bali problemi teologici molto complessi, parlano di mission de réciprocité o mission réciprotJue. Perché il dialogo interreligioso sia un vero dialogo, dicono, e quindi si parta da una condizione di parità iniziale, occorre che ognuno dei partnet religiosi riconosca la missione dell'altro; cioè, riconosca che l'altro è deputato a conferirgli qualcosa di sé. Missione è dare e ricevere. In questa ipotesi, avremmo qualche cosa da ascoltare da buddisti , musulmani, shintoisti, confucianl... e dovremmo riconoscere che questo «qualcosa» è il dono che Dio ha concesso e affidato a loro per noi. Le chiese cristiane devono continuare ad annunciare Gesù Cristo e il suo vangelo, il mistero pasquale nella sua integrità; ma a loro volta devono accogliere la verità custodita nelle altre religioni. Questa posizione fa scattare due tipi di attenzione: la prima, contro ogni forma di integralismo di chi dice di possedere l'intera verità. È chiaro che ogni religione si sente depositaria della Verità. Per il cristianesimo la Verità è Gesù Cristo stesso: «l o sono la via,la verità e la vita» (Cv 14,6; cfr. Gv t 17-18; 8,31 -32). Ma dobbiamo fare tre notazioni: la prima è che si tratta di una verità «storicizzata». Dio si manifesta ltl pienezzanella storia di un uomo, che vive e muore dentro la storia e la cultura di un popolo. Dio, cosl, viene raccontato e non definito. Noterà l'evangelista Giovanni: «Dio nessuno l'ba visto mai. Proprio l'unigenito che è nel seno del Padre, lui ce lo ha manifestato (exeghésato = lo ha tratto fuori, fatto uscire; ma anche: lo ha narrato, raccontato. La Volgaca infatti traduce: ipse enmravit). La seconda notazione è che questa verità è la verità dell'amore, perché il culmine della narrazione di Dio sta proprio nella croce di Cristo, come supremo atto di amore per l'umanità. Non si potrà mai disgiungere la verità di Dio dall'amore di Dio. La terza notazione si ferma sul fatto che questa verità di Dio in Cristo è ancora nascosta ai nostri occhi, proprio perché gli occhi non sono capaci: «Molte cose ho da dirvi, ma per il momento non siete capaci di [>Ortarne il peso ( Gv 16, 12). Solo lo Spirito Santo ci condurrà lentamenMC l febbraio 2005 pagina 18 te verso la verità tutta intera (e/r. Gv 16, 13). Deve esserci in noi la tensione verso quella Verità che è Dio stesso, ma nessuno può dire di possederla e tanto meno usarla come un bastone contro gli altri! Siamo rimandati al grande principio di Gregorio Magno: <<5criptura cum legente crescit>>. Benché la sacra scrittura contenga tutta la rivelazione di Dio, questa si fa strada nella mente umana man mano che l'uomo stesso cresce: intellettualmente, spiritualmente, culturaLnente. Il principio si può estendere alla chiesa, fotmata da tutti noi: <<Scriptura cum legente eccfesia cresci!». Anche la chiesa deve crescere, sotto l'azione dello Spirito Santo, per penetrare quel tesoro di verità che ba nelle sacre scritture. E per crescere, la chiesa ba s) bisogno dei grandi santi e grandi teologi, dell'esperienza di fede di tutti i cristiani e del cammino secolare della sua tradizione; ma ha anche bisogno delle altre culture, altre religioni, altre «Storie dell'uomo». Solo quando tutti i popoli avranno dato il contributo della loro sapienza e reli~_iosità, il vangelo di Cristo sarà meglio capito e la <<narrazione di Dio» sarà completata. Capiamo l'importanza di tutto questo nella natura della missione? n secondo tipo di attenzione ci porta sul lato opposto all' integralismo e fondamentalismo: il diàlogo interreligioso non deve puntare alla riduzione delle varie religioni alloro minimo comune multiplo, a quella cosiddetta religione universale, che nasce come un vestito ritagliato da tante stoffe, con una scelta tutta umana di «pezze buone>>e «pezze da buttare>>. Alcuni cosiddetti pluralisci, anche in campo cattolico, tendono a questa formula. Uno di essi sosteneva, in un recente saggio, che tra le «pezze da buttare>> d fossero le categorie teologiche della «elezione» e della «incarnazione>>. MISSIONE OEVANGELIZZAZIONE? Questa terza domanda ha un riferimento storico-dottrinale preciso. Nell'esortazione apostolica di Paolo VI Evangelii nuntiandi (1975) la parola missione e derivati sono usati con molta parsimonia, mentre riprendono piede nellaRedemptoris missz'o ( 1990) di Giovanni Paolo n. Questo cambiamento linguistico nasconde una diversa prospettiva o accentuazione. In Paolo VI prevale l'attenzione «agli uomini del nostro tempo», tutti bisognosi, in diverse situazioni, dell'annuncio evangelico. L'evangelizzazione ha come destinatario la chiesa stessa: <<Evangelizzatrice, la chiesa comincia con l'evangelizzare se stessa... Essa ha bisogno di ascoltare di continuo ciò che deve credere, le ragioni della sua speranza, il comandamento nuovo dell'amore» (EN 15). Fanno seguito i lontani, il mondo scristianizzato, le culture, le religioni, i non credenti, i non praticanti... L' evangelizzazione è vista come un compho complessivo, globale, che si specifica per la diversità di situazioni e soggetti, ma resta necessario per tutti. In Giovanni Paolo D prevale invece il concetto dell'andare, con il richiamo ai suoi viaggi, uno dei simboli più evidenti del suo pontificato. «Già all'inizio del mio pontificato ho scelto di viaggiare fino agli estremi confini della terra permanifestare la sollecitudine missionaria; e proprio il contatto direrto con i popoli che ignorano Cristo mi ba reso ancor più convinto dell'urgenza ditale attività, a cui dedico la presente enciclica» (RM1). Rimane quindi più marcata la di-
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