto

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