Missioni Consolata - Dicembre 2006

lo stesso Dio si fa garante dell'autenticità dell'insegnamento di Gesù, «nuovo, e sconvolgente per il contesto in cui viene fatto: un, peccato,ce che sj pente è più gradito a Dio di un superbo che si crede giusto e frequenta il tempio, fa offerte generose e si dedica alla beneficenza. Dio non si può comprare perché nessuno lo può vendere. Dietro al pubblicano pentito in fondo al tempio e al fariseo gradasso davanti alla balaustra si oppongono due concetti di giustizia: quella umana e quella di Dio. I.I principio è codificato dallo stesso Le nel criterio generale: «Egli disse (ai farisei): voi vi ritenete giusti davanti agli uomini, ma Dio conosce i vostri cuori: ciò che è esaltato fra gli. uomini è cosa detestabile davanti a Dio» (Le 16,15). Osservare tutte le prescrizioni religiose, partecipare ai riti di éulto, dare denaro in beneficenza non rende necessru:iamente giusti davanti a Dio. A volte aumenta il peccato. Il fadseo non chiede nulJa; apparentemente ringrazia solo e dichia1a la sua gratitudin~ a Dio per la sua benevolenza e benedizione. E lo stesso atteggiamento del figlio maggiore che dichiara di avere dedicatotutta la vita al servizio del padre, senza chiedeteneppure un capretto per fare festa con gli amici. Chi potrebbe condannare un sìrn.ile atteggiamento? 11 farjseo del tempio è il iigllomag&iote. Al contrario, il figlio minore è scappato di casa, ha peccato, ha dissolto il suo patrimonio, è diventato impuro tra gli impui:i; torna e, secondo la giustjzìa umana, non avrebbe diritto a nulla. Egli stesso pensa di essere escluso dalla gjustizìa paterna, quando dice nel suo intimo: «Mi alzerò e andrò da mio padre e gli dirò: non sono più degno di esser chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi garzoni» (Le 15,18-19). Il figlio minore ha coscienza qi essere diventato servo, cioè uomo senza diritti. Non ba diritto alla giustizia e se il padre lo cacciasse di sua inizJativa lontano da sé, chi potrebbe condannarlo? Allo stesso modo il J?Ubb)icano nel tempio non osa avvicinarsi a Dio; consapevole della sua Presenza, se ne sta in fondo, quasi che il suo stato dj peccato possa contaminare il tempio stesso. Egli è impuro e rende impuro tutto ciò che tocca. Non ha diritto di stare nel tempio (cfLv 10,10; 13,46). La sua preghiera è disperata, simile a quella di Davide dopo l'omicidio di Utia l'Hittita e l'adulterio con La moglie di lui, Bersabea (2 Sam 12,9): «Abbi pietà di me, o Dio, nella tua chesed (amore di tenerezza), secondo l'abbonda02a deJle tue rah.amùu (grembo materno) cancellaJ.l mio peccato» (Sal 51,3). Il pubblicano del tempio è il figlio minore che si butta ai piedi della giustizia di Dio. abbandonando lì la stessa speranza di essere salvato. Secondo la logica umana, il fariseo nel tempio e il figlio maggiore iu casa sono modelli di vita e di fede, mentre il figlio minore e il pubblicano sono la faccia peggjore dell'umanit~. L'uomo si crede giusto quando fa le parti uguali; Dio è giusto quando tra diseguali sceglie il più svantaggiato. IL MESTIERE DI DIO È PERDONARESEMPRE Nelle due parabole Luca espone la dottrina della giustificazione di Paolo (Rm l-9; Ef2,8-10), che si fonda sulla fede e non sulle opere umane, se è vero che «il giusto cade sette volte al giorno» (Pr 24,16); ma è qui che si rivela e si celebra la grandezza di Dio, che chiama ciascuno di noi a imitarlo nel suo comportamento: se tuo fratello «pecca sette volte al giorno contro di te e sette volte ti dice: mi pento, tu gli perdonerai» (Le 17,4). Dio è