Missioni Consolata - Dicembre 2005

Surumu non è solo una missione: è il centro ptÙsante di una nuova cultura. Ll vengono formati i nuovi Leaders e istruiti gli indios, si trova la quintessenza della paziente e faticosa opera compiuta dai missionari della Consolata per più di 30 anni di impegno. Ma Jì si trova anche un ambulatorio medico, importante per le prime cure delle comunità indie. Nella povertà e desolazione di quel luogo risiede il futuro, ricco di speranza. Se nell'ambtÙatorio si percepisce la solidarietà umana e il ri - conoscimento di un diritto inalienabile dell'uomo, quale è quello alla salute, nd resti della chiesa si intravede la profonda ricerca spirituale, nella scuola la costruzione del presente: tre simboli che rappresenta - no per i giovani le rocce sulle quali costruire il futuro. Calpestiamo le ceneri ancora calde sul pavimento; preghiamo con i leaders della comunità; padre Mario, il parroco, è in lacrime e a stento riesce a dare la parola a giovani che vogliono ceJebrare la vita: le emozioni sono stampate su tutti i volti dei presenti... Sono soprawissute solo le mura perimetrali della chiesa: il resto è polvere, ceneri. È un paesaggio surreale, ma brutalmentevero. Eppure abbiamo vissuto un momento di intensa spiritualità: i giovani della scuola, nel momento di preghiera, si sono disposti in cerchio, quasi a rappresentare il circolo dell'esistenza, e ognuno di loro ha gridato il proprio nome, affermando così una presenza che non è stata po.rtata via dal vento dell'odio, ma che n, in quel cerchio, formava la catena della vi - ta: la forza dell'amore. Hanno poi intonato canti e letto testi sacri, per suggellare il sentimento di perdono e la richiesta di aiuto: è stata una comunione di intenti e una grande lezione di vita. Nessuna recriminazione né minaccia di vendetta; nessuna spiegazione per cercare di capire... Ma hanno accettato quella sorte con la forza della speranza nella pace e nella prospettiva di un futuro migliore, senA sinistra, alberello piantato dai giovani sulle ceneri di Surumu, come segno della loro volontà di ricostruzione. za dare spazio alla rassegnazione. Con noi c'era anche il neo vesco· vo di Boa Vista, mons. Roque Paloschi, il quale ha individuato jJ percorso dove camminare come un fra - tello fra fratelli , una strada in cui i missionari sono i seminatori del regno, tra un popolo che soffre. Moturuco, 21 settembre D capoJadr De Souza ti prende sotto braccio e ti accompagna alla ma· loca centrale, accolta da una foUa fe· stante... Come ti sei sentita, tra un popolo orgoglioso del traguardo conquistato? n loro scortarci alla grande maloca con canti e balli, con una gioia incontenibile, mi ha fatto constatare la spontaneità di un'ospitalità non consueta. Per noi occidentali è semplice condividere la felicità di questo popolo; non lo è altrettanto capirla fino in fondo. Solo stando fi, sentendo il racconto di persone che per 30 anni hanno sopportato le angherie dei /azendeiros (retribuiti per il loro lavoro con bottiglie di alcool), ci si può forse avvicinare, rispettare e apprezzare la loro dignità di popolo; mentre noi non siamo in grado di guardare al futuro, essi hanno la felicità dell'essenziale, invisibile agli occhi. La Commissione diritti umani del Senato ha fatto un prezioso lavoro di appoggio alle rivendicazioni degli indigeni di Roraima per la ticonquista deJJa loro terra: quale è stato il tuo messaggio? Quale ipotesi di coUaboraziooe per il futuro? «Costruire una società nella quale i diritti di pochi si trasformino nel diritto di tutti» è la prima affermazione che ho pronunciato durante la festa di omologazione. È lo spirito che ba accompagnato i missionari e cbe ha mosso anche il nostro impegno alla Commissione diritti umani del Senato. La mia partecipazione rappresenta una tappa di un percorso. Le 44.000 firme consegnate al presidente Marcello Pera costituiscono il sostegno, la condivisione e il rafforzamento di una battaglia (vedi riquadro). Come rappresentante del Parlamento italiano ho ringraziato gli indios di Roraima per il coraggio dimostrato, per la forza morale che ha consentito di superare barriere invalicabili, per la paziente attesa di vedere ripristinati i loro diritti umani e civili, senza mai ricorrere alla violenza, senza attimi di esitazione o demotivazione. Quello che unisce le nostre nazioni è anche un altro sentimento: .l'a· more verso la propria terra. n concetto di terra è ben definito, indica dei lin1iti e proprio in questi ritroviamo i nostri valori, che, nonostante gli usurpatori, le catastrofi naturali o l' allontanan1ento forzoso, non potranno essere stravolti. Dentro questo diritto naturale è riconosciuta la nostra esistenza, la disponibilità aessere amati per la nostra identità, essere accettati anche da chi, forse ancora oggi, non vuole riconoscere quel grande e uruco popolo. Nel momento in cui si ammette il diritto aUa terra, si riconoscono anche diritti umani essenziali: alla vita, all'alimentazione, all'acqua potabile e, quindi, all'esistenza. L'impegno del Parlamento italiano continuerà, vigilandoda lontano e da vicino e lafesta per l'omologazione dello Raposa Serra do Sol: un poster ricorda la storio di resistenza indigena. MC l dicemb,. 2005 pagina 15

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