Missioni Consolata - Febbraio 2006

MISSIONI CONSOLATA Il Il Il Il -Il Il Il i trattamenti antiretrovirali,commenta: «Le donne continuano ad avere uno status sociale inferiore rispetto all'uomo. Dunque, non hanno voce e sono spesso oggetto di abusi anche fisici. Basti pensare che in questo paese si registra più di un milione di stupri all'anno.Molti dei quali non denunciati». lenziosa e paziente assistenza ai malati.Come Matsediso Mthethwa, che vive aDaveyton, una township a pochi chilometri da Johannesburg, dove padre José Luis Ponce de Le6n, missionario della Consolata, ha creato un gruppo di volontari che si dedicano all'assistenza domiciliare. sentiva di assisterle.Eallora, insieme auna vicina, ho cercato di occuparmi di loro.Molti malati continuano a morire nel nascondimento,senza nessun tipo di assistenza perché loro stessi e i loro familiari ancora si vergognano di questa malattia che è sinonimo di maledizione e tabù». Non è medico, ma si rende perfettamente conto che l'Aids è innanzitutto donna, anche chi presta una si- «Le mie prime pazienti sono state due sorelle, la più grande allo stadio terminale. La loro famiglia le aveva abbandonate. La madre non se la È per combattere lb stigma, prima ancora che la malattia in sé, che padre José Luis aveva awiato un analogo progetto di assistenza domiciliare ~~ · LA FORZA DELLA SPERANZA A lringa, una cittadina nel centro del Tanzania, abbiamo incontrato suor Zita Amanzia Danzero, piemontese di origine, missionaria della Consolata, in Africa da/1973. S ono partita molto presto per la missione. Ho trascorso i primi 7 anni in Uberia, e ho ,lavorato in una scuola superiol'e come insegnante e preside. Nel1980 in Uberia è scoppiata la guerra e sono stata trasferita in Tanzania, dove sono dal 1981. Anche qui la mia prima esperienza è stata fra i giovani, gli alunni del seminario minore della Consolata, in cui ho insegnato matematica, chimica e biologia per 8 anni. Con alcuni di loro, diventati sacerdoti, siamo ancora in contatto e collaborano con me nell'istruzione che diamo qui a «Casa lrene»: il nome ricorda la vita di una nostra suora, morta di peste dopo una visita a un maestro ammalato. Partendo proprio da suor /rene, raccontaci un po' del vostro carisma dimissionarie della Consolata. Il nostro è il carisma della prima evangelizzazione, cioè l'annuncio di Gesù ai popoli. Il nome di missionarie della Consolata dà la dimensione particolare della consolazione, che parte dalla contemplazione di Maria Consolatrice. Quindi, siamo chiamate a evangelizzare i popoli, ma con questo atteggiamento di vicinanza: chinarsi su ogni persona, attraverso l'ascolto, la bontà, la partecipazione alla sue sofferenze, portando Gesù. Quale sfida ti viene della realtà che vivi qui oggi? Dopo tanti anni vissuti tra i poveri, sento tutta la mia impotenza. L'unica cosa che posso trasmettere è la speranza. l poveri non sanno dove andare e la fede nel Signore è ancora la loro forza. Come missionaria, sento di dovere essere uno strumento per far si che questa speranza non vada perduta. La grande sfida è questa: ogni giomo dare nuova speranza, anche quando non me la sento, quando io stessa l'ho perduta; continuare a credere che il Signore ha le sue vie di salvezza e che, se manda qualcuno da aiutare, posso farlo con la forza che attingo da lui. Spesso la persona che mi ascolta mi sconcerta, perché accoglie e dice: «Grazie, sister, mi hai veramente confortato e torno a casa con questa gioia»; anche se, in realtà, toma a casa con gli stessi problemi che non sono riuscita a risolvere. Un altro aspetto molto bello del mio lavoro è che non dobbiamo rispondere soltanto alle emergenze, ma andare a fondo della situazione, per vademe le cause. La prima di queste è r~gnoranza, dovuta a mancanza di istruzione, perché non c'è la volontà politica di istruire i poueri.Una grande sfida alla chiesa, ai missionari, quindi, è quella di dare ai poveri il meglio che si può, anche nell'istruzione, formando piccoli gruppi di leaders, perché si facciano formatori nei loro villaggi. Qui, a Casa lrene abbiamo un centro di formazione per gruppi di laici: giovani delle scuole superiori, catechisti, ragazze che studiano nelle scuole professionali; diamo loro una formazione umana, cristiana e anche di prevenzione dell'Aids. Uberiamo, cosi, le persone dalle loro paure ataviche, che le portano a legare questa malattia a stregoneria o maledizioni. Ecco la grande novità: pensano di essere maledatte, dimenticate da Dio e noi, invece, diciamo loro: «Tu sei amata da Dio così come lo sono io; Dio non mi ama di più per. ché sono bianca e vengo da un paese ricco». Ci sono cause storiche che hanno portato alla situazione attuale, ma dobbiamo aiutare a credere che Dio non c'entra, che ama anche dentro una storia di sofferenza. MC FEBBRAIO 2006 • 15 l ' l l l

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