Missioni Consolata - Giugno 2005

DaLla 8lbbla le pc;utole del.Lcc vita (5) ESDRA BENEDISSE IL SIGNORE, DIO GRANDE, E TUTTO IL POPOLO RISPOSE: (Ne 8,6) di Paolo Farinello, biblista Parte prima: CONTESTO STORICQ-LmERARIO I n questo e nel prossimo numero esaminiamo una breve parola che incontriamo spesso nel Nuovo Testamento (NT), passata in seguito nella liturgia e a cui non prestiamo la dovuta attenzione: è la parola aramaica 'amin: appena due sillabe, un soffio che si dissolve prima ancora di pronundarlo, ma carica di significato e di memoria storica e affettiva. ~una parola che ha pregato anche Gesì!, per cui ogni volta che la pronunctamo, dovremmo «dirla» con labbra e cuore circoncm: perché preghiamo in aramaico come Gesù, come sua Madre, come gli apostoli e con loro stabiliamo un rapporto spirituale ed emotivo, che raggiunge le P.rofonditàstessedella fede. Chi dice 'amen è una cosa sola con il Signore Gesù. In un certo senso è come visitare i Luoghi delfg memona, andando in Palestina e respirando l'aria che lui respirava, vedendo il cielo che lui guardilva, camminando perle stra.de che lui petcorreva, sperimentando il desetto che luiha sperimentato, attraversando il lago di Tiberiade come lui lo ha attraversato tantevolte. Come magica è l~ Palestina, perché ci pa.rla di lui, se la visitiamocon cuore puro, così lelingue cbe Gesùparlava (aramaico ed ebraico certàmente, greco probabilmente, latino forse qualcosa) ci introducono nel suo mondo in· teriore, nella sua cultUra, nell'anima del suo pensiero: c'immergono nella sua personalità. La piccolaparola 'amen è una chiaveper accedere al suo cuore del Verbo incarnato e all'anima della sua divina un1anità, perché Gesù la pronunciava nella p~era, cioè in quel rapporto coslparticolare che solo lu1 poteva instaurarecon il Padre suo. n nostro cuore dovrebbe scoppiare di commozione emozionata e il nostro 'amen dovrebbe ~'Primere tutta la nostra intima gioia. San Girolamo (347-420} testimonia che, nel suo tem- .po (IV-V sec. d.C.), nelle basiliche romane la parola amen «ri.tnbombava comeun tuono>>, fmo a farne tremare le colonne. o~ invece assistiamo a liturgie tisicucce e malfenne di salute, dove' amén è buttato all'aria o biascicato senza voce, quasi di nascosto, come se fosse un ilffare privato e non un solenne e austero atto pubblico dl fede. MC l tiugno 2005 Quest'uso superficiale è il segno che la vita di fede, di cui la liturgia è specchio, può Scadere in rituaHtà vuota, in formUle vocali distratte senza passione e vitalità. U no dei problemi chesi poneva Ja scienza bibUca fino al secolo scorso riguardava la ricerca delle paroleprecise pronunciateda Gesù: era la questione delle i'psissima verba ae stesse/ . se parole) detteda Gesù. Sappiamo che i vangeli non sono un diario néla cronistoria della vita di Gesù: essi sono scritti occasionali, motivati dalle necessità delle comu.nità cristiane dove sono nati con lo scopo di introdurre alla fede ln Gesù, creduto messia e Dio, oppure di rafforzada io c~ loro che già credevano in lui. Potremmo dire con una frase sintetica che i vangeli sono catechz'smi scritti da credenti per altri credenti. Essi riflettono la fede e la teologia delle comunità di riferimento degli autori. Non sono stati scritti a tavolino, ma hanno avuto un processo di ela· borazione lento e complesso, intanto che .o.ella chiesa del l o secolo si diffondevano le lettere di Paolo e si di· versificavano le comunità ecclesiali sia in Palestina che nel mondo greco. Cercarenei vangeli/e precise/identicheparole cheGesù avrebbe detto potrebbe essere una perdita di tempo, perché nessuno andava dietro a Gesù col registratore. Nella forma definitiva come li possediamo oggi, i vangeli furono messi per iscritto a cavallo tra 1165 e illOO d.C., cioè doyo circa 35-65 anni dalla morte di Gesù. Due evangelisti, Marco e Luca, non erano nemmeno ~postoli (Luca nemmeno ebreo); mentre agli apostoli

RkJQdWJsaXNoZXIy NTc1MjU=