Missioni Consolata - Febbraio 2006

MISSIONI CONSOLATA 11 11111111 1111 ----------------------------------------------------------------------------- -- --------------------------- ~ puntuale all'appuntamento, ma trema come una foglia, terrorizzato. Anch'io tremo: è evidente che entrambi non siamo assolutamente pronti a un verdetto mortale, purtroppo molto probabile.Quando l'infermiera viene per darci la risposta, ci guarda 1 in faccia un po' perplessa ed esitante; , rientra in laboratorio, esce di nuovo, entra nell'ufficio del medico, il dottor Kabeya.AIIa fine ci dice:«Tornate martedì».AIIora capisco che il test è positivo. Forse lo intuisce anche Kikanda.Ma entrambi preferiamo far finta di non capire econtinuare a mentire anoi stessi, reciprocamente, una realtà troppo pesante per essere accettata. Il martedì,anziché la stessa infermiera, è lo stesso dr.Kabeya a riceverci. L'avevo conosciuto all'epoca del mio primo stage all'Ospedale St.Joseph, nel1991.Padre di 8 figli, si distingueva già allora d~gli altri colleghi medici per la sua umanità; sono contenta di scoprire che adesso è lui ad occuparsi dei malati di Aids e, in generale, di tutti coloro il cui test risulta positivo.Ci riceve con un largo sorriso sul volto amico, come per farci coraggio, perché sa che anche il test di Kikanda è positivo. Quando il medico ci comunica il risultato, Kikanda reagisce in un modo 1 <fisiologico»: scoppia in un pianto inconsolabile. Lo lasciamo fare, anche perché ho tanta voglia di piangere anch'io. Kikanda, fra le lacrime, implora che io possa far venire sua moglie da Kimbau,con i bambini. Maman Aimedò èsposata con Kikanda da 12 anni; che speranza c'è che lei e i suoi figli siano sieronegativi? Farla venire aKinshasa sarà un'occasione per eseguire il test anche su di lei e, se positivo, anche sui figli più piccoli. l l l l PIÙ DELLA PAURA POT~ L'AMORE Mentre Kikanda procede con altri controlli, tutti carissimi e interamente a nostro carico, io,dopo aver cercato inutilmente fondi per gli antiretrovirali (non posso certo spendere per lui ciò che è destinato al progetto), tornoa Kimbau. Nel successivo viaggio alla capitale,vengono con me Aimedò e il biml : Mamma e bimbo: la vita continua. bo più piccolo, l'unico che ha un rischio eventuale di venir contagiato, perché prende ancora il latte materno.Entrambi sono spesso (troppo spesso!) malati.Ma dopo i fatidici cinque giorni, abbiamo una sorpresa: il test di Aimedò è negativo! Il dr. Kabeya mi chiede di parlarne adentrambi, perché occorre, d'ora in poi, proteggere Aimedò e il bambino dal rispettivo marito e padre,divenuto, paradossalmente, una minaccia per la loro salute.Quando li riunisco per dirglielo, ho un'altra sorpresa: Kikanda reagisce male alla notizia: «Mia moglie mi abbandonerà». La profezia è destinata ad awerarsi:appena viene messa al corrente Aimedò prende con sé il bambino e riparte subito per Kimbau. Da allora in poi, rifiuterà di rivedere il marito, che implorerà insistentemente, ma invano, la sua presenza vicino a lui. Grazie al mio aiuto e aquello di alcuni amici italiani, Kikanda inizierà un costosissimo trattamento antivirale, anche se continua a ripetere che molti malati nella sua condizione possono convivere con il partner discordante ed avere relazioni grazie al preservativo.Ma sua moglie si irrigidisce: non vuole proprio più sentirne di tornare dal marito! Non mi ci vuole molto acapire l'origine delle sue paure: nonostante le mie raccomandazioni, Kikanda ha avuto con lei, almeno una volta, una relazione sessuale senza utilizzare il preservativo; ciò, prima che lei realizzasse il test e, in quel modo, potesse sapere la verità sulla sua sieronegatività, mentre lui già sapeva di aver contratto il virus! «Perché l'hai fatto, Kikanda? Non capisci che è proprio questo il motivo del rifiuto di Aimedò di vivere assieme a te?».Mi risponde singhiozzando e tremando come una foglia. «Lo so, ho sbagliato, perdonami, ma io volevo generare un altro figlio, prima di morire». Passano altri due anni di separazione.Aimedò è aKimbau:l'ho assunta in accettazione per sostituire suo marito.Adesso Kikanda sta meglio fisicamente e lavora aKinshasa, in un centro medico privato.Con quello che guadagna si paga da solo gli anti-retrovirali. Riceve ancora l'aiuto irregolare di amici italiani,che non hanno il coraggio di tagliargli il trattamento, anche se mi chiedono, forse giustamente, se non sto commettendo un privilegio:«Perché a lui sì ea tutti gli altri no? Perché aiuti un singolo e non la collettività?». Non so più che rispondere, salvo dar loro ragione; ma çontinuo a inviare in Italia le lettere disperate di Kikanda, in cui lui continua a implorare, non solo di non abbandonarlo, ma di consentirgli il ricongiungimento familiare, giurando che applicherà tutte le dovute precauzioni per proteggere sua moglie. Aimedò continua a rifiutare e io, owiamente, le dò ragione, anzi la incoraggio a non partire,a proteggere se stessa e il suo futuro: Kikanda cerca un figlio, per possedere un briciolo di eternità, non utilizzerà il preservativo e lei, che in fondo lo ama, teme che non riuscirà a resistergli. Finché, nel mese di settembre 2005 ci arriva una notizia:chi conosce le vie del Signore? Il messaggio radiofonico ci informa che Kikanda ha avuto un incidente stradale e·si è fratturato il femore. È sotto trazione al centro medico privato dove prima lavorava,abbandonato a se stesso, incapace di pagare le cure e ormai nei debiti fino al collo. EAimedò viene da me, i grandi occhi allarmati e pieni di lacrime edi paura:«Se lo raggiungo adesso, cosa rischio?». Stavolta la tranquillizzo:finché lui sarà immobilizzato sotto trazione, lei non rischia nulla! Allora Aimedò parte per Kinshasa, con i figli, per occuparsi del marito.Ecapisco finalmente che Aimedò l'ama ancora. L'amore perfetto vince la paura. • MC FEBBRAIO 2006 • 13

RkJQdWJsaXNoZXIy NTc1MjU=