Rlda.l'e ""volto a.tl~ld" JOHN HOSPICE A l John Hospice si va per morire, ma si va anche per Imparare a viVere. Per 4 mesi, uomini. donne e bambini vengono octolti nell'ospedale per affrontare serenamente la malattia Inogni stadio della sua evoluziooe. l pazienti vengono curati e assistiti nello spirito che animo Il progetto KaraCounselling. Noto inizialmente come consultorio, questo progetto, di cui JohnHospiceta parte, si è espanso fino allo creazione di ospedali che danno lo possibilità ai molati più gravi di ottenere le cure necessarle a uno degna soprawivenzo, o a uno morte dignitosa, quelle cure che l'home based core non può arrivore ofornire. Grazieolsostegnodi vari donatort come le fondaZioni Elthon John, Bill CII nton, ChristianAid e CorniceReliet possono essere effettuate analisi, come i Cd-4,esomministratemedicine costose, garantendo un miglioramento delle condizioni del pazienta. «Sto motto meglio grazie alle cure, prima di venire quiero lrrtconosciblle• dice Josef, mentre occorezzo l capelli della suo bimbo di soli 4 anni, che porto ancora intorno allo bocca isegni devastanti della malattia. Tanti bambini coma lei hanno riavuto la possibilità di vfvera uno vHa normale, almeno per un poco. «Ma tra qualche giomo dobbiamo andare via e non ho più soldi per curarlo»continua il padre. L'Aids colpisca senza guardare ìn faccia nessuno: lo sanno bene i malati, l medici e i volontari al John Hosplce; ogni giorno loffano per ridare un volto sereno allo vita ealla morte. fue. Poche centinaia di metri dopo il centro delta città svoltiamo asinistra imboccando una strada sterrata. Mami Monica ci attende davanti alta porta di casa e ci invita ad entrare. Insieme a lei c'è Moses, un altro volontario. Ci accomodiamo nel piccolo salotto. Alle pareti sono appese le foto delta sua numerosa famiglia (3 figli, 6 figlie e 24 nipoti), accanto al poster di Ronaldo. «Non è facile trovare il tempo di assistere queste persone e per noi donne è ancora più dura, ma è una cosa che sentiamo dentro» d confida Monica. Lei infatti, come la maggior parte delle donne di Kafue, è coPazienti in attesa di cure nell'ospedale di Kafve. Dossier MC / luglio-agosto 2005 pagina 42 stretta a lavorare per poter sfamare la famiglia. Gestisce un piccolo banchetto al mercato del compound, dove vende legumi e pomodori. Moses ci racconta del particolare legame che con il tempo si riesce ad instaurare con il paziente e i suoi familiari. «Ouando vai da loro, gli dai la luce» ripete. Seguiamo i due caregivers lungo la strada che porta verso Cassengere, il compound vicino a Chawama, dove si trova la casa della prima assistita: si chiama Rosebanda. L'abitazione è formata da un'unica piccola stanza, coperta da un tetto di lamiera, che rende l'aria soffocante. Ad attenderd sulla porta troviamo il marito e una vicina di casa. Entriamo nella stanza e troviamo la paziente seduta sul letto. È malata di Tbc e da alcuni giorni non riesce a mangiare. La Tbc ha attecchito facilmente nel suo corpo debìlitato dall'Aids. Monica si siede accanto a lei e le tiene la mano. Ad un tratto la donna comincia a piangere: la sua unica figlia, che vive a lusaka, si rifiuta di venirla a trovare. L'Aids è ancora troppo spesso visto come uno stigma, una colpa, un qualcosa dì cui vergognarsi. Monica cerca di consolarla sussurrandogli alcune parole all'orecchio. Non comprendiamo il senso di queste parole, ma il suo sguardo e le carezze sono quelle di una madre che accudisce il proprio bambino. Dopo alcuni minuti Monica afferra la borsa ed estrae un pacco di farina arricchita con vitamine e zuccheri e lo consegna al marito della donna. Prima di uscire sostiamo un attimo in silenzio e Moses pronuncia una preghiera per la donna. «Signore ti preghiamo aiuta questa donna, sappiamo che a te nulla è impossibile» sospira a bassa voce. Oltre a portare cibo e medicinali, insieme al sostegno psicologico, i caregivers aiutano i familiari dei malati nelle faccende domestiche. «Il nostro ruolo - spiega Moses usciti dalla casa - è sempre quello di mettere in contatto queste persone lasciate sole con i parenti. Vedere la famiglia che si riavvicina al malato è una cosa meravigliosa». R iprendiamo il cammino lungo la strada in salita e arriviamo _ alla casa del secondo paziente. Eassistita da una delle figlie, anch'essa malata di Aids. Mami Monica e Moses si siedono vicino alla donna e conversano con lei. Quindi la caregiver estrae dalla borsa farina, medicine_e un unguento e consegna tutto alta figlia . Dopo aver invocato l'aiuto di Dio, usciamo per continuare il cammino e visitare l'ultima casa. Vi arriviamo in pochi minuti, ma la donna che dovevamo incontrare sta riposando. Monica decide di proseguire verso casa; d tornerà più tardi. Imbocchiamo un sentiero in discesa che dalla collina d riporta verso il nostro pulmino. Salutiamo e ringraziamo Mami Monica eMoses. Prima di tasciarci chiediamo a Moses qual è il significato della parola Chawama. «Cosa buona» risponde sorridendo. Non poteva essere altrimenti. •
RkJQdWJsaXNoZXIy NTc1MjU=