Missioni Consolata - Ottobre/Novembre 2005

STORIE E PAESI Sudan: islamizzazione e schiavitù NEGRIERI••• VERI In Sudan lo schiavismo è ancora vivo. Il governo nega: preferisce parlare di «rapimenti,,. Eppure circa 200 mila persone sono proprietà altrui e vivono in condizioni disumane: battiture, fame, torture e aslamizzazione forzata, lavoro senza paga••• Se questa non è schiavitù••• A vevo circa 12 anni, quando una notte, nella prima- << vera del1992, mi svegliai eli soprassalto: il villaggio era in fiamme. Mio padre mi trascinò via per mano urlando: "Predoni arabi! Ci sono i mujaheddin! ".Alla luce delle fiamme scintillavano pugnali ricurvi, con cui gli aggressori sgozzavano la gente. C'erano donne costrette a tena dai mujaheddin, che brancicavano i loro corpi. Fiutavo l'orribile odore dell'incendio, del sangue e del terrore. Cosl cominciò lamia vita da schiava». A raccontare questa storia è Mende Nazer, ragazza dell'etnia nuba, nel libro autobiografico Schiava (Sperliog & Kupfer, Milano 2003). La ragazza fuggl con la famiglia sullemontagne circostanti, ma nèlla confusione rimase separata dal padre. Un uomo la prese con sé, dicendo che l'avrebbe protetta e aiutata. Assieme a decine eli altri ragazzini, venne trascinata in una base militare e comprata da un mercante che la rivendette a Rahab, una signora di Khartoum: qui puliva la casa, cucinava e badava ai bambini della padrona. «Mi picchiava più o meno una volta la settimana - racconta Meode -, spesso senza ragione. A volte mi dava schiaffi, altre volte usava tutto ciò che le capitava a tiro; mi colpiva sulla testa con gli zoccoli di legno, oppurecon la scopa o mi frustava con una cintura. All'inizio volevo fuggire, ma non sapevo dove andare, ero senza denaro, non potevo andare alla polizia. Ungiorno sentii la mia signora definirmi sua schiava: da quelmomento mi resi conto della mia condizione». All'inizio del 2000, Rahab cedette Mende a sua sorella, moglie di Abdul Al Koronky, diplomatico dell' ambasciata sudanese a Londra. Questi, con falsi documenti, portò la ragazza in Inghilterra, come donna di servizio. «Erano un po' più gentili, non mi picchiavano - continua Mende -, ma laMC l ottobre-novembre 2005 pagina 66 DI BENEDETIO BELLESI Mende Nazer, finalmente libera. voravo tutto il giorno senza paga, né giorni liberi». Non aveva diritto di parola o di essere visitata da un medico se si ammalava. Dormiva in un ripostiglio costruito nel retro della casa, chiusaa chiave. Poteva uscire solo per portare fuori la spazzatura <<e allora mi tenevano d'occhio dalla finestra». Mal' 11 settembre2000 riuscì a fuggire. Un avvocato l'aiutò a chiedereasilo. Dopo due anni di attesa, la richiesta fu respinta (ottobre 2002) perché, secondo il governo britannico, «la schiavitù di per sé non costituisce persecuzione>>. «Continuavo a piangere. Se fossi tornata in Sudan .mi avrebbero uccisa. Avevo deciso di togliermi la vita». Intanto, con l'aiuto del giornalista Damjem Lewis, Mende scrisse la sua storia, suscitando grande scalpore. n 23 dicembre 2003 il Ministero dell'Interno britannico decise di concederle lo status di rifugiata. A 25 anni, Men.de può camminare libera per le strade di Londra. La sua storia a lieto fine è solo la punta dì un iceberg. Migliaia di donne sudanesi non saranno mai liberate, altre continuano a essere rapite. Oggi, nel Sudan settentrionale, ci sono ancora circa 200 mila schiavi, proprietà altrui, senza diritti, in condizioni disumane. Oltre 1200 inchieste fra ex-schiavi hannopennesso di appurare che il 70% delle donne sop.ra i 12 anni e il15% dei bambinimaschi di età superiore ai 6 annisono stati violentati. Battiture, fame, torture e islamizzazione forzata sono elementi della vita quotidiana. ISLAMIZZAZIONE In Sudan la tratta degli schiavi ha radici che affondano nel.ta notte dei tempi. Essa subl un duro colponel secolo XIX, sotto il dominio inglese, grazie anche alle campagne dell'esploratore italiano Romolo Gessi che, per incarico eli CharlesGordon, governatore del Sudan, arruolò un esercito di soldati nuba e, tra il 1874 e il1880, spazzò via gli schlavisti dal Sudan meridionale. Ma il virus della tratta degli schiavi è sempre rimasto nel sangue di alcuni gruppi seminomadi arabi del Sudan, come i baggara, un tempo allevatori di bestiame, glizaghawa, irriducibili predoni che disprezzano il lavoro nei campi, ritenuto «occupazione per gli schiavi», e i kabadish, ambiziosi amanti delle armi e padroni del deserto. La piovra della schiavitù ha rialzato la testa dopo l'indipendenza (1956), quando gli inglesi abbandonarono il Sudan. TI paese si trovò diviso in due: a nord la «casa dell'islam» (dar al-islam) abitata da arabi, uniti dalla stessa lingua e religione islamica; a sud la «casa della S!Jerra>> (dòral-harb), composta da differenti gruppi etnici e linguistici (dinka, nuer,fur, nuba...) di religione cristiana o tradizionale. Per unificare il paese, il governo di Khartoum avviò un massiccio processo_per islamizzare le popolazioni meridionali; ma queste si sono opposte, poiché nella loro memoria l'islamizzazione equivale a schiavitù. Ci furono scontri sanguinosi, sfociati in apertaguerra civile (1983) tra le milizie governative e l'Esercitodi liberazione popolare del Sudan (Spia) di John

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