Missioni Consolata - Luglio/Agosto 2006

■ AZERBAIGIAN ■■ ■ ■■■■ ■ Q ui vive la più grande comunità di «ebrei di montagna»: così furono chiamati dai russi questi ebrei,che parlano un dialetto persiano e che nelle abitudini e nell'aspetto non si distinguono in nulla dagli altri abitatori del Caucaso. Sulla loro origine circolano le ipotesi più disparate,alcune decisamente leggendarie,come quella che vi vedrebbe le perdute tribù d'Israele, o l'altra che li farebbe un resto del popolo turco dei khazari, che occuparono il Daghestan nei secoli vI-x e che avevano il giudaismo come religione di stato. Secondo un'altra tradizione sarebbero un ramo degli ebrei di Babilonia.Tuttavia, l'ipotesi più accreditata è che siano i discendenti degli ebrei persiani, mandati dai Sasanidi nel vI secolo a popolare il Caucaso orientale, estrema periferia del loro impero e regione di grande importanza strategica.Quel primo nucleo avrebbe poi raccolto nel corso dei secoli flussi migratori di ebrei provenienti sempre dalla Persia,soprattutto dalla regione caspica del Gilan,e da altre parti del Caucaso. Non si sa quante migliaia di «ebrei di montagna»vivessero nel territorio degli attuali Azerbaigian e Daghestan, quando i russi vi arrivarono all'inizio del xix secolo. Un volontero24 ■ MC LUGLIO-AGOSTO 2006 Ponte pedonale che congiunge Quba a Krasnaja 5/oboda: sulla destra il brutto ristorante. so ricercatore ne contò circa 21 mila nel 1888, di cui 6 mila solo a Evrejskaja Sloboda,il Borgo Ebraico,diventato Rosso, Krasnaja, dopo la rivoluzione del 1917. Alla fine degli anni Settanta del secolo scorso erano,secondo stime approssimative,50-52 mila.Con la perestrojka, però, molti cominciarono a trasferirsi in Israele, in America, o in Germania.Ve ne sono tuttora dei nuclei a Mosca e in altre città della Russia e c'è anche una grossa comunità a Baku. Con la fine dell'Urss e l'introduzione del libero mercato, hanno avuto modo di manifestare appieno il proprio spirito imprenditoriale, si sono dati al commercio su larga scala;e le cose devono andare abbastanza be- , ne,a giudicare dalle palazzine che stanno sorgendo nel «Borgo Rosso». N onostante l'alacre attività che si sospettava nei cantieri, sebbene fosse sabato, giorno del riposo (che fossero muratori azeri?), per strada di passanti ce n'erano pochi;così per scambiare due parole ho pensato di andare alla chaikhane, dove gli uomini si trovano a bere il tè,chai,a fumare,o a giocare a nardi, una sorta di dama mediorientale. Gli awentori erano per lo più signori anziani; uno di loro, che nel frattempo aveva fatto arrivare al mio tavolo una teiera bollente, mi ha spiegato che tanti giovani del paese sono in giro per il mondo; i suoi figli, ad esempio, vivono a NewYork, lui, però, non ha nessuna voglia di lasciare la sua casa per raggiungerli. Eravamo ormai al tramonto, ma nessuno degli awentori pareva intenzionato ad andare alla funzione del sabato sera; io, invece, avrei voluto assistervi, così ho chiesto al mio ospite di indicarmi la strada per la sinagoga. L'ho visto imbarazzato.«Nel Borgo ce ne sono sette, mi ha spiegato, ma solo una è aperta e non la più interessante». Ci potevo andare, naturalmente, ma poi mi consigliava di fare un salto a una delle due feste di matrimonio che si preparavano per la serata. Come straniera avrei dovuto considerarmi invitata.Sarebbero state feste ricche, con molti invitati provenienti da ogni parte e cantanti azeri fatti venire apposta da Baku. Era chiaro che,a suo awiso,quella parte della serata sarebbe stata per me di maggiore interesse. Mentre seguivo le indicazioni per l'unica sinagoga aperta,sono riu-

RkJQdWJsaXNoZXIy NTc1MjU=