di sé, per il bene e la vita del prossimo. Alla luce dei criteri di priorità, scelte drammatiche e tragiche si presentano agli operatori sanitari nella assegnazione degli organi, che si rendono disponibili per i trapianti. Alcuni ritengono che in queste decisioni debbano essere esclusi o penalizzati nella lista di attesa coloro che attendono un organo per una patologia riconducibile alle loro abitudini di vita (ad es. gli alcoolisti da trapianti di fegato e i tabagisti da trapianto di polmone). Questa strada eticamente discutibile condurrebbe soltanto ad un'eccessiva intromissione nella vita privata dei pazienti e sottoscriverebbe una spiegazione scientificamente erronea dell'insorgenza delle malattie, che dipendono da molteplici fattori e non da una sola causa. La valutazione che presiede all'individuazione di priorità deve essere legata a considerazioni di ordine strettamente clinico e, dunque, al beneficio dell'intervento per il malato. La necessità di disporre di criteri, a cui uniformarsi e a cui fare riferimento, rende di grande utilità l'accesso ed il potenziamento dei Comitati etici e bioetici presso le istituzioni sanitarie. Il trapianto si pone al servizio della vita, nel senso di difenderla e di favorirla . È questa la logica positiva che ne ha favorito l'enorme progresso registrato in questi ultimi anni. Ciononostante, alcuni aspetti necessitano di essere tenuti costantemente presenti. Ad esempio, può sembrare scontata la liceità del trapianto che viene fatto e motivato per un prolungamento della vita di un malato non altrimenti curabile. Si deve però considerare che, anche nell'ipotesi di un beneficio per il paziente che riceve l'organo, si viene talora a richiedere una qualche menomazione del donatore nel caso in cui questo sia vivente. Si afferma nell'ultimo catechismo: «Il trapianto di organi è moralmente accettabile col consenso del donatore e senza rischi eccessivi per lui» (2}. Salvatore Privitera aggiunge: «Abbiamo il dovere morale di non compiere l'azione moralmente errata, ma non quello di compiere l'atto moralmente retto, quando non compiendolo, non provochiamo conseguenze negative. Nessuno è tenuto a mutilare, fisiologicamente o psicologicamente, se stesso per recare beneficio ad altri)> (3). Diversa ovviamente è la donazione dei propri organi da morto. In questo caso essa è moralmente doverosa, in quanto non vi è più alcun danno nel donatore, mentre grandi sono i benefici di chi riceve. Inoltre, l'etica dei trapianti è indispensabile che coinvolga l'équipe medica. A prescindere dalla sua preparazione e dalla sua formazione tecnico-scientifica, atta deve essere potenzialmente la possibilità di riuscita dell'intervento; tl sacrifldo del donatore non deve essere inutile. La vita è sacra e, come tale, può venir sottoposta ad un trattamento rischioso ed invasivo soltanto se vi sono fondate speranze di successo. Sono, pertanto, da bandire quelle finalità esclusivamente sperimentali, in cui si antepone la ricerca all'attenzione nei confronti del malato. la donazione, per sua natura, rimanqa alla libertà e alla responsabilità. Ein tale contesto che deve essere letta, partendo da una adeguata interpretazione della fisicità. Il corpo non può essere inteso semplicemente come un complesso di organi, tessuti, funzioni, senza un ulteriore riferimento alla dimensione psichica e spirituale. Le attuali scienze antropologiche sono particolarmente efficaci nel presentare il corpo come manifestazione dell'lndividuo, anzi come strumento della sua realizzazione. Epoiché l'identità della persona è di essere «dono» e la sua finalità è «donarsi», il corpo è veramente umano quando diventa lo spazio nel quale la persona si rivela e si realizza come dono che si fa dono. La strada che conduce a questo atteggiamento libero e responsabile passa attraverso una continua educazione al significato della donazione. Rientra in questa opera educativa favorire e alimentare il senso umano della solidarietà. La visione cristiana dell'esistenza offre un contributo nuovo ed originale: la donazione di organi, in vita e dopo la morte, è una forma secondo la quale vivere concretamente il comandamento della carità: «Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici» (Giovanni, 15,13). • (l) Giovanni Paolo n, f U L'Os.elvatore Romano, 21pupo 1991. (2) Compendio u techismo deUa chiesa cattoliu, n.476, San Paolo, LEV 200j. (}) S. Privitera e coD., opera citata, p.l08. MC l dicembre 2005 pc19ina 41
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