Missioni Consolata - Ottobre/Novembre 2005

zato, l'istituzione di un <<facilitatore indipendente>> con il compito di aiutare le vittime a ricostruire il proprio futuro e un programma pilota, guidato dalI'Oil, nella costruzione intensiva di stradee struaure varie senza ricorso al lavoro forzato. «Fino a questo momento I'Oil non è ancora in grado di avviare alcuna ini - ziativa per implementare il Piano congiunto - afferma il Rapporto - e il governo non ha fatto alcun passo concreto contro il lavoro forza to in Myanmar»; anzi, oltre a ignorarele denunce, lagiunta miJjta.re ha accusato di alto tradimento diversj lavoratod per aver intrattenuto rapporti con l'organizzazione. «D caso del Myanmar - conclude il Rapporto - dimostra che è impossibile fare effettivi progressi contro il lavoro forzato, quando esiste un clima d'impunità e repressione contro Myonmar: abitanti del villaggio di Heho costretti a/lavoro forzato per costruire una strada. MC l ottobre-novembre 2005 pagina 88 Stori~ ~ pa~.·-..i le persone che ne denunciano cii abusi, in assenza della volomà poTitica di colpire le autorità militari e locali che traggono vantaggi economici dal lavoro forzato». U n'altra forma di lavoro forzato è quella imposta ai carcerati, che in molti paesj del mondo sono impiegati in imprese private. Ma il caso più significativo è costituito dalla Cina, in cui il lavoro schiavista è imposto direttamente dallo stato a coloro che mostrano atteggiamenti <<antisociali», per i quati viene applicata Ja legge sulla <<Rieducazione attraverso il lavoro» (Reeducation through labour, Reù). In alcuni casi la polizia può decidere di imporre i lavori forzati in via extragiudiziale per periodi fino a tre anni: dissidenti politici, membri di minoranze religiose, nazionalisti tibetani ne sono le vittime più frequenti. L'Oil continua afocalizzare] 'attenzione sul sistema Reti, anche se il governo cinese sembra intenzionato a fifonnare tale legge. Le cifre ufficiali fornite dal Ministero della Giustizia indicano che, nel 2004, circa 250 mila persone erano detenute secondo il sistema del Reù, distribuite in 220 cenrri di rieducazione. Metà di esse sarebbero tossi - codipendenti; il resto ladri e prostitute. Osservatori esterni, però, contraddicendo la voce ufficial.e del governo, hanno rilevato un incremento nel numero delle persone rinchiuse nei campi di rieducazione, sia per l'aumento del tasso di criminalità, sia per la cosranre crescita in numero e dimensione delle proleste sociali in Cina. Viene pure osservato che, sotto la pressione dei movimenti in difesa dei diritti umani, la polizia cerca di usare maggiom1ente la detenzione amministrativa e il governo di Pechino ha istituito un gruppo di studio per cercare un sistema di rieducazione alternativo a quello dei lavori forzati. • (Ubero adattamento da: Un 'olleanm globale cont ro Il lo1>0rofonoto, OU 2005)

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