Missioni Consolata - Dicembre 2011

lI’Igembe, Mwereria mi diede un piccolo studio, dove narrava come fosse riuscito a penetrare nella “kiama kia Lamalle” (una delle classi di età degli adulti) e a “legare la chiesa” (uso un termine di Mwereria stesso) con gli Njuuri . Mi permetto di citare un brano del diario di Mwereria . Va ricordato che P. Sol- dati quando parla di Mwereria usa la terza persona come si trattasse di un’altra persona e non di stesso. «Nel passato, Mwereria ha parlato di Njuuri ed Areki , affrontando problemi che coinvolgevano cri- stianesimo e tradizioni tribali. Non si era mai pro- nunciato sulla Kiama kia Lamalle . Ma ora la storia si ripete. I cristiani furono sempre sconsigliati a fare parte di quella kiama (gruppo, aggregazione, asso- ciazione, ndr. ), se non addirittura esclusi dai sacra- menti, come castigo alla loro adesione. Parecchie volte successe anche che giovani cristiani che si rifiu- tarono di fare questa iniziazione, fossero costretti fi- sicamente e magari portati di peso volenti o nolenti nelle varie capanne di iniziazione. Il missionario in questi casi cercava di aiutarli come poteva, magari nascondendoli per qualche tempo alla Missione. Ma era giusto? Perché rifiutare per partito preso tutto ciò che riguardava tradizioni africane? Perché que- sto muro di diffidenza tra chiesa e tribù? Ed allora perché meravigliarsi, se le varie chiese cristiane erano considerate come i peggiori nemici dell’afri- cano? Se erano sopportate, il merito non era da attri- buirsi solo alle opere innegabili di carità e di civiltà che queste chiese lasciavano abbondantemente al loro passaggio, ma anche all’influsso e al potere di un governo europeo dalla tinta cristiana. Indiretta- mente questa civiltà cristiana-europea aveva scalfito tutti i pilastri sui quali poggiava una tradizione seco- lare, ma la differenza rimaneva tra quelli che ancora cercavano di puntellare come potevano questi pila- stri e coloro che invece volevano abbatterli completa- mente». Questo fu sempre l’interrogativo di Mwere- ria : come conciliare la morale della Chiesa e la tradi- zione africana. Si domandava se fosse vero o falso che tutto ciò che concerneva le tradizioni era contra- rio ai comandamenti di Dio o della Chiesa. Scoprì poco alla volta che certi riti non erano esattamente santi, tuttavia la loro sostanza non era marcia: si trattava solo di regolarne gli eccessi. NGAI-MURUNGU: IL NOME DI DIO Come si può allora descrivere la religione tradizio- nale dei Meru? Cito anche qui un picciolo studio di un vecchio missionario dei primi tempi. «La religione dei Meru è molto primitiva. Hanno due nomi per indicare Dio: Ngai (nome copiato probail- mente dai Maasai, che hanno la dizione EnKai , o dai Kikuyu che hanno Ngai , che confondono spesso con fenomeni naturali), e Murungu (molto simile al nome Mungu , swahili per Dio). Questo Dio è personale, ma non gli prestano un vero culto, per quanto poi lo si senta invocare usando espressioni come «Murungu are o» (Dio c’è, specie nei pericoli o calamità pubbli- che e private), oppure «Murungu ni Munene» (Dio è grande - frase presa forse dall’islam), «Kethera Mu- rungu akwenda» (se Dio vuole - anche questa di sa- pore islamico). In rare circostanze i Meru fanno sa- crifici direttamente a Dio, in caso cioè di carestia, di moria di uomini e animali, d’invasioni di locuste. Non è un individuo privato a compiere il sacrificio ma sempre una persona pubblica». Fin qui le affermazioni di quel missionario. Ma ai suoi tempi era ancora sconosciuto - o forse semplice- mente confuso nella cerchia non ben definita degli stregoni - un personaggio particolare di cui più tardi si venne a conoscenza e solo dopo uno studio appro- fondito sulla sua attività fu possibile valutarne l’im- portanza: il Mogwe (plurale Agwe ). DICEMBRE 2011 MC 45 MC MERU: CENT’ANNI...

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