non soltanto della corteccia cerebrale per un certo numero di ore, ma anche dei centri cerebrali int~rni coordinatori delle funzioni O(ganiche, quali la respirazione, il battito cardiaco, i riflessi nervosi» (1). Pazienti in tali condizioni cliniche vengono mantenuti in vita grazie all'esistenza di strutture sanitarie complesse, quali le terapie intensive. In tali reparti il monitoraggio dei parametri vitali, il controllo ed il mantenimento del battito cardiaco e della funzione circolatoria, l'utilizzo di ventilatori per il supporto alla respirazione, tengono in vita malati in condizioni gravissime. In tal modo, pazienti clinicamente morti, owero con morte cerebrale, possono essere sottoposti ad un eventuale espianto. ' Enecessario fugare molte perplessità sollevate riguardo ad una condizione affine alla morte cerebrale, cioè il quadro definito di coma. In questa situazione, causata da molteplici fattori patologici o traumatici, si verifica un obnubilamento dello stato di coscienza, per cui il paziente non reagisce più agli stimoli esterni, compresi quelli dolorosi. Il coma non deve esser considerato una malattia: è sempre l'espressione di un processo, che direttamente o indirettamente ha coinvolto il cervello e ne ha causato una ridu.zione funzionale tale da produrre incoscienza. Un primo elemento da porre in evidenza è, in questi casi, l'incompleteua della compromissione funzionale: un'attività cerebrale residua è infatti sempre presente e può essere registrata tramite elettroencefalogramma. Un secondo elemento è la reversibilità: dopo alcune settimane alcuni pazienti ricominciano ad aprire gli occhi e riacquistano funzioni, come queUa respiratoria ed intellettiva, la consapevolezza di sé e dell'ambiente circostante. Nei casi restanti, invece, il coma può divenire irreversibile e lo stato di vigilanza apparente prende il nome di stato vegetattvo persistente (Psv). Ciò awiene quando le lesioni riportate danneggiano le funzioni più complesse del cervello, ma risparmiano le strutture, sede delle funzioni vegetative. In quest'ultimo OPINIONE PUBBUCA ETRAPIANTI Quali sono i limiti? Esistonodci limiti nellamedicina? Esiste un limite ai trapianti?Questi gli interrogativi che frequentemente ci poniamo, quando constatiamo che il progresso scientifico abbatte barriere sino a ieri insuperabili. Sono interrogativi elementari,ma non per questo privi di buon senso, di guella sapienza che è sollécita nel custodire il valore della vita ed il suo signiticato. A tutti è nota la situazione attuale: le possibilità di trapianto si estendono sempre di più,nuove frontiere si schiudono sotto i nostri occhi.Al di là delle tecniche onnai convalidate, pare di essere talvolta di fronte ad una «medicina trapiantista>>, frutto di una «mentalità trapiantista». Diversi aspetti, tuttavia, inquietano 1' opinione pubblica. Ad esempio, la necessitàdi avere a disposizione unmaggior numero di organi può indurremedici senza scrupoli a non essere rigorosi nèl.l'accertan1ento della morte. Le ragioni dellamedicina dei trapianti possono generare una «cultura della predazione>>. Molte sono ancora le paure ancestr-ali dèl.la profanazione dei corpi, molti i timori su possibili abusi compiuti in nome della scienza. La confusione, spesso derivante anche dalla disinformazione e da una cenamalasanità, puòessere parzialmente superata con l'educazione e richiamando i principi etici fondamentali dèl.la questione. La vera soluziQne al problema è da ricercarsi in una capillare 9J.'era di sensibilizzazione che serva alla diffusione di una nuova cuJtura, affmché la donazione divenga sempre più un atto libero, gratuito e spontaneo, a cominciare daDa donazione del sangue. n trapianto èforse l'unico settore della sanità che non può esistere senza la partecipazione di tutti. Inizia e termina nell'ambito della società, è talmente complt:Sso da non poter essere lasciato ad una liber-a interpretazione, necessha di un'attenta regolamentazione, rappresenta una «cartina di tornasole» 2er poter defmire il valore di lUla società. La diffusione della cultura dd dono può condurre al superamento, eticamente problematico, del silenzio-assenso, coinvolgendo tutti, indipendentemente dalle convinzioni personali, a praticare questa nobile forma di solidarietànella ricerca del bene comune. caso si verifica talvolta il recupero funzionale della corteccia cerebrale prima silente e quindi la ripresa, seppur lenta e graduate, delle funzioni superiori. Alla luce di questi dati, appare quanto mai pericoloso il dibattito attuale circa la possibilità di ritenere questi soggetti candidabili all'espianto. U morte quindi deve identificari con la cessazione irreversibite i tutte le funzioni dell'encefalo. «L'espianto... senza rispettare i criteri oggettivi ed adeguati di accertamento della morte del donatore... è una delle forme più subdole'di eutanasia» (2). Oggi, oltre all'elettroencefalogramma, molti esami strumentali, più moderni e sofisticati, permettono di documentare l'assenza di flusso ematico cerebrale. Tali metodi sono: l'angiografi a, la scintigrafia, il doppler trans-cranico, la TAc e infine la PET (tomografia ad emjssione di positroni). L'assenza di flusso implica inequivocabilmente la morte cerebrale, cioè del centro unificatore e coordinatore dell'organismo. Tale definizione, strettamente scientifica, trova conferma in un'affermazione della Pontificia Accedemia delle scienze: «Una persona è morta quando ha subìto una perdita irreversibile di ogni capacità di integrare e di coordinare le funzioni fisiche e mentali del corpo». In queste condizioni, però, un essere umano, con l'estremo dono di sé, può diventare ancora una volta sorgente di vita. • (1) E. Speccia, Sono tre i principi che v11n110 riapettati, IU Avvenire, 14 novembre l98J. (2) GiOYanni Paolo ll, Ev10plium vit~, 199,, MC l dicembre 2005 pagina 43
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