Missioni Consolata - Settembre 2009

66 MC SETTEMBRE 2009 MESSICO diamo le nostre terre.Che ci sia un’autentica giustizia.Che non co- struiscanomega-progetti industriali e commerciali sulle terre comunali e ejidali (da ejidos , le porzioni di campi comunitari, ndr ). Che non distrugga- no i nostri boschi, le nostre acque e le nostre risorse naturali.Che non si imponga una modernizzazione neo- liberale che significhi la sparizione dei popoli indigeni.Che tengano conto di noi quando si deve decide- re». A questo appello hanno risposto in tanti. L’Università statale Unam, che da anni si è affiancata alle lotte dei nuovi rivoluzionari discendenti di Zapata fornendo gli studi di fatti- bilità ambientale, che dimostrano come i megaprogetti proposti dalle autorità non hanno nessun riscontro scientificamente rilevante sul reale impatto ambientale. E poi molti do- centi, intellettuali, avvocati, artisti. Ma è stato nell’agosto di due anni fa che si è capito come la strenua lot- ta di questi contadini poveri ma resi- stenti era diventata davvero qualco- sa di esemplare: da tutti i paesi ame- ricani, dall’Alaska alla Terra del Fuo- co, vennero in pellegrinaggio i dele- gati delle popolazioni indigene del continente.Per dare il proprio ap- poggio alla lotta dei «Pueblos», 153 fra sciamani ed alti rappresentanti delle comunità indigene americane, si riunirono ai piedi del sito archeo- logico azteco di Xochicalco,per un rito comune in difesa «dell’acqua, dell’aria e della terra». L’acqua della Coca-Cola e la perdita dei beni comuni Don Saul è stato recentemente in visita in Italia, assieme all’associazio- neYaku. Incontrando le comunità i- taliane che lottano anch’esse per di- fendere i propri territori - dagli im- pianti di geotermia sul Monte Amiata, inToscana alla privatizzazio- ne dei servizi idrici inTrentino -, spie- gava: «Le fonti d’acqua nel Morelos sono inmano alla Coca-Cola, nessu- na restrizione viene imposta alle im- prese edili.Con la Colonia eravamo peones .Oggi è peggio. La nostra lot- ta è per difendere gli spazi di convi- venza collettiva,per forme razionali di sviluppo economico; e per gover- ni onesti.Noi,popoli del Morelos in lotta, aspettiamo il giorno in cui rive- dremo splendere il luogo in cui vi- viamo, e in cui potremo riunirci con chi è stato costretto ad emigrare e con chi ancora deve nascere.Anche se si tratta di un sogno profondo, in realtà, lo stiamo facendo ad occhi a- perti». Parole che ricongiungevano gli spazi e aprivano gli occhi, sotto la luce della semplicità inattaccabile propria del pensiero delle culture in- digene. EnzoVitalesta dell’associazione Yaku, nella prefazione della versione italiana del «Manifesto de los Pue- blos del Morelos», lo spiega bene: «Leggendo il Manifesto ci rendiamo conto quanto siamo lontani dallo stare bene. E quanto ci stiamo allon- tanando dalle cose che ci apparte- nevano e ci appartengono.Dai beni comuni che sono il luogo in cui vi- viamo, l’aria che respiriamo, l’acqua che beviamo, l’energia che ci tiene in vita, la terra, i boschi, i mari, i ghiac- ciai. Ma stiamo allungando le distan- ze anche dal patrimonio collettivo che alimenta lo spirito comunitario di ogni territorio». I 13 popoli tengono vivo questo spirito anche per noi. ■ Scene da manifestazioni di protesta. Da sinistra, in senso orario: «Basta immondizie. Il popolo comanda»; viene bruciato un fantoccio del Pan; in difesa dell’acqua: «Non mi togliere quello che non mi puoi dare» (foto di Fernanda Robinson).

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