Missioni Consolata - Giugno 2006

■ BOSNIA D opo_tre anni di lavoro, il gruppo s1 sente pronto a trasmettere le nozioni acquisite sui banchi della scuola di pace e l'esperienza viva dell'incontro con l'altro. Attraverso la collaborazione con l'associazione di volontariato Faros di Atene, nell'estate 2004, i 9 partono alla volta della capitale greca; a loro si uniscono quattro ragazze e un ragazzo di Cremona. Per la prima volta conducono la formazione di un gruppo di coetanei greci. Una volta tornati in Bosnia, i ragazzi, entusiasti, esprimono la volontà di migliorarsi nelle competenze raggiunte e nella capacità organizzativa. Il gruppo dedica le settimane finali di luglio 2005 alla elaborazione di nuovi materiali dialettici e concettuali, acquisiti con l'esperienza greca, ealla organizzazione delle giornate in cui si sperimenteranno nuovamente come formatori. L'avventura formativa ha un simbolico inizio: una festa svolta nella scuola di 0rahovica, che coinvolge i genitori, 12 ragazzi di età compresa tra gli 11 e i 14 anni, i direttori didattici. L'organizzazione è rigorosamente interetnica.Così il cerchio si allarga; i nuovi partecipanti appartengono ad altre due comunità: quella musulmana Dobosnica e quella serba Krtova (frazione della prima). In quel caldo pomeriggio estivo, musulmani e serbi,di generazioni diverse, si avvicinano timidamente. Sullo sfondo dell'aula appaiono appesi i poster che illustrano i pericoli delle mine antiuomo e ricordano il peso del passato. «Credo e ho sempre creduto in questo progetto - esordisce Jelica - e sento la responsabilità verso il grup66 ■ MC GIUGNO 2006 ■■ ■■ ■■■■ La casa ricostruita di Samina, ragazza sfuggita alla pulizia etnica. po e verso mia sorella di 14 anni, che voglio che impari qualcosa di nuovo per la vita.Voglio essere utile a tutti». Svetlana di Petrovo prosegue:<<È mio desiderio mettere in pratica ciò che ho imparato in questi anni,all'inizio è stato un gioco, ma ora è scuola; , ed è qualcosa dentro di me che uso per migliorare i miei rapporti con la gente».Sulio,che con la cugina_Samina condivide il triste esodo e il massacro del padre, conclude: «Dobbiamo creare legami fra noi sempre più forti». Èl'inizio di un alternarsi di giornate, tra le aule scolastiche di parte musulmana e serba, in cui si fa strada un difficile equilibrio, costituito dalla volontà di comunicare neutralità e apertura verso le comunità. Il nuovo gruppo,quello composto dai ragazzi più giovani, mostra da subito una disinvolta capacità di amalgamarsi;capacità che progredisce di ' esercizio in esercizio e che li differenzia dai loro formatori. Questi, infatti, necessitano ancor oggi di qualche spinta esterna per non creare gruppi monoetnici,a dimostrazione del fatto che più è lontana la memoria diretta della guerra più è naturale l'incontro fra gruppi diversi. «È bene che i miei figli facciano quello che noi non facciamo più» dice Boro Stamenic, padre di Milka,dodicenne serba,scampata al rogo della sua casa nel 1996, cresciuta in un campo profughi vicino a Belgrado e ora di nuovo nella casa ricostruita. Gli adulti hanno ricordi vividi e forse insormontabili: le case bruciate e sventrate, lasciate per non morirci dentro; i faticosi ritorni alla propria terra dopo anni da profughi; le catene di torti, rivendicazioni, odi subiti e perpetrati; le ferite sulla pelle, gli arti mancanti e gli affetti perduti. 11 nazionalismo più fanatico è tuttora presente e domina il contesto economico, politico, sociale e culturale. La linea di confine, tracciata 1O anni fa a 1O mila chilometri di distanza,è nella carta, nella terra e nella mente. Così è possibile che sulla scrivania dell'ufficio del direttore della scuola di Krtova,che ha ospitato parte delle attività estive dei ragazzi, campeggi una cartina della Serbia e, dietro, un quadro di principi serbi. I luoghi di divertimento sono separati e hanno nomi che definiscono in modo netto la provenienza culturale. Ei genitori, fra i quali si contano molti ex combattenti, indietreggiano di fronte a un loro impegno in prima persona. Sul fronte istituzionale,del resto, nessuna autorità promuove veramente la riconciliazione.Gli attori internazionali riconosciuti (0nu, Nato, 0sce, Eu,chiese) hanno, per diverse ragioni, ridotto notevolmente gli sforzi in tal senso. Queste popolazioni sono lasciate pressoché sole acercare una nuova forma di convivenza non violenta se non proprio pacifica. C'è ancora il bisogno di terze parti imparziali ed esterne, che favoriscano il riavvicinamento fra le etnie e che sappiano introdurre nel dialogo contenuti di rispetto per la dignità umana. Èd'importanza vitale la creazione di occasioni d'incontro e dialogo fra le comunità, oltre a quelle che spontaneamente crea il commercio. Spesso avviene che si superi il confine per andare ad acquistare beni che dall'altra parte sono più convenienti. A fronte di tutto ciò, ecco che l'esperimento di 0rahovica e Petrovo assume la valenza di progetto pilota per la ricerca della pacificazione interetnica. Eil risultato sembra essere posto esclusivamente nelle mani delle giovani generazioni, alle quali è richiesto di svolgere il lavoro più imponente nel processo personale e collettivo nel superamento dei risentimenti e nella riappacificazione dei cuori, per creare una dimensione dinamica della pace che vada al di là delle logiche di potere. ■

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