Jncontro con padre Teodosio ~·····~~·······~······ La sfida continua La presenza di preti e suore a Pec e Decani, culle della dviltà serba e slava, trascende il significato religioso: è una lezione per tutti i popoli che vogliono resistere all'ingiustizia, all'odio, alla barbarie. Ma fino a quando durerà? U n ricordo speciale meritano gli incontri avuti nell'antico patriarcato ortodosso di Pec e con padre Teodosio, vescovo ausiliare del Kosovo, nel monastero di Decani. In questi due Luoghi la sensazione di spiritualità è di una intensità che ammutolisce. Sono vere e proprie «culle» non solo della storia e cultura serba, ma due tesori e patrimoni delrumanità. Sarebbe un crimine imperdonabile all'Occidente, se si permettesse la loro distruzione. I 148 luoghi religiosi, tra chiese e monasteri ortodossi, attaccati o distrutti dal marzo 1999 a oggi, non lasciano molto spazio all'ottimismo. Dalle conversazioni avute con le anziane suore incontrate a Pece dalle parole del padre di Decani ho raccolto amarezza e pessimismo circa il futuro di quei luoghi. Tutti danno quasi per scontato rarrivo di altri assalti e violenze nei prossimi mesi e la condanna alla distruzione di questi due antichi luoghi sacri. Pec e Decani sono importanti non solo per i credenti, ma hanno pure un forte significato di identità di un inUno dei 148/uoghi sacri ortodossi distrutti dall'odio etnico in Kosovo. tero popolo: quello serbo in particolare e quello slavo in generale. la presenza di queste figure rimaste in questi luoghi, accanto al proprio poP.olo, condividendone le sofferenze e 1l destino, si traduce, in tante persone ivi incontrate (anche laici e non praticanti) in un forte sentimento di identità nazionale e di resistenza patriottica aU'oppressione e ingiustizia. N on è facile per noi occidental~, ormai c?sì ~~ntan.i d~ valon e sensaz10m mtenon, comprendere quanto sia importante la cultura nella vita e nel tessuto sociale del popolo slavo. Preti e monaci restano accanto al proprio popolo non solo per sostenerne la fede religiosa; il loro ruolo ha un significato molto più vasto per la popolazione che vive nel contesto attuale del Kosovo. «Lei ha detto che è venuto qui perché la ritiene un'azione per la giustizia e la verità - mi spiega padre Teodosio -. Ebbene, noi siamo qui, neUe nostre dimore, nella nostra terra, con il compito di resistere contro la sopraffazione, la violenza, l'odio, l'ingiustizia. Per impedire che quando torneranno, e presto torneranno, possano distruggere tutta la magnificenza e la storia millenaria che lei stesso ha visto e ha sentito nella visita al monastero. Nella loro opera di distruzione, essi non lasceranno solo pietre e macerie, ma dovranno anche lasciare nella terra le nostre vite. Essa resterà seminata di sangue libero e giusto. Solo così non riuscirà loro di estirpare le radici della storia e delridentità del nostro popolo serbo, che in queste terre ha la propria genesi, da oltre 800 anni, e che tanto ha dato e pagato in sofferenze per la libertà di tutte le popolazioni. Solo in questo modo, un giorno il nostro popolo potrà ritornare e riprendere il suo posto nei propri focolari, nelle proprie case e nella propria terra. Se noi non resistiamo e scappiamo di fronte all'ingiustizia e alla violenza, non ci potrà più essere futuro per un intero popolo, perché nella cenere delle distruzioni, non d sarebbero più neanche le nostre radici, la nostra identità, la nostra storia. Si vive una volta sola. È vero, qui noi siamo dei prigionieri, ma restiamo uomini liberi, perché siamo nel giusto e quindi liberi dentro l'anima, come penso sia lei, che è venuto sino a qui per testimoniare attraverso la solidarietà, anche un atto di giustizia e verità, sfidando la violenza, la sopraffazione, l'oppressione. Adesso siamo fratelli; le nostre Do"ier MC l giugno 2005 pagino43
RkJQdWJsaXNoZXIy NTc1MjU=