Missioni Consolata - Aprile 2006

l i MAJUNE (MOZAMBICO) l l TEMPO l DI CARESTIA l l l l 1 Q ui a Majune, siamo entrati 1 nella stagione delle piogge, • con fortissimi venti, che Ì volentieri distruggono le capanne e 1 i tetti delle abitazioni in muratura. : Siamo anche in tempo di carestia, : dovuto al magro raccolto passato. 1 Visitando le famiglie all'ora del : pasto, capita di vedere bambini pie- : coli scheletriti che succhiano bucce l di mango, oppure mangiano qual1 che decina di chicchi di mais abbru- ' stolito o pezzi di manioca, vecchia e 1 tarlata, o un po' di pappetta di mais, : molto diluita con acqua. : l ragazzi più grandi e gli adulti guar1 dano quel poco cibo con aria cupa, : perché a loro tocca rimanere com- : pletamente digiuni. In altre famiglie, : i genitori possono invece decidere 1 di lasciar morire di fame qualcuno l dei figli, senza che nessuno si senta i in dovere di intervenire, n_emmeno 1 per awisare i missionari. E lo spirito : del «deixa andan> (lasciarsi andare), : di cui frequentemente parla il presil dente del Mozambico, Armando l Guebuza. l Se siamo in tempi di carestia è l anche a causa della diffusa incapa1 cità della gente di organizzare la 1 propria vita e pianificare in qualche : modo il futuro. Tanti, per esempio, ! si dedicano alla coltura di tabacco e : cotone, invece di coltivare generi i alimentari. Si illudono di ricevere 2 euro per ogni chilo di tabacco e, in l teoria, potrebbero guadagnare 3 1 mila euro in un anno; eppure sono anni che le compagnie commerciali ingannano i tabacchi-coltori, promettendo 2 euro, ma pagando alla fine solo 7 centesimi al chilo, con la 1 scusa della bassa qualità e degli alti : costi di concimi e antiparassitari, 1 che vengono anticipati dalla coml pagnia stessa. Peraltro, proprio a ' causa delle sostanze chimiche, il Distribuzione di granoturco in tempo di carestia. JO • MC APRilE 2006 terreno viene danneggiato e le acque circostanti registrano gravi morie di pesce. Comunque, sia che coltivino tabacco, sia che coltivino mais, molta parte dei soldi ricavati dalla vendita dei raccolti vengono spesso dilapidati in alcolici e beni voluttuari: così ogni anno, nei mesi di magra, quelli che precedono il nuovo raccolto, molte famiglie vengono da noi a chiedere cibo. Questa situazione è diffusa in tutta la provincia del Niassa e, probabilmente, anche nel resto del Mozambico. Anche la pratica di incendiare savane e foreste, per liberare nuove terre contribuisce alla carestia: la selvaggina fugge e gli animali vanno a procurarsi il cibo nelle colture dei contadini. Missionari e funzionari governativi hanno parlato e continuano a parlare di abbandonare tale pratica distruttiva, ma pochi ascoltano. Alcuni se la ridono, almeno fino a quando la dispensa contiene del cibo. N oi missionari interveniamo per aiutare le famiglie, là dove la fame è più drammatica ed evidente, cercando sempre di coinvolgere gli abitanti dei rispettivi villaggi, perché contribuiscano con la loro solidarietà nel soccorrere i più poveri. Ma non è facile. La gente è molto restia ad aiutarsi vicendevolmente, anche se quasi tutti, dal bambino al vecchio morente, dal contadino al funzionario governativo, quando ci vedono, intonano il medesimo ritornello: «dammi un po' di denaro». A volte mi domando (e domando loro), che senso abbiano avuto dieci anni di guerra d'indipendenza contro i portoghesi, quando poi la «cultura del mendicante» è così diffusa. La gente risponde che è «il colore della pelle». Anche se non è facile, stiamo cercando di mettere in piedi un gruppo caritas, una specie di associazione locale di solidarietà, coinvolgendo persone di buona volontà, cristiani e musulmani. Il tentativo non è nuovo, ma non sempre è riuscito. Ora ci proviamo nuovamente. Lavoriamo pure con gli alunni delle scuole secondarie, che beneficiano di nostre borse di studio. Per loro organizziamo corsi dopo-scuola di approfondimento delle discipline scolastiche, informatica e, soprattutto, di solidarietà: nel fine settimana li coinvolgiamo nelle nostre visite e nell'aiuto a qualche bisognoso. PAOLO DERJU

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