Missioni Consolata - Dicembre 2011

DICEMBRE 2011 MC 73 MC ARTICOLI favore ricevuto (un medicinale quando qualcuno ne aveva biso- gno), non certo per ideologia. Questa è la via attraverso la quale il narcotraffico si insinua nelle fa- miglie e tra i giovani. Per avere una conferma, basta vi- sitare la prigione, che è piena di gente estremamente buona, che ha fatto sempre del bene». Se si trovano in prigione, que- ste persone qualcosa avranno commesso o no? «Hanno fatto il trasporto. È lì la grande sfida del narcotraffico: come far arrivare la droga - co- caina soprattutto - dai luoghi di produzione al consumatore. Quindi, dal Perú e dalla Colombia alle città del Brasile. Questa mattina ero in ospedale. Mi hanno raccontato di due brasi- liani ricoverati perché avevano in- ghiottito troppi ovuli di eroina e si erano sentiti male. Lo avevano fatto alla meglio, mettendo la droga in preservativi che poi ave- vano chiuso ed ingoiato. Sono stati presi a Leticia. La tentazione è sempre presente. Parlavo con una persona condan- nata a diversi anni di galera. “Ho ceduto alla tentazione della scor- ciatoia”, mi ha spiegato». Si consuma anche in loco? «Sì, anche in Tabatinga esiste un consumo preoccupante. Tra i gio- vani, soprattutto. Tanto che, come chiesa, abbiamo costituito Fa- zenda esperanza per aiutare nella disintossicazione». Mancanza di lavoro e narco- traffico testimoniano l’assenza dello stato... «Qualcosa è stato fatto. Questa mattina all’ospedale ho visto la saletta di telemedicina, ma è un’eccezione. Noi siamo troppo lontani da Ma- naus: diciamo che il cuore della capitale non riesce a pompare in maniera sufficiente verso la peri- feria». C’è una soluzione politica? «Il governo centrale teme che la regione, l’Alto Solimões, voglia di- ventare autonoma. Questo è vero. Non fosse altro perché non si rie- sce ad avere un sistema di salute e di educazione degni di questo nome! Abbiamo tre università: una fede- rale, una statale e una tecnolo- gica, appena nata. Il problema non è però la educazione a livello accademico. È l’istruzione di base. Chi rimane ad abitare sulle sponde, quale educazione e quale salute potrà avere? Nessuna. Un professore, più o meno prepa- rato, appena comincia subito pensa di andarsene in un altro posto. Spesso già al secondo se- mestre. Chi invece riesce a studiare va a continuare gli studi a Manaus, ma poi l’inserimento nel mondo del lavoro è molto difficile. La speranza sarebbe di avere un’università che lavori con tutte le nostre piante, le nostre risorse ittiche, il nostro clima favore- vole». Sembra di capire che lei sia d’accordo sulla concessione di un’autonomia alla regione... «La speranza è questa. La re- gione è già incamminata sulla strada dell’autonomia. Non so quando, ma lo sarà certamente. C’è chi frena, come i commer- cianti che importano da Manaus. Il pollo di cui parlavamo prima, ad esempio. Nelle ultime elezioni, il governo ha presentato candidati tanto insignificanti che nessuno è stato eletto. Non soltanto a Brasi- lia, ma neppure a Manaus. Tutta la regione non ha un rappresen- tante nostrano. Noi non abbiamo una stampa locale, non abbiamo una radio locale. L’emittente che trasmette da qui è di Brasilia e la programmazione non è locale. Per tutto questo l’autonomia sa- rebbe un passo importante». PRATICHE INDIGENE: PRETI VERSUS ANTROPOLOGI Monsignore, cambiamo argo- mento. Lei come spiega le gra- vissime problematiche di sa- lute che colpiscono le popola- zioni indigene della Valle del Javari? «Nella Valle del Javari 1 ci sono modalità di comportamento che non favoriscono la salute. Spe- cialmente tra i marubo , ma an- che tra i mayuruna . Ne sono stato testimone io stesso. Quando andai tra loro, ap- pena arrivato - saranno state le 4 o 5 del pomeriggio - i marubo mi offrirono immediatamente delle donne per la notte. È un segno di accoglienza, di generosità, di gioia. Così anche durante le loro feste ci sono scambi di coppie. C’è poi l’abitudine di fumare as- sieme (passandosi una specie di pipa), cosa che favorisce la tra- smissione di malattie, soprattutto l’epatite B. Queste pratiche sono pericolose dal punto di vista sanitario. Non sarebbe stato difficile regolamen- tare i comportamenti a rischio, ma su questo punto non abbiamo trovato molta comprensione tra gli antropologi. Con loro è spesso difficile parlare: come noi preti, anch’essi hanno i loro dogmi. “La cultura non si tocca”, dicono. Ma la cultura andrebbe leggermente adattata per risolvere una situa- zione complicata».

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