Missioni Consolata - Ottobre/Novembre 2008

14 MC OTTOBRE-NOVEMBRE 2008 STORIA ED EVOLUZIONE all’Unione europea, alla Carta dei di- ritti fondamentali (adottata nel 2000 e oggi oggetto di rinvio da parte del Trattato di Lisbona in corso di ratifi- ca). Come prevedibile l’ humus cultu- rale non si discosta da quello della Dichiarazione del 1948, anche se si può notare, soprattutto a livello di U- nione europea, una regressione nel- la tutela dei diritti sociali e dei lavo- ratori a fronte dell’affermazione del dogma del liberomercato. Omogeneità si può rilevare anche nella Convenzione americana sui di- ritti dell’uomo (1969): si ribadisce, «in accordo con la Dichiarazione univer- sale dei diritti dell’uomo», la neces- sità di una garanzia contestuale dei diritti civili e politici e di quelli eco- nomici, sociali e culturali (Preambo- lo), in una prospettiva sempre di ti- po soggettivista e strutturata sulla falsariga della rivendicazione di una pretesa.Certo rimane la considera- zione - più di un dubbio, (quasi) una certezza - che l’omogeneità o la vici- nanza oggi riscontrabile sia il frutto di una universalizzazione forzata compiuta nel passato, imposta con le armi dai vari Pizarro, che ha ridotto ai margini o distrutto le specificità socio-culturali presenti nei paesi lati- noamericani. La condivisione attual- mente riscontrabile è fra i colonizza- tori e i loro conterranei dei paesi di provenienza, con l’esclusione (o l’eli- minazione) delle culture dei coloniz- zati, al più tutelate in quanto espres- sione di una minoranza,di una cate- goria «debole». Forse se si confronta quella cultura che si riconosce, ad e- sempio, nel Popol Vuh , il libro sacro dei Maya («figli: ovunque siate non venitemeno ai doveri che vi insegnò Ixpiyacoc,perché sono doveri che vengono dalla tradizione dei vostri padri»), con quella maggioritaria de- gli ex colonizzatori si possono trova- re valori in comune (la dignità uma- na), ma anche impostazioni differen- ti (l’idea del dovere più che quella del diritto, la centralità della comu- nità): solo che ormai è considerata come una cultura da tutelare dall’e- stinzione, ma non come capace di indicare una via americana (o,me- glio, maya, inca,urone , etc.) ai diritti. Diverso è il discorso sulla Carta a- fricana dei diritti dell’uomo e dei po- poli (detta carta di Banjul, 1981): è molto sentita in questo caso l’affer- mazione dell’identità africana, in specie in contrapposizione al passa- to coloniale e all’affermarsi di prati- che di neo-colonialismo.Non si rifiu- tano i diritti della persona umana nati in Occidente e considerati uni- versali, ma si sostiene,da un lato, la loro effettiva universalità, cioè il fatto che essi non sono un prodotto solo della cultura occidentale,ma affon- dano le loro radici anche nelle tradi- zioni africane, e,dall’altro, si indicano alcune specificità della situazione a- fricana, sì da prospettare una via «a- fricana» ai diritti universali.Nella Car- ta vi è la proclamazione dei classici diritti di libertà,politici e sociali,ma, accanto ad essi, vi è il riconoscimen- to della centralità della comunità e dei valori morali e tradizionali di cui è portatrice,del diritto allo sviluppo, dei diritti dei popoli,dell’importanza dei doveri. La Dichiarazione e il mondo islamico Più problematico l’incontro fra la Dichiarazione universale del 1948 e dichiarazioni come quella dei diritti dell’uomo nell’islam ( si veda la quar- ta parte,pag.100 ), adottata al Cairo (1990) nell’ambito dell’Organizzazio- ne della Conferenza islamica.Come nella Carta di Banjul, il documento si apre con una rivendicazione del va- lore della cultura di appartenenza e una riconduzione dei diritti a tale cultura: «nella certezza che i diritti fondamentali e le libertà universali nell’islam facciano parte della reli- gione islamica». La rivendicazione di una identità particolaristica richiama però nella Dichiarazione del Cairo una visione religiosa,di tipomono- teista e (almeno) potenzialmente to- talizzante, nella quale i diritti sono «disposizioni divine»,da osservare e proteggere attraverso un «atto di a- dorazione» (Preambolo).Ora, senza dubbio,da un lato, le visioni culturali onnicomprensive si scontrano più facilmente con valori supposti uni- versali, dall’altro, lamaggioranza dei fondamenti dei diritti (anche il diritto naturale) si presenta come una ve- rità assoluta ed incontestabile,ma ciò non esclude la possibilità di indi- viduare dei principi comuni o di rag- giungere un accordo pratico su un catalogo di diritti.Molto dipende dal contenuto e dall’interpretazione a- scrivibile alla Legge islamica. La sha- ri’a , infatti, è un elemento onnipre- sente nella Dichiarazione del Cairo, dal Preambolo alle disposizioni di chiusura con le quali si subordinano «tutti i diritti e le libertà enunciati... alle disposizioni contenute nella Legge islamica» (art.24): se si segue un’interpretazione tradizionalista ben difficilmente si potrà individuare una condivisione con la Dichiarazio- ne del 1948,mentre, sarà configura- bile una convergenza, se si adotta un’interpretazione evolutiva o per principi, che tralascia le singole pre- scrizioni storicamente situate e si ri- ferisce ai valori fondamentali. La via da seguire,detto altrimenti, potrebbe essere quella prospettata in Asia dalla Carta asiatica dei diritti u- mani (1998), che rappresenta un pro- getto, redatto da organizzazioni non governative, con l’intento di delinea- re il «quadro d’insieme» nel quale riaffermare «la battaglia dell’Asia per i diritti e le libertà fondamentali».Gli estensori ritengono possibile o,me- glio, necessario, contemperare uni- versalità e tradizioni culturali: «nono- stante l’universalità e l’indivisibilità, il godimento e la preminenza dei dirit- ti fondamentali dipende dal conte- sto sociale, economico e culturale... Conseguentemente,dobbiamo muovere dalle formulazioni astratte e procedere verso la concretizzazio- ne dei diritti fondamentali nel conte- sto asiatico...» (par.2.3). L’orizzonte è quello della convivenza fra pluralità delle culture e universalità dei diritti: «la pluralità delle identità culturali a- siatiche non contrasta con l’univer- salità dei diritti umani; piuttosto, al- l’inverso, le norme universali sono ar- ricchite da tantemanifestazioni culturali della dignità umana» (par. 6.2). La questione del rapporto univer- salità dei diritti - pluralismo culturale potrebbe essere impostata in termi- ni non contrappositivi se si immagi- na la costruzione di un universali- smo contestualizzato o situato: si po- stula, cioè, la possibilità di individuare un nucleo di valori - ed anche di diritti - universalmente ri- conosciuti, i quali poi vengono spe- cificati, integrati e, in parte, adattati, alla luce delle differenti culture. I mo- di per esprimere l’essenza di questo universalismo plurale sonomolti (si pensi al concetto di reiterazione di Walzer o all’«equivalente omeo-

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