Missioni Consolata - Ottobre/Novembre 2005

STORIE E J•AESI Brasile l Storia eli Carlos Augusto LO SCHIAVO CHE SALVÒ ORECCHIE EDITA Nel Brasile di Lula gli schiavi sono migliaia. Uomini disperati, alla ricerca di un modo per sopravvivere, finiscono alla mercé di grandi proprietari. La paga non esiste, anzi c'è un debito che cresce giorno dopo giorno. L'unica via di salvezza è una fuga piena di pericoli: le guardie armate e la polizia locale non perdonano chi fugge. La parola attraversa i secoli. Sembrava finita con la fine del colonialismo: lo sdegno di ogni risorgimento la proibisce nelle costituzioni. Ma la schiavitù continua, lo sappiamo. Ogni anno le statistiche aggiornano il censimento dell'infelicità: bambini che devono fare i soldati; bambine che cuciono palloni o le belle camicie per le vetrine di Via Condotti, Montenapoleone, Quinta Strada. Ma i riflessi della grande politica fanno dimenticare le loro ombre, soprattutto quando la curiosità accompagna avvenimenti che riaprono la speranza. Gli schiavi restano comparse senza nome. La vittoria di Lula, in Brasile è un esempio: Lula e Bush; Lula e il Fondo monetario; Lula che ammorbidiscela ritrosia dci suoi militari; Lula che promette ai Senza terra la riforma agraria che ogni America Latina insegue. losomma: Lula nel ruolo di presidente di un paese che è un continente. Ma anche Lula deve sciogliere il nodo schiavitù. Nel Parà, dove Amazzonia e miniere richiamano eserciti di ilisperati con promesse di un'avventura anticamera della ricchezza, gli schiavi sarebbero 15 mila. Nei registri di Brasilia figurano solo 2.300 nomi. Paura e silenzi fanno sparire gli altri. l'INCONTRO CON «GATO», Il CAPORALE Il profùo di uno schiavo è complesso. Legato dalla violenza, ma non solo. Ne ho incontrato uno, lo fuga a Belem, capitale del Parà. Due anni fa era uno dei 778 che era riuscito a scappare con la speranza di arrivare in un ufficio diverso dagli uffici delle polizie locali , sempre d'accordo con chi sfrutta la vita dd senza nome. Carlos Augusto Alvares Oliveira ha MC l ottobre·novembre 2005 pagina 46 D1 MAURIZIO CHIERIQ 43 anni, faccia secca da contadino del NordEst. Quando un missionario savedano mi ha chiamato a San Paolo mormorando che nascondevano uno schiavo, non riuscivo a capire. Il Brasile sembra il posto meno razzista del mondo. Ma dietro la realtà conosciuta sopravvive un dolore antico. E Carlos Augusto ne rappresenta la rassegnazione. Accende la sigaretta. Non è proprio nero: sangue mescolato alla malinconia lusitana. «Ero senza lavoro. Un caporale mi avvicina al mercato di Recife. Vuoi bere? Paga da bere. Bevendo fa la proposta. La paga sembra buona. Lui parla ed io guardo mio figlio, che ba 14 anni. Viene anche lw? TI caporale lo pesa con lo sguardo: "Troppo magro, la vita è dura. Servono uomini. Quando crescerà... "». Il ricordo lo immalinconisce. Abbassa gli occhi sul registratore e non li stacca più. Belem è il trampolino di chi fa pro· getti, ma anche il rifugio di garimpet~ ros, madereiros, insomma cercatori di tutto che non hanno trovato niente. È quasi un'isola nell'incrocio dei fiumi in corsa verso le Amazzoni. Le barche fingono di essere negozi inginocchiati nel fango del porto sotto le ali dei martin pescatori. Al mattino non capisco, ma la sera, quando lascio la città alta, del teatro d 'opera e degli alberghi, e scendo verso il fiume, lungo stradine disegnate da ingegneri nillitari portoghesi, le barche galleggiano sopra la banchina, lampade di carta accese mentre l'a· sfalto sparisce nella corrente gialla del grande fiume. Dall'oceano ]e maree risalgono per duecento chilometri. Brasile, Marabò: Va/dino ed Erinaldo, due fratelli fuggiti da/lavoro schiavo. La gente in fuga dalla foresta ba cominciato a piantare baracche in un posto che le mappe sbrigano con la macchia bianca punteggiata che vuoi dire palude: baixados inabitabili. Ogni giorno, due volte al giorno, la marea li riempie. Si infùa fra le palafìtte,

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