Missioni Consolata - Ottobre/Novembre 2005

El Obeid: bambini già venduti come schiavi, ma rintracciati dai propri parenti e liberati da/loro destma. sumane, lavorano duramente e non vengono mai pagati>>. «La difficoltà più grande consiste nd rintracciare i "rapiti " - raccoma Joe Butrieng, laicomissionario maltese nella diocesi diKhartoum -, poiché la pratica schiavista è talmente entrata nelle consuetudini e nellamentalità dd Nord Sudan che nessuno si scandalizza, parla o denuncia. Una volta trovati, cerchiamo quakhe parente e torniamo dalla famiglia che li detiene. Quando qualcuno riconosce la 6glia o il fratello, di solito i padroni hanno paura e Ulasciano liberi: la legge sudanese prevede la pena dj lO anni di carcere per i "rapitori "». Ma non tutti i ritrovamenti vanno a buon fme. «Un generale dell 'esercito sudanese- continuaJoe - era rientrato dalle operazioni militari nd sud con alcuni giovani prigionieri, per utilizzarli nelle sue fattorie. Il padre di.due ragazzi, dopo lunghe indagini, riuscl a trovarU e ci chiese aiuto per awiare il processo. Questo era appena avviato e volgeva per il meglio, quando il generale si rivolse alla corte islamica, che riconobbe all' imputato il diritto di prendere schiavi come bottino, perché è consentito dal Corano in caso di jihad (guerra santa). Il tribunale islaDALLE CATENE All'AlTARE Giuseppina Bakhita (1869-1947) Era nata nel1869 a Oglossa, nel Darfur. Fu rapita all'età di 7 anni: lo spavento pro· vato dal rapimento le provocò vuoti di memoria, fino a dimenticare il nome dato· le dai genitori. Bakhita è il nome dato dai rapitori e significa •fortunata•. Venduta e rivenduta più volte sui mercati di El Obeid e Khartoum. conobbe umiliazioni. sofferenze fisiche e morali, finché fu comperata dal console italiano Callisto Legnani (1882). Per la prima volta si meravigliò di essere trattata con maniere affabili e cordiali. Quando Il console dovette lasciare il Sudan, Bakhita volle seguirlo in Italia. dove fu affi· data alla famiglia di Augusto Michieli, che le restituì la libertà e la accolse In casa come bambinaia della figlia Mimma. Acquistato un albergo sul Mar Rosso. iconiugi Mìchieli vì si trasferirono. affidando Miroma e Bakhita alle suore Canossiane di Venezia. Qui Bakhita chiese di conoscere quel Dio che fin da bambina •sentiva in cuore senza sapere chi fosse. Vedendo il sole, la luna e le stelle. dicevo tra me: chi è mai il padrone di queste belle cose? Eprovavo una voglia grande di vederlo, conoscerlo e prestargli omaggio•. Il 9 gennaio 1890 Bakhita si fece battezzare, prendendo il nome di Giuseppina. MC l ottobre-novembre 2005 pagina 70 Nel1893. ormai maggìorenne, Giuseppina Bakhita. decise di restare con le suore Canossiane e 1'8 dicembre 1896 si consacrò per sempre al suo Dio che lei chiamava •el me Paron•. Per oltre 50 anni visse nel convento dì Schio (VI), dedicandosi con umiltà al servìzìodella comunità come cuciniera, guar· daroblera. portinaia. In questo ultimo servizio, ac· coglieva tutti con straordinaria amabilità· confortava l poveri e i sofferenti. incoraggiava quanti bussavano alla porta dell'istituto. Venne la malattia, lunga e dolorosa. A chi le chiedeva come stesse, rispondeva sorridendo: •Come voi el Paro n•. Nell'agonia rivisse i giorni della schia· vìtù: più volte supplicò l'infermiera che l'assisteva: •Mi allarghi le catene...pesano!•. Si spense 1'8 febbraio 1947 nella casa di Schio. acclamata da tutti come la •santa madre moretta». Fu beatificata nel 1992 e canonizzata nel2000. mico, temendo le proteste a livello internazionale, fece liberare i due giovani, dicendo testualmente al generale che era meglio non provocare ri - mostranze e che poteva sempre rornare nd sud a prendersene altri>>. D opo 2 anni di difficili trattative, il 9 gennaio 2005, a Nairobi , è stato firmato un «Accordo globale di pace» tra il governo di Khartoum e lo Spia diJohn Garang, ponendo fine a 22 anni di guerra civile tra nord e sud dd paese. In tali accordi, però, non si fa menzione del Darfur, tormentata regione occidentale, abitata in prevalenza da popolazioni nere islarnizzate, che rivendicano più potere e attenzione dal governo. Dal2003 il Darfur è oggetto di razzie, contro i propri correligionari, da parte dei janjaweeti una milizia filogovernativa composta da predoru appartenenti a gruppi etnici arabizzati. Si contano decine di migliaia di morti e oltre 1,5 milioni di profughi. Per ora non si hanno notizie di «rapimenti>> o riduzione in schiavitù, anche perché .Khartoum non permette nella zona l'accesso ai giornalisti e altri testimoni. Le organizzazioni in difesa dei diritti umani premono sulle istituzioni internazionali , come l'Unione Europea e Unicef, perché esercitino tutta la loro pressione sul regime sudanese per sradicare la schiavitù e rispettare i diritti umani. Purtroppo tali istituzioni sembrano più preoccupate di non provocare la suscettibilità di Khartoum; pur suggerendo prowedimenti adatti alla bisogna, continuano a usare l'eufemismo del «rapimenti>) per riferirsi alla pratica della schiavitù. •

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