Missioni Consolata - Giugno 2005

l l l Sotto, Soddo: padre Lucos Cioliebo e uno maestro in un osilo. Sotto o destro, lo scuola professionale nello comunità di Konfo. no da una caligine turchese, che avanza sulla sabbia a piccoli banchi. Nonostante il tempo sembri fissato per sempre, il popolo si muove. Ai lati del cammino, scorrono due fiumi di persone: donne, uomini e bambini si dirigono al mercato o rientrano da scuola, vivono la loro storia nella polvere, sodalizzano stùla strada, con le suole rotte o scalzi e affaticati, con i morsi della fame, con poche monete racimolate che ballonzolano nella tasca, mentre un asino carreggia due sacchi di pietre per una casa nuova. Dopo sette ore di viaggio e 400 chilometri, si giunge a Soddo, fulcro della regione del Wolayta, dove i tetci di lamiera brillano tra la vegetazione, sommandosi ai tradizionali tukut di paglia e legno. A Soddo, sede del vescovoDomenico Marinozzi , uno tra i missionari della prima ora, i cappuccini hanno fondato e amministrano l'altra metà della missione in Etiopia: asili, scuole di formazione, piccole attività economiche, presidi sanitari, parrocchie, seminari, centri etÙturali, pozzi per l'approvvigionamento idrico. Nella comunità di Konto, attiva MC l giugno 2005 pagina 24 sin dall969 (anno in cui la missione arrivò in questa zona), il giorno inizia presto. Dalla piccola chiesa si sentono il suono del tamburo e i canti delle novizie che accompagnano la messa, celebrata in lingua amarica. L'aria è fresca e trasparente e si lascia invadere dolcemente dai primi caldi raggi del sole. Intanto, dai villaggi arrivano i piccoli scolari che, per tradizione, ini - ziano le lezioni con l'alzabandiera, mettendosi in fila davanti ai vessilli dell'Etiopia e del Wolayta, intonando un canto e una preghiera. In un altro padiglione della comunità, gli studenti più grandi occupano le aule della scuola dei mestieri, finanziata dalla Confartigianato della provincia di Ancona. Sono cil:·ca 50, coordinati da un insegnante italiano in pensione, venuto quaggiù come volontario. Studiano la teoria, ma fanno anche molta pratica nei laboratori per diventare falegnami, fabbri e meccanici con l'auspicio che, un giorno, possano awiare un'attività in proprio. A poca distanza da Konto, padre Gino Binanti ha aperto da qualche anno il « \Y/olayta Tuussaa>>, un centro culturale per i giovani. Nella lingua locale tuussaa indica il palo che regge La capanna, sul quale non solo convergono i tronchi che costi· tuiscono il tuku~ ma la famigua lo usa per appendervi i ritratti dciili antenati. Significa, dunque, tondamento. E la cultura è, in un certo senso, la base di tutto; senza di essa non c'è sviluppo. Da qui nasce l ' intuizione di padre Gino: aggregare i giovani attraverso lo sport e altre attività culturali ed educative (come la musica) al fine di non disperdere il patrimonio delle tradizioni popolari. Può sembrare bizzarro adoperarsi per cose immateriali, come la cultura, in un luogo dove si muore di fame; invece, il compito missionario del Tuussaa è preziosissimo. In primo luogo perché, privati de lle proprie radici , i giovani ch e scelgono di trasferirsi nella grande città sono spesso carne da macello per sfruttatori senza scrupoli; poi , creare le condizioni affinché i giovani possano esprimere il loro talento significa basare lo sviluppo sulla coscienza delle proprie risorse ed energie creative. Al momento, al Tuussaa si danno appuntamento un 'apprezzata squadra di calcio e un gruppo musicale, che porta in giro per la regione il suo repertorio di canti e balli . CON OCCHI DI SILENZIO Ma padre Gino vorrebbe fare di più. U suo proge tto, ancora in fase embrionale, è di costituire un museo

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