PARROCO IN QUALCHE PAESELLO Dopo due anni di assistentato, l’arcivescovo Lorenzo Gastaldi nominò Giuseppe Allamano padre spirituale in seminario, compito inaspettato che lo lasciò trasecolato. «Hai qualche cosa da dire?», gli chiese il vescovo. «Sa, la mia idea era di andar parroco». «Bene, bene, io ti do la prima parrocchia della diocesi». Giuseppe Allamano gli disse ancora: «Ma come potrò essere direttore mentre sono tutti miei compagni di studio e ci diamo del tu?». «Oh, per questo, ti vogliono tutti bene». Avrebbe poi raccontato: «Mi diede la benedizione e senz’altro ritornai al seminario dove trovai la mia camera preparata. Il rettore rideva... Allora sono andato in cappella, ho fatto un po’ di meditazione. Poi sono andato a far scuola di cerimonie, come se l’avessi sempre fatta. Perché andare a dire: non sono capace, sono indegno… e qui e là? La grazia l’ho, ho detto tra me, quindi sono capace; il Signore quando dà un impegno senza averlo cercato, dà anche la grazia e l’aiuto». Le parole dell’arcivescovo rimasero impresse nella mente dell’Allamano. Diversi anni dopo, incoraggiò don Attilio Vaudagnotti, destinato in seminario come assistente e insegnante, con queste parole: «Il seminario è la più bella parrocchia. Lo disse a me mons. Gastaldi nel mandarmi direttore spirituale del seminario, mentre io vagheggiavo la vita più varia del vicecurato». Confidò poi ai missionari: «Mi ricordo quello che mi diceva mons. Gastaldi di santa memoria 45 anni fa quando mi ha messo direttore spirituale in seminario: “Sei tu che adesso hai la responsabilità dei seminaristi e perciò anzitutto devi pregare, perché quello che devi fare non sei tu che lo fai, ma il Signore con te, tu con il Signore. In secondo luogo devi vigilare sulla loro condotta, essere sempre dappertutto». Senza dubbio l’Allamano fu molto vicino ai seminaristi. Possiamo dire che li conquistò con la sua presenza e amabilità. E dire che non si accontentava di incoraggiarli, ma, quando occorreva, non lesinava le correzioni. Uno dei seminaristi di quel periodo testimoniò: «Diede prova di prudenza e affabilità, in modo da ottenere dai chierici l’esatta osservanza delle regole, ma senza asprezza». Per l’Allamano, ogni servizio apostolico in diocesi ebbe sempre un inizio rapido, senza preavviso. Spiegava alle missionarie: «Io vi dico che la mia più bella consolazione è d’aver sempre fatta la volontà di Dio. Vedete, ho fatto tutti i miei studi con lo scopo di avere poi una parrocchia, non grande sapete, ma di qualche paesello dove avendo poche anime avrei potuto curarle bene». Davanti a sé aveva l’esempio dello zio paterno don Giovanni Allamano (1808-1876), per 35 anni parroco di Passerano. Fin dalla giovinezza, e specialmente durante il periodo del seminario, il giovane Allamano era solito trascorrere parte delle vacanze estive presso lo zio e, dopo la sua morte, si occupò della cura pastorale della sua parrocchia per tre mesi, guadagnandosi l’affetto dei parrocchiani che richiesero all’arcivescovo di averlo come parroco fisso. Ma questi lo nominò assistente in seminario, cosa che gli permise di completare i suoi studi di morale. È in quel periodo, infatti, che conseguì il dottorato nella Facoltà di Teologia, difendendo una tesi dal titolo De admirabili Filii Incarnatione (Ammirabile Incarnazione del Figlio). Mons. Lorenzo Gastaldi, arcivescovo di Torino. | MC | NOVEMBRE 2023 80 © Archivio Imc pAGINE DI VITA
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