Missioni Consolata - Ottobre/Novembre 2008

96 MC OTTOBRE-NOVEMBRE 2008 ITALIA ED EUROPA L a«Dichiarazioneuniversaledei diritti dell’uomo»viene alla luce dopo le due guerremondiali, che hanno segnato la storia della primametà del secolo XX.Attraverso esse si è sperimentato un impressionante eccesso di violenza storica e si è diffusa la coscienza di quanto Freud aveva annunciato già nel 1929: «Gli uomini hanno adesso talmente esteso il lo- ro potere sulle forze naturali, che giovandosi di esse sarebbe facile sterminarsi a vicenda, fino all’ultimo uomo».Dinanzi a questo abisso,divenuto ormai possibilità effettiva per la spe- cie umana, il 10 dicembre 1948 l’Assemblea generale delle Nazioni Unite volle dare un forte segnale dichiarando che vi è un’unica «famiglia umana»,alla quale appartiene ogni sin- golo essere umano.Vi è un interesse supremo e comune che va difeso e promosso. Il preambolo della Dichiarazione inizia con queste parole: «Il riconoscimento della dignità inerente a tutti i membri della famiglia umana e dei loro diritti,uguali ed inalienabili, costi- tuisce il fondamento della libertà,della giustizia e della pace del mondo». Ciascun essere umano è portatore di una dignità che gli ap- partiene, perché costitutiva del suo essere,e però, semanca l’effettivo riconoscimento da parte degli altri,avviene una degenerazione del rapporto tra umani, sino alle forme più orribili di disumanità. In ogni angolo della terra, le relazioni umane, le forme istituzionali e i rapporti sociali si sviluppano sotto il segno dell’accoglienza oppure della negazione del- l’altro, in quanto essere umano. È con questa consapevolezza che occorre partecipare a que- sta «lotta» per l’umanizzazione dei rapporti, in tutti gli ambi- ti della vita.Qualunque sia il posto nel quale si vive e lavora, ciascuno può divenire umano solo riconoscendo l’umanità altrui. M i vienespontaneoaccennareallamiaprimaesperienza di lavoro,durata un decennio,nell’ospedale psichiatrico di Mantova.Agli inizi degli anni ’70 c’erano circa 600 ricove- rati. Era il tempo della lotta antimanicomiale. Il «manicomio» era più un luogo di «contenzione» che di «cura».Quando un malato veniva ricoverato doveva subire «lo spoglio», cioè la spogliazione da tutto ciò che era suo ed essere introdotto in unmondo rigidamente organizzato,all’interno del quale non aveva alcun potere.Soprattutto non aveva il potere del- la parola,perché parola di unmatto: poteva essere ascoltata e decodificata,oppure no.Dipendeva da altri, senza possibi- lità da parte sua di farsi valere.La dimensione di massa an- nullava gli individui: era una struttura totale, con le sue tera- pie - ma anche repressioni - chimiche (farmaci) e fisiche (elet- trochoc) emisure contentive. Ecco alcuni pensieri tratti da una riflessione di molti anni fa: «...La visione quotidiana di unamassa di persone ridotte ad oggetti, senza la possibilità di esprimere una loro residua soggettività unita alla percezione che la quasi totalità non a- vrebbemai conosciuto una diversa qualità della vita (oltre che un oscuro senso di impotenza) determinava inme quesi- ti che toccavano il cuore del mio credere: che senso hanno queste esistenze,molte delle quali sono segnate per sempre nella impossibilità del cambiamento? Chi restituirà l'esisten- za a quegli infelici? Da allora perme la fede ha preso il volto di una“giustizia che deve compiersi”, che assolutamente non puòmancare. In quel“luogo teologico”riscoprivo Jahvé, il di- fensore dei poveri e degli oppressi,unDio non neutrale che assume pienamente in sé la causa di chi è negato nella pro- pria esistenza umana.Guardavo con occhi nuovi Gesù croci- fisso: la tragedia della quale ero testimone, con il suo carico di oscurità e non senso,quasi istintivamentemi riportava al silenzio di Dio sulla croce e a quellamorte così simile e pros- sima a quanto anch'io vedevo consumarsi.Anche se non fa- cevo nulla di sacerdotale,però in quella situazione, che io condividevo solo inminima parte perché consideravo lamia libertà e capacità di difesa, sentivo profondamente vero il messaggio delle beatitudini e il Regno di Dio promesso ai poveri...». Dieci anni di ospedale psichiatrico segnano per sempre.Ol- tre che“luogo teologico”,essomi appariva“come un punto di osservazione e di conoscenza della realtà storica estrema- mente fecondo”». È stato un luogo di lotta, condivisa damolti operatori e in un momento storico particolare, contro la concentrazione di massa nell’istituzione totale di chi viveva sofferenze psichi- che per restituiremoltissime persone ad un contesto di nor- malità dove i rapporti potessero essere più umani,e quindi potenzialmente terapeutici.Si tratta di lottare per il diritto dell’altro.È lì che ho scoperto dal vivo che se nessuno ricono- sce il tuo diritto di essere un uomo,di contare qualcosa, sei davvero spogliato di una parte essenziale. Il «Se questo è un uomo... se questa è una donna...» di Primo Levi si declina in infinite combinazioni il cui risultato è sempre la dis-umaniz- zazione, la negazione di umanità.Si può così capire il senso profondo della citazione di Nikos Kazantzachis « Chi lotta e soffre suuna zolladi terra lotta e soffre per tutta la terra », che ho imparato a conoscere da don Sirio Politi,uno dei primi preti-operai italiani. M achevuol direparlaredi diritti?Sonostatodelegato di base della Cgil per quasi 30 anni.Confesso che ho sempre fatto fatica a seguire la retorica dei diritti.Oltre che l’esperienza dello Psichiatrico,alcune letturemi hanno portato a problematizzare espressioni tipo «i diritti acqui- siti», quasi non fossero sempre legati a situazioni partico- lari, quindi reversibili.Oggi appare chiaro che diritti,an- che fondamentali, si possono perdere o addirittura esse- re negati a priori.Pensiamo,ad esempio,alle donne: a quante donne, in Italia,è stato imposto di non avere figli per non avere la carriera tagliata,o rischiare il posto di la- voro? Inoltre, recenti disposizioni del governo e del par- lamento non hanno «legittimato», che i cittadini non so- no uguali dinanzi alla legge? Quanti anziani,nel nostro paese, sono costretti a scegliere se spendere i pochi sol- di inmedicine o in alimenti? Non è vero che si continua a proteggere l’uso illegale dell’istituto del precariato che sottrae alle (scarse) nuove generazioni la speran- za di organizzarsi un proprio futuro? Vorrei sottolineare due aspetti che possono aiutare almeno a problematizzare la retorica dei diritti,per scoprirne invece la sostanza che appartiene all’es- sere umano che necessita del suo riconoscimento. La prima sottolineatura la riprendo da SimonWeil, filosofa ebreamorta in Inghilterra nel 1943.L’ulti- SOLTANTO «ERGA OMNES» Viviamo in unmondo in cui sono sempre più diffuse le pratiche della «negazione dell’altro» e della «creazione del nemico». Occorre tornare a riconoscere l’umanità altrui. Al più presto. Diritti, ma anche doveri

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