Missioni Consolata - Settembre 2008

2 MC SETTEMBRE 2008 citare ai figli un mestiere, per lo più quello del padre, e ciò per motivi etici oltreché utilitaristici; per questo vedremo Paolo esercitare il lavoro di skenopoiòs , cioè fabbricatore di tende (At 18,5). « Q uanto alla legge, fariseo » continua, scrivendo ai Fi- lippesi. Il fariseismo era un movimento laico che e- sercitava una crescente influenza sulla gente, fino a imporsi come unico rappresentante del giudaismo ortodosso dopo la distruzione del tempio di Gerusalemme (70 d.C.). Al di là delle caricature, nate dalla polemica con i cristiani, i farisei godevano di grande prestigio per la vicinanza alla gente, per la loro dottrina e l’osservanza rigorosa della legge mosaica, basata sulla Toràh scritta e Toràh orale, per l’integrità mora- le e lo zelo per Dio. Paolo stesso può vantarsi di essere « ir- reprensibile in fatto di giustizia legale ». Il movimento fariseo si divideva in varie correnti, tra cui quella di Hillel, di tendenze più larghe e favorevole al prose- litismo, e quella di Shammai, più rigorista e diffidente verso i proseliti. Il maestro di Paolo, Gamaliele il Vecchio, seguiva la corrente di Hillel e godeva di una grande stima presso i suoi contemporanei. Gli Atti ricordano il suo equilibrio nei confronti della nuova «setta» cristiana: « Non impicciatevi di questi uomini... se questo è un progetto umano, sarà di- strutto; ma se viene da Dio, non potrete annientarli: guar- datevi dal farvi trovare in lotta con Dio » (At 5,38-59). Ma Paulo non sembra aver tratto frutto da tale moderazione. «Q uanto a zelo, persecutore della chiesa» , scrive anco- ra ai Filippesi; « pieno di zelo per Dio » si definisce da- vanti alla folla a Gerusalemme. Il termine zelo traduce male u- na radice ebraica che significa piuttosto: attaccamento, pas- sione, gelosia nel difendere l’unicità di Dio e la fedeltà all’al- leanza. Vari personaggi del Primo Testamento, come il sacer- dote Pinhas (Nm 25,7-9.11), il profeta Elia (1Re 19,10.14), Matatia (1Macc 2,54-58) sono lodati per il loro «zelo» mici- diale nei confronti di idolatri e rinnegati. Paolo è sulla stessa lunghezza d’onda: è appassionato di Dio e « difensore fanatico delle tradizioni dei padri » (Gal 1,14). È convinto che la nuova dottrina predicata da Gesù di Nazaret e portata avanti dai suoi seguaci costituisce un’a- postasia, che sovverte il sistema della Legge e il posto di I- sraele nel mondo. Per di più, Paolo è scan- dalizzato per la sorte toccata al suo fonda- tore: la croce, un supplizio riservato a per- sone nocive all’ordine pubblico, bestem- miatori della santità di Dio, corruttori del- la comunità dei credenti. Da uomo profondamente religioso, di fronte alla nuova dottrina Paolo si sente of- feso e minacciato, insieme a tutto il popo- lo dell’alleanza; per cui si impegna a com- batterla su tutta la linea: « Sempre spirante minaccia e strage contro i discepoli del Si- gnore » (At 9,1). B.B. « S ono un giudeo di Tarso di Cilicia, cittadino di una città non senza importanza » (At 21,39) dice Paolo al tribu- no romano che lo arresta a Gerusalemme. Tarso. Città turca amorfa e deludente, oggi, per il pellegri- no in cerca di vestigia paoline, era veramente importante, grande, attiva, ricca e cosmopolita ai tempi di Paolo. Grazie al suo porto fluviale e alla posizione geografica, Tarso era un fiorente centro commerciale, famoso per le sue tessiture, luo- go di passaggio obbligato per le carovane che dal sud si di- rigevano verso l'altipiano anatolico e il Medio Oriente. Era, soprattutto, una città universitaria. Strabone afferma che, in fatto di educazione, Tarso superava Atene, Alessandria e ogni altro luogo: possedeva «scuole per tutte le discipline delle arti liberali»; vi erano nati 5 filosofi stoici e altri ne ave- vano fatto la loro dimora prediletta (Strabone, Geografia , 14.5.14). Non sappiamo se Paolo abbia frequentato i loro corsi; è certo, però, che ha respirato la cultura ellenica: davanti all’Areopago di Atene citerà Arato di Soli, poeta del 3° seco- lo a.C. (At 17,28) e nelle sue lettere userà volentieri tecniche retoriche e vari concetti della filosofia stoica. « S ono giudeo ... istruito ai piedi di Gamaliele nella rigo- rosa osservanza della legge dei padri, pieno di zelo per Dio, come oggi siete tutti voi » afferma Paolo davanti alla fol- la di Gerusalemme (At 22,3). Radici e formazione ebraiche sono costitutive della sua personalità; e vi rimarrà gelosa- mente e rabbiosamente attaccato per tutta la vita. Scrivendo ai Corinzi rivendica la sua ebraicità contro le ac- cuse dei suoi detrattori: « Sono essi ebrei? Anch'io. Sono i- sraeliti? Anch'io. Sono stirpe di Abramo? Anch'io » (2Cor 11,22). Tre termini che formano un crescendo: ebreo sta a si- gnificare uso e padronanza della lingua ebraica, dimenticata da molti connazionali della diaspora; israelita indica l'appar- tenenza al popolo dell'alleanza; stirpe di Abramo , connota l'assoluta purezza razziale. Nella lettera ai Filippesi (Fil 3,5-6), è ancora più pignolo: « Circonciso l’ottavo giorno » per sotto- lineare che è nato da famiglia scrupolosamente praticante; « della tribù di Beniamino », un motivo di orgoglio per varie ra- gioni: Beniamino è il figlio di Rachele, la moglie preferita di Giacobbe, e unico nato nella Terra Promessa; è la tribù che ha dato il primo re a Israele (egli stesso ne porta il nome, Saul, prima di cambiarlo in Paolo), è rimasta fedele alla dinastia di Davide ed è stato il primo gruppo, in- sieme a quella di Giuda, a ricostruire il tempio dopo l'esilio. « Ebreo da ebrei »: oltre alla purezza razziale, rivendica la schietta formazione ebraica ricevuta in una famiglia di stretta osservanza fari- saica. La Toràh, infatti, faceva obbligo al padre di famiglia di impartire egli stes- so l'educazione religiosa ai figli e di trasmettere loro la conoscenza della Legge (Dt 6,7-20). Era pure tradizio- ne rabbinica fare apprendere ed eser- SONO EBREO E ME NE VANTO Tarso, il pozzo di san Paolo.

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