Missioni Consolata - Giugno 2005

Cari presidi, c~ri professori! Non dubito che la realtà adolescenziale e giovanile in Italia sia quella illustrata nell'ottimo dossier di gennaio 2005; vorrei ricordare che, quantunque in minoranza, esistono dei ragazzi e delle ragazze che il vortice dell' individualismo e del consumismo non è ancora riuscito a risucchiare. A questa minoranza il mondo dei genitori, insegnanti, medici, sacerdoti, catechisti non può limitarsi a dare benevole pacche sulle spalle e a sussurrare frasi tipo «tenete duro», <mon abbiate paura», «non fatevi influenzare>>, «pregate per i nostri compagni più fra~ilh> ... Gli adulti devono dimostrare concretamente e quotidianamente che, per loro, gli ideali coltivati in gioventù sono validi anche oggi e quel patrimonio di conoscenze tecniche, scientifiche, artistiche, religiose ereditato dalle generazioni passate è in larghissima parte degno di essere trasmesso anche alle generazioni futu re. Senza entrare in polemica con alcuno, rimango perplesso quando sento che certi presidi, avendo a che fare con abiti succinti, piera"ng, tatuaggi degli alunni e con comportamenti trofpo disinvolti da parte de personale della scuola, sì rifugiano dietro lo slogan «la scuola non è la chiesa, i professori non sono missionari». Questo tipo di ironia sulla chiesa è sempre molto comoda: la probabilità di una replica, anche blanda, è bassissima; invece rimproverare certe ragazze perché si conciano maMC l giugno 2005 pagina 6 • • • m1ss1onar1 le, o certi professori o bidelli perché fumano, bestemmiano, usano un linguaggio triviale, non fanno nulla pe.r limitare le conversazioni al cellulare a tempi e modi più dignitosi e consoni al normale svolgimento dell'attività didattica... è maledettamente imbarazzante; c'è sempre la possibilità che qualcuno ne abbia a m.ale e si rivalga da par suo. Forse non ci si rende conto che, quando per timore di brutta figura, si rinuncia a dire che il pierang è nocivo e i tatuaggi non sono così necessari, che scoprire pancia, spalle, schiena, torace può far venire qualche grave malanno, in realtà se ne fa una ancora più brutta... Come può la scuola <<educare al benessere fisico e spirituale, all'accettazione di sé, alla frugalità e a comportamenti che rispettino l'ambiente» (da anni i ministri della P. l. inondano le scrivanie dei presidi con materiale didattico su tali tematiche), se i suoi dirigenti e docenti non hanno il coraggio di spiegare la differenza tra estate e inverno, tra esibizionismo e decoro, tra ciò che fa bene e ciò che fa male al corpo... per paura delle reazioni che potrebbero avere i colleghi «aperti», i ragazzi «problematich>, i genitori «sempre col fucile puntato>), il personale non docente <( facile ai fraintendimenti»? Come «educare alla legalità, pace, rispetto dei diritti delle minoranze e di tutte le forme di vita», senza chiarire il concetto che tutto questo passa anche (se non soprattutto) attraverso il ri6uto dell 'effimero, superfluo, non essenziale e adozione di stili di vita più sobri, più sani, più razionali? Cari presidi e cari professori , se per «chiesa» intendete quella clericocentrica (giustamente bacchettata anche da Giovanni Paolo D), materialista, sprecona o, peggio ancora, compromessa con i potenti e violenti, quella che benedice armi, guerre, stragi e genocidi, allora è un grande bene che la scuola non sia come la chiesa; ma, se per «chiesa» intendete (e non potete non intendere) quella cristocentrica, dei missionari, suore, volontari laici, che ogni giorno rischiano la vita per servire Dio e i fratelli, potete solo augurarvi, per il bene vo· stro e dei vostri alunni, una sempre maggiore collaborazione e unità d ' intenti tra scuola e chiesa. Giovanni De Tigris Urbino (PU) Agli esperti di pastorale giovanile Cari missionari, il bellissimo dossierdi gennaio 2005 fa capire che og· gi, chi vuole davvero edu· care ed evangelizzare le giovani generazioni deve guardarsi non solo dalle derive autoritarie, ma anche da lassismo, edulcorazione, accondiscendenza, da quel complesso di at· teggiamenti molto ambigui che lo scrittore Valerio Volpini chiamava «giovanilismo». Troppo spesso accade che, pur di centrare l'obiettivo di coinvolgere i ragazzi, suscitare parteci· pazione e interesse, ottenere il loro consenso, i responsabili della pastorale giovanile e uffici diocesani per la scuola, trascurino di dire cose importanti o, peggio ancora, se la prendano con coloro che quelle cose hanno il coraggio di dirle e il rischio di annoiare, deludere, turbare, inasprire, accettano di correrlo fino in fondo, «a imitazione di Gesù che non ebbe paur8» di passare da bestemmiatore presso i farisei e farsi una brutta no· mea; non ebbe paura nemmeno degli apostoli, quando lo accusarono di essere troppo esigente o troppo tenero e indulgente... Bisogna smetterla con certi luoghi comuni e con lo stereotipo dell'educatore «bravo» perché in possesso di strategie pedagogiche «raffinate», metodi didattici «aggiornati», capacità di avvalersi delle tecnologie che il mercato ha proclamato «Vincenti». Troppo spesso questo tipo di educatore privilegia la forma a discapito della sostanza, il contenitore a di scapito del contenuto, la modernità adiscapito della verità... Cari esperti e superesperti di pastorale adolescenziale e giovanile... ai ragazzi bisogna andare incontro per portarli a Cristo non a Mammona: se non capite questo la vostra esperienza, competenza e cultura, il vostro famoso «Saper fare» non sono al servizio di Dio e del suo regno, ma di Satana. Dovete mettervi bene in testa che se, ad esempio a scuola, s'insegna che la soppressione della vita umana nascente, il divorzio, eutanasia, droga, suicidio sono scelte ANTIUMANE e ANTICRJSTIANE, non si fa né proselitismo, né par· rocchialismo, né sottocultura religiosa, né dileggio della laicità dello stato; si cerca solo di non tradire le grandi istanze evangeliche

RkJQdWJsaXNoZXIy NTc1MjU=