Missioni Consolata - Dicembre 2011

MC ARTICOLI colpo all’orgoglio nazionale. Da quando il presidente Saakashvili era salito al potere, quattro anni prima, con l’aiuto di esperti ame- ricani si era cominciato ad adde- strare gli uomini, ad ammoder- nare e potenziare gli armamenti. Erano apparsi per le strade di Tbilisi grandi cartelloni pubblici- tari, che mostravano immagini di soldati sorridenti, rassicuranti. Se ne esaltava la preparazione e s’invitavano i giovani ad arruo- larsi per diventare, anch’essi, de- gli eroi. Il loro coraggio sarebbe servito per riconquistare i terri- tori secessionisti del Sud Ossezia e dell’Abkhazia, che si facevano forti dell’appoggio della Russia. In tempo di pace i georgiani ave- vano creduto di potercela fare contro un avversario mille volte più forte. Quella convinzione, però, era svaporata in poche ore sotto i fischi delle bombe e del- l’artiglieria russa. L’unica cosa che i soldati avevano potuto fare era stato abbandonare tutto e tornare a casa. A giudicare dai volti eccitati e lieti, la memoria di quegli avvenimenti non sembrava turbare l’atmo- sfera di festa che regnava intorno alla parata. Maggio era nel pieno del suo splendore, il sole inon- dava il viale Rustaveli e faceva brillare i colori delle uniformi, delle bandiere, dei fiori nei vasi delle fioraie. Grandi e piccoli si godevano la giornata primaverile e lo spettacolo offerto. Io, però, pur nella generale allegria, non riuscivo a scacciare dalla mente le immagini delle persone che fuggivano dai bombardamenti in quell’agosto di due anni prima. Allora ero a Tbilisi e mi capitò più volte d’incontrare gli sfollati, di udire le loro tragiche storie. For- tunatamente, la guerra sarebbe durata solo pochi giorni, presto la città e il paese avrebbero ripreso la loro vita normale. LA TRISTE ODISSEA DEGLI SFOLLATI Il peso del ricordo di quei giorni funesti è rimasto sulle spalle dei circa trentamila sfollati interni che non hanno potuto fare ritorno alle proprie case e che ora trasci- nano l’esistenza in centri collettivi nelle città, o in villaggi ghetto, sorti precipitosamente nel mezzo del nulla. Li si può vedere percor- rendo l’autostrada che collega Tbilisi e Gori, la terza città del paese: lunghe file di casette mo- nofamiliari a un piano, tutte uguali. Non hanno nulla attorno, non terra da coltivare, non atti- vità, non negozi. Chiunque veda questi improbabili villaggi si chiede a chi sia potuta venire l’i- dea di risolvere in tal modo il pro- blema degli sfollati. Anche prima di costruirli, si sarebbe potuto fa- cilmente immaginare che la gente mandata a viverci si sa- rebbe trovata senza un lavoro, senza infrastrutture, senza un collegamento naturale con la vita degli altri. Chi li visita racconta di persone sedute sull’uscio di casa, sfaccendate e avvilite. I villaggi sono stati costruiti con i soldi del- l’aiuto internazionale e anche i # A sinistra : la gente scappata dalla guerra non aveva avuto il tempo di fare la valigia, non possedevano vestiti di ricambio. Gli abitanti di Tbilisi portavano loro abiti che venivano accumulati all'entrata degli edifici in cui si trovavano gli sfollati. Per questo anziano il mucchio di vestiti è diventato un giaciglio temporaneo. # Sotto : il letto dei bambini dell’asilo è troppo corto per quest’anziana sfollata. Per questo è stato allungato con una sedia.

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