Missioni Consolata - Aprile 2006

Il GIBUTI 1111 1111 11111111 anche animazione missionaria. Nel mese di gennaio, per esempio, abbiamo celebrato due giornate dell'«infanzia missionaria»: l'una per i ragazzi nella scuola La Salle, l'altra per le ragazze in quella di Boulaos. Naturalmente, essendo in un paese musulmano,abbiamo cambiato i termini, chiamandola «giornata dell'infanzia solidale». Abbiamo spiegato il significato di solidarietà e uguaglianza, dicendo loro che tutti i bambini e bambine ·del mondo sono amati da Dio, per cui sono uguali, hanno gli stessi diritti e doveri, soprattutto, hanno diritto a un'infanzia felice. Ciò diventa possibile quando ognuno di loro condivide il poco che ha per creare la «grande amicizia» di tutti i bambini. La risposta di alunni e genitori è stata commovente:tanti sono venuti alla celebrazione portando cibo, soldi, vestiti e materiale scolastico, che poi abbiamo distribuito ai bambini più poveri di Gibuti. Per il resto, viviamo il nostro sacerdozio celebrando ogni mattina la messa per le suore. Epoi solennizziamo il fine settimana. li venerdì a Gibuti è come la domenica per noi: non si lavora e anche la Caritas è chiusa. li giovedì pomeriggio e il venerdì sono il nostro fine settimana.Questo, a dire il vero, non l'ho ancora assimilato. Nella città di Gibuti ci sono solo due luoghi di culto cattolico: la cattedrale e una cappella. li venerdì, alle 8 del mattino, celebriamo nella cappella la messa a cui partecipano una cinquantina di fedeli: di solito sono etiopi, indiani, qualche cattolico francese. La domenica è giorno di lavoro; ma alle 7 di sera, in cattedrale, Incontro del personale missionario presso la cattedrale di Gibuti. concelebriamo la messa con il vescovo, a cui partecipano circa 200 persone. Fuori della capitale ci sono tre paesini in cui operano delle comunità missionarie e dove, a turno, si celebra il sabato o la domenica. LE NOSTREGIOIE Un giorno una mamma portò alla Caritas la sua bambina paralizzata, a causa di una brutta caduta, diceva lei. Ma all'ospedale scoprimmo che la madre ci aveva mentito: la bambina era paralizzata dalla nascita. Vera, però, era la sofferenza di quella mamma nel vedere la sua bambina in quello stato. Si era messa in testa che certamente qualcuno avrebbe potuto fare qualcosa per guarirla.Cercammo di aiutarla come ci era possibile: le feci qualche visita, portando dei vestiti per la bambina e altre cose utili. Alcuni mesi fa, quando dovetti ricoverarmi per qualche giorno all'ospedale militare, la donna venne a visitarmi, ma non la lasciarono passare, essendo il controllo molto severo, specie per la gente del luogo. Quando tornai a casa, trovai una bottiglia di succo di frutta, una di latte, frutta di vario tipo e altre cibarie: non avendo potuto portarle all'ospedale, la signora me le ha fatte trovare nella nostra abitazione. Efu una gradita sorpresa: non mi aspettavo tanta riconoscenza e gentilezza da una donna musulmana, per di più povera. A volte i musulmani mantengono le distanze verso di noi; altre volte siamo noi a tenerle nei loro confronti. Ma episodi come questo mi fanno capire che è possibile stabilire una relazione di amicizia che va al di là della razza, nazionalità e religione.Questo è un piccolo fatto che mi aiuta ad avere fiducia nella missione che stiamo facendo. Naturalmente le motivazioni più profonde per la nostra presenza in un ambiente musulmano hanno ral giovani sono il futuro dello stato di Gibuti. A destra, danza di alcune alunne della scuola La Salle per la festa di fine anno.

RkJQdWJsaXNoZXIy NTc1MjU=