giustoperchéperdon.a senza tenere conto di meriti e demeriti perché la sua misericordia è radi:cata nel cuore stesso di Dio. Con una frase a effetto si potrebbe dire che il mestiere di Dio è il perdono. È la teologia della croce la sorgente di questa «novità». Su quel legno di m.orte Cristo insieme a sé ha crocifisso anche il peccato dell'umanità (Rm 5,19; cf 3,24-25; Gal 2,21), inaugurando «l'anno dj grazia del Signore» (Le 4,19), che consiste nel dare la giustificazione a coloro che non possono accedervi (Rm 3,23-25; 4,4-8; 5,9-21), perché non hanno ' nemmeno la forza di alzarsi dalla loro debolezza. ' Alla luce di questa spiegazione che allarga la visuale della parabola del figliol prodigo, h:asferendola da storia familiare a simbolo della storia delJa salvezza o della giustificazione, possiamo,meglio comprendere le corrispondenze delle due parabole lucane., ossertandole in sinossi, assaporandone il testo: lr 15 Idue hgli lr 18 frm·,~1 ,. ,1s1hbirn10 11 furisei e gli saibi l!lOlmorovono: •Costui riceve i peccatllfi emangia coo loro• 11 ili oomo avevo dtJe ivi 2~ Il più gioYone... il figlio moggiore " si indii,m enon volevo enm ,i Oro f(M(e che tomo e coso questo tuo fi. glia che ha dilopidoto i !uol beni con le meretrici "Da lorl1i lll1l1Ì io rt servo enon ha mci disubbkito aun tuo comooda... 11 [U minore] rientnnlo in se stesro 'non S0110 pu dqro di essere chloroo!o tuo fi· ~ -Trot1mli come uno dei Mli merceroi 11Podre, oo peccatocon11o foejoeòrmzì ote 1 ' perdi questo mio tiglio era morto ed A ri· tornato i'I lito ' Oissie ancoro ques1u poroboli per m<lllli che (lf8SUtne111llO di BSSere'g1osli'8 .W,,000 glìoltri ,1, Ooo IJOl']lini salirOflO al 19mpio 11 •000 erofuiiseo el'altro pubbl'icaoo 1 ~ Jlimiseo, -stendo in piedi ilbo Dio, ti ringrazio,.. -noo $000 rnme gli òltrl uomini, blrì, Ìf'9USti, adùlreri, e nepl)ll8 rome qwslopubbtòrio "Dìgiooo due voftll lo seltimono e pago le decime ili qOOl1IO possiedo ""U pubblkano fermatosi ndislnnlo, ""1\011 oSIMl nemmeno oliO!a ~I occhi of eia· I&, mesi~ i pèllO diooiò ~o Oio, abbi p1elù di me pecCl!lò!& "r~ pìJbblicllllO I tornò aroso SII\) gill$tìlicO- • lo 8 Suo podre 05Ò per cercare di convincerlo. '"odifferèllzo dell'al!ro, l!Mo egli rispose osuo podie. Simmetrie e contrasti sono evidenti. li fariseo putre lo stesso disprezzo «morale» che il figlio maggiore riserva ver- , so «questo tuo figUo», chepertanto disconosce come «suo» fratello, nonostante il padre glielo ricordi espressamente: ~Questo tuo fratello era morto ed è tornato in vjta» (v. 32). li pubblicano e il fig)io minore non perdono tempo a «giudicare» il comportamento degli altri, ma vivono la pesantezza della loro situazione e offrono quello che hanno: cioè nulla, solo il loro peccato e «distanza• da Dio. Alla fine il fariseo, che «stava in piedi• davanti a Dio, e il figlio maggiore, che non sa accogliere il fratello corrotto, si ritrovano lontanissimi da Dio e aggravati da,un altro peccato; mentre il figlio minore e il pubblicano, che avevano coscienza del Joro peccato, si ritrovano accanto a Dio che li accoglie e li t risuscita~, per farne uomini nuovi. I primi hanno perso tempo a guardare la pagliuzza nell'occhio dei frateJli, sema curarsi della trave che c'era nei loro (Le 6,41-42).; gli altri hanno •gettato» letteralmente il loro peso su di Dio, affidandogli la loro cecità e rimettendosi alla sua misericordia: «Getta sul Signore il tuo affanno ed egli ti darà sostegno» (Sai 55/ 54,23) (coJJtinua -5]. MC DICEMBRE 2006 ■ 63

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