Missioni Consolata - Luglio/Agosto 2005

A150 anni dalla morte, l'eredità spirituale del filosofo di Rovereto è ancoro al servizio dell'uomo edello missione di oggi Centocinquanr'anni fa, iJ l " luglio 1855, si spegneva dopo una lunga malattia iJ prete roveretano Antonio Rosmini. «Prete roveretano», l' unico titolo di cui egli amava fregiarsi, nonostante discendesse da una delle più nobili e facoltose famiglie trentine. Uomo dalla cultura enciclopedica, filosofo eccezionale, fine teologo e pensatore politico, amico di alcune delle più belle menti del suo tempo (basti ricordare Niccolò Tommaseo e Alessandro Manzoni), Rosmini ha lasciato un segno indelebile nella storia italiana degli anni che precedettero l'unificazione. Una figura non sempre capita, quella di Rosmini: fortemente amata da coloro che ebbero la fortuna di lasciarsi affascinare dalla sua mente eccelsa e dal suo grande cuore; ma anche astiosamente rifiutata da chi lo giudicò troppo frettolosamente un giovane e presuntuoso intellettuale. Gli obiettivi che Rosmioi si prefisse, già dall' inizio della sua breve ma straordinaria attività, non erano assolutamente modesti. Ancora giovane studente aveva convinto alcuni amici a unirsi a lui nella redazione di un'enciclopedia cattolica che avrebbe dovuto rappresentare, secondo l'intenzione dei suoi curatori, la risposta cristiana al progetto illuminista di Diderot e D'Alembert. D progetto falD, ma l' inquietudine di poter da.re all'universo cattolico un'opera di ampio respiro, che potesse rispondere alle sfide sempre più pressanti che venivano da un mondo in costante evoluzione, rimase ben radicata nel peosatore trentino. La situazione in cui versava l' Italia p re-risorgimentale, accesa dai fuochi della rivoluzione francese, era un laboratorio pressoché unico di fermenti e idee, in cui Rosmini si immerse con decisione. E ben presto comprese come il malessere diffuso che si avvertiva nella penisola e in Europa andava affrontato con strumenti diversi e più radicali di quelli che poteva offrire la J)Oliticn. Secondo Rosmini, la gente aveva perso la capacità di pensare «correttamente>> e ben poco avrebbe giovato un cambio politico che non fosse accompagnato da una crescita intellettuale, morale e spiri tuale delle singole persone. Nasce da questa consapevolezza il carisma specifico rosminiano, quella ((Carità inteiJerruale», che orienterà i suoi studi 6no al giorno deDa sua morte, e cioè, lo sforzo di instradare i suoi contemporanei alla scuola deD'essere, fondamento della realtà e via che conduce alla contemplazione del mistero di Dio, unica verità. Questo progetto, che toccherà tutti gli ambiti del pensiero 6loso6co e teologico, si concretizzerll in un numero straordinario di opere pubblicate, numero reso ancora più incredibile se si pensa che Rosmini mori a soli 58 anni. Due furono i motori che lo spinsero a quesr'opera di rinnovamento del pensiero cristiano. D primo può essere riassunto nel principio rosminiano di «passività», cioè, nella consapevolezza che per poter aiutare con efficacia l'uomo a cotteggere la propria mentalità, è necessario creare in se stessi l'attitudine dell 'uomo di fede che sempre sottomette alla volontà di Dio i propri interessi e desideri. D secondo stimolo venne al Rosmini dall 'esplicito incoraggiamento dell 'allora papa Pio vrr a proseguire sdi studi che si era prebsso in campo 6losofico. Nonostante le critiche che cercarono di colpire il pensiero, persona e attività di Rosmini, nate in molti casi in ambienti ecclesiali, il pensatore trentino sempre intese la sua opera in comunione stretta con la chiesa, per la quale ebbe durante tutta la vita amore e devozione. Anche quando, con la pubblicazione del famoso trattato Delle cùtque piaghe della santa chiesa ( 1848) Rosmini mise a nudo alcuni problemi che allliggevano la realtà ecclesiale del tempo, l' intento di fondo fu quello di aiutare gli uomini a servire mealio la chiesa, aiutandola a sbloccarsi da quei difetti chela tenevano come «crocifissa», impossibilitata a liberare le sue enormi potenzialità di fare il bene. I l fine di tutto lo studio rosminiano è eminentemente antropologico. n centro del suo pensiero è l'uomo, e tutta la sua filosofia deve essere intesa come una vera e propria pedagogja deDo spirito umano. Sempre pose bene io chiaro l' inutilità di una 6losofìa non diretta al miglioramento della condizione umana. In particolare, Rosmioi pose l'accento sul concetto di persona, .. a pinnacolo della natura umana», il cui valore, dignità e potenzialità indicano iJ cammino di ricerca della verità che ci può davvero rendere liberi. I: antropologia rosmlniana potrebbe trovare la sua collocnzione nella valigia del missionario, diUldo all' apostolo di oggi una comprensione profondo e un grande apprezzamento della persona, dei suoi valori e dei suoi diritti inalienabili. «Salvata la persona è salvato l' uomo>>. Un secolo prima di Maritain, il fìlosofo trentino ci presenta una figuro di persona integrale, un piccolo microcosmo non riducibile a una parte, che ha in sé iJ genne deDa totalità, dovuta al dono della razionalità di cui ogni persona è fornita e che la rende diritto sussistente, essenza stessa del diritto. Non lo stato, quindi, neppure il capitale o la fmanza possono pretendere di essere essenza del diritto, ma lo stessa persona umano. Un messaggio forte per un'epoca in cui troppe persone non sono più considerate come soggetti di diritto, in cui la loro dignità ~offesa dal momento della nascita a quello della morte. E anche per questo suo sempre attuale contributo <<personalistico» che nella sua enciclica Fides et ratto, papa Giovanni Paolo n associò il nome di Rosmioi a quello di altri significativi autori cristiani, l' attenzione all'itinerario spirituale dej quali «non potrà che giovare al progresso nella ricerca della verità e nell'utilizzo a servizio dell'uomo dei risult.ati conseguiti» (n. 74). Ugo Pozzoli MC l luglio-agosto 2005 pogino 7

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