Missioni Consolata - Febbraio 2006

Il UNAVOCE DAL CONGO 1111 111111 111111 ABondo (Repubblica Democratica del Congo) si trovano in prevalenza nonni ebambini: la guerra sta disgregando la società tradizionale. smo, alcolismo, nutrizione ed altri temi prioritari di educazione sanitaria e prevenzione. Purtroppo, nel frattempo, chi è ammalato di Aids, dovrà scegliere fra il negario a se stesso e agli altri e il crollare nella disperazione perché, almomento, non gli può essere garantito alcun trattamento. Alcuni,magari, cercheranno disperatamente di generare ancora un figlio prima di morire, senza considerare le possibili, drammatiche, conseguenze. VITETRAVOLTE DALL'AIDS La storia di Albert Kikanda è esemplare di questa tragedia che si sta consumando in Congo.Aito,slanciato, prestante, campione di calcio, innamoratissimo di sua moglie Aimedò Mambanzi e legatissimo ai cinque figli, Kikanda presenta i primi sintomi della sua sieropositività appena diplomato infermiere specializzato e nominato «supervisore per casi di lebbra e tubercolosi». Non fa nemmeno in tempo a installarsi nel suo nuovo ruolo, che comincia a vivere su se stesso il dramma dell'autodiagnosi progressiva. t il mese di giugno del1999 e Kikanda scopre il bacillo di Koch nei suoi stessi polmoni.«Tu sei sempre acontatto con i malati, per forza sei esposto. Non fumi, non bevi,ma forse hai sudato troppo durante l'ultima partita; puoi aver preso freddo». Poi, gli parlo di un noto campione di calcio italiano degli anni '70, che ha sofferto di tubercolosi, ma poi è diventato più forte di prima.Mi sorride amaro,pensa aquella sua fidanzata a Kenge,quando lui aveva ancora 20 anni, prima di conoscere Aimedò.Era bella, ma poi si è ammalata di tubercolosi, è guarita, ma è morta lo stesso,misteriosamente. Anche Kikanda guarisce,grazie alla curachecercadi avere per se stesso. Dopo qualche mese ricomincia a giocare acalcio; intanto, impara ad operare, mentre continua a seguire i malati di tubercolosi. Sta bene fino al 1 luglio 2001, poi ricomincia la febbre. 72 • MC FEBBRAIO 2006 Un giorno mi chiama in disparte, nel retrobottega della farmacia «ho delle bollicine sul pene»,mi dice.Mi basta un'occhiata per fare la diagnosi,che lui, d'altronde, già conosce fin troppo bene: «t un herpes Zoster».Glielo nomino chiaro e tondo, col nome scientifico, sapendo cosa significa avere il «fuoco di sant'Antonio»per qualcu1 no che ha già sofferto di tubercolosi. Non pronunciare il vero nome,mi sembrerebbe di offendere la sua intelligenza.Ho un campione di Aciclovir e glielo dò.Guarisce, ma il gonfiore delle ghiandole linfatiche all'inguine non scompare.Dopo un po' le scopre sul collo, sotto le ascelle... La febbre ricomincia, associata adolore addominale e adiarrea intermittente.«Non ti sarai mica beccato il tifo?», gli chiedo. Sarà, ancora una volta, il trattamento tubercolostatico aottenere la fine dei sintomi.Quando viene aKimbau il coordinatore provinciale di «lebbra e tubercolosi», trovandolo di nuovo malato,mi chiede perché Albert non ha mai subito il test di Dupont (Hivcheck). Gli spiego che qui aKimbau abbiamo chiamato quest'esame «test Mambanzi»perché la sola persona autorizzata a praticarlo è papà Mambanzi, il decano degli infermieri,ma anche il padre di Aimedò, suocero, quindi,di Kikanda.Non può certo essere lui a porre una diagnosi del genere asuo genero e, forse, subito dopo, anche a sua figlia, e ai figli di sua figlia, specialmente il più piccolo che è spesso malato... Partiamo assieme alla volta di Kinshasa nell'agosto 2001..Compiamo un viaggio rocambolesco,su un camion che cade per tre volte in panne in 500 Km. Lo accompagno all'Istituto Nazionale di Ricerca Biologica (lnrb) per prelevare il test, che ci costa un occhio della testa: fortuna che è venuto Salvatore per darci una mano. Ci danno appuntamento per cinque giorni dopo,ma il giorno stabilito, Kikanda, non si presenta all'appuntamento che ci siamo dati presso l'lnrb.lnutilmente l'aspetterò per più di un'ora: non verrà, ha troppa paura. Benché io sia medico curante, non ho diritto di ritirare quel test anome suo.Ci metterò un anno per convincerlo che non devo essere io a ritirare il test,ma deve essere lui, in persona. 1 Nell'ottobre 2002,siamo di nuovo as- : sieme all'lnrb,ma quando chiediamo : di ricevere la risposta di un esame : vecchio di oltre un anno ci mandano : letteralmente al diavolo: «Non poteI : vate ritirarla asuo tempo? Adesso : dove la troviamo?». lnsisto,dicendo : che con quello che avevamo pagato : potevano ben conservarci la rispo- : sta.Alla fine li mando al diavolo anl : ch'io: possibile che non capiscano la : tragedia umana di chi, come Kikan- : da, percepisce il test positivo come : una condanna amorte e, quindi si re- : siste a ritirario? Per convincerlo a rifal l l l l l l l l l l re il test ci vorranno altri 6 mesi; Kikanda è sempre più magro,sempre più malato. Quando andiamo assieme a ritirare il test, Kikanda stavolta si fa trovare

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