-( :: ::: :~ <Ma lo sai che se faccio il medico, la colpa è tutta di mio padre? Avevo una dozzina eli anni ed ero riusci to a entrare nella migliore delle scuole di Lima. Mio padre ne era orgoglioso e t utto sembrava già deciso dal des tino. Q uel giorno invece di andare a scuola, insieme a un gruppetto eli compagni di classe decidemmo di andare a giocare a pallone nel parco vicino. E ra un piacere passeggiare per Lima in quei giorni di sole tiepido e cosl facemmo. Non mi accorsi però che mio padre ci aveva incrociato mentre si recava ad insegnare alla scuola di "Canto G rande" dove, diceva, la vita si apprendeva a suon di botte». «Come spesso accade nella vita, quel fatto banale si è t rasfo rmato nel trampolino verso un mondo che non conoscevo e che ora mi riempie totalmente. Mio padre, pur essendo di ctÙtura rigidamente borghese e pur avendo desiderato il mio inserimento nella scuola che frequentavo, al mio ritorno a casa mi d isse semplicemen te: "Lucho, da domani cambi scuola. Vieni a Canto Grande perché devi imparare a vivere e a rispettare gli impegni che ti prendi ">>. «l o capii subito che mi aveva visto col pallone in mano e senza neanche una lacrima accettai di lasciare la scuola dei ricchi per andare in quella di periferia». «ll mio compagno di banco era figlio di un venditore ambwante, che portava in giro per i mercatini della cinà la sua mercanzia fatta di suole di scarpe, lacci , lucidi e spazzole. Era il genio della classe e mi batteva specialmente in matematica e scienze. Se io ero grassoccio e non tanto alto, lui era invece mi ngherlino. Non gli piaceva giocare a pallone ed era estremamente attento ai problef.ftt~ DOLOREESOFfflBIZA NE111NSEGNAMEHTO DIGIOVANNI PAOLO Il Edzioni Cooifmne 2005, pog. 160, € 14,00 Enrico Larghero è dirigente medico presso la Sezione di Anestesia, Rianimazione e Terapia del dolore deli'Azit4lda sanitaria ospedaliera «San Giovanni Battista» di Torino. Nel 2001 ha conseguito la laurea in teologia presso la FacoltàTeologica dell'Italia Settentrionale, sezione di Torino, e nel 2003 la licenzà in Teologia morale con indirizzo sociale e bioetica presso la stessa facoltà. Nella prima parte l'autore mette a confronto orizzonti diversi della realtà dd dolore: l'orizzonte della medicina, l'orizzonte della filosofia antica e moMC l luglio-agosto 2005 pagina 74 derna e l'orizzonte cristiano (nelle scritture, nella riflessione teologica, dai padri della chiesa a oggi). La seconda parte tratta dd mistero del dolore nella vita e nel magistero di Giovanni Paolo n, sottolineando la dimensione sociale della sofferetlza. «KarolWojtylaha posto al centrodel suo papato p rincipalmente l'uomo e la sua dignità. Da qui la solenne promessa che "Laddove l' uomo nasce, soffre emuore, la chiesa sarà sempre presente a significare che, nel momento in cui egli fa l'esperienza della sofferenza Qualcuno lo chiama per accogliere e dare un senso alla sua fragile esistenza• ... D vangelo di Cristo, cipropostodai documenti papali, ha la capacità di trasformare il mondo, spesso troppo arido e secolarizzato, in un luogo di amore e di speranza». mi eli ognuno dei suoi compagni. Un giorno cominciò a tossire e dopo un po' di rempo a sputare sangue. Mio padre si allarmò, lo ponammo in ospedale, lo curammo; morl di tubercolosi a quattordici anni. Gli giurai che avrei fatto il medico, perché non era giusto morire cosi». «Sono forse un matto o il più stupido dei medici, perché invece di fa - re i soldi negli Sta ti Uniti sono ri - masto in questo piccolo ambulatorio a curare chi a ogni pìccolo balzo all ' insù del dollaro mangia un po' meno?». LUCHO ED IO La bottiglia di rhum era a metà, il posacenere st racolmo, e oramai le lacrime ci rigavano le guance ricordando i tempi passati: la nostra giovinezza, i nostri viaggi all' inferno e i nostri ritorni, non ci trovavamo mai d 'accordo e ci avevano defini ti i due carissimi nemici fedeli e ora non potevamo più esserlo. Lo accompagnai alla pona, la sua auto scassata era là ad attenderlo. Ci abbracciammo, oramai uomini dai capelli radi e brizzolati e dall 'anima più ruvida, ci lasciammo senza dir - celo, ma coscienti che ognuno di noi sapeva dell' altro. Lucho aveva lasciato il suo ambu · latorio, i suoi pazienti, le sue medicine e il suo ste toscopio, quel giorno che la polizia l'aveva cercato e che lui non era riuscito a spiegare perché non si era mai laureato. E io? Avevo lasciato il mio ambulatorio, i miei pazienti, le mie medicine e il mio stetoscopio, quel giorno che avevo perso il coraggio di curare con le mie sole mani e che non ero riuscito a spiegarmi il perché. Ci vuole coraggio per fare il medico laggiù; ci vuole forza e sensibilità; d vuole fede e speranza. Ora i miei occhi non vedono p iù la povertà, le mie mani non sentono più i piccoli addomi tesi, le mie orecch ie non riconoscono più i suoni delle caverne della tubercolosi, e quell' wtimo incontro con Lucho, il migliore di noi medici, è stato forse il momento in cui si è chiuso, per noi due, un capitolo della nostra vita. •
